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Senzani, la strage di Bologna e l'Olp: ma il capo del Partito Guerriglia non era l'erede di Moretti

(umt) Enzo Raisi, deputato di Fli, presenterà in anteprima nazionale il suo libro “Bomba o non bomba. 2 agosto 1980. Alla ricerca ossessiva della verità” (Minerva ed. 2012) domani, lunedì 19 novembre alle ore 21 a Bologna, in Sala del Baraccano (via S. Stefano 119). Alla ricerca di Raisi e alle polemiche suscitate o connesse abbiamo dedicato decine di post, a partire dalla prima intervista del deputato liberalfuturista al Resto del Carlino,  in cui si delineavano tra le altre cose i primi sospetti sul ruolo rivestito da Mauro Di Vittorio, una delle vittime della strage. Sono stato a lungo l'unico giornalista non bolognese che ha dato spazio alle tesi del parlamentare bolognese, anche se per confutarle, perché credo che il dibattito storiografico sugli anni di piombo e sulle stragi non debba avere altri vincoli che l'onestà intellettuale e il rispetto dei contendenti. Ho trovato molto imbarazzante i silenzi diffusi. Pur comprendendo le ragioni di opportunità - in pendenza di uno storico contenzioso giudiziario - mi sarei aspettato dal presidente dell'associazione vittime della strage, Paolo Bolognesi una più sollecita discesa in campo in difesa di Mauro Di Vittorio. E invece niente. Dopo le mie parziali confutazioni, corroborate del resto dall'opinione del gruppo di esperti che hanno scoperto e lanciato la pista tedesco-palestinese, abbiamo dovuto aspettare la formidabile inchiesta giornalistica di Paolo Persichetti, sintetizzata sul Manifesto e dispiegata in tutta la sua potenza cognitiva nel suo blog Insorgenze (qui l'ultima delle cinque puntate da cui risalire - link via link - alle precedenti) per liquidare illazioni e sospetti (i temi principali erano già stati anticipati in un precedente intervento, in occasione dell'anniversario del 2 agosto). Alla fine Bolognesi si è confrontato a distanza con l'onorevole Raisi in occasione dell'anticipazione sul libro lanciata da una rubrica del tg 2 con rituale intervista all'autore. 
Per l'occasione va registrato una scoppiettante iniziativa dei tre consulenti della Mitrokhin (+1, un anonimo che usa un nick in latino), quelli che io ho ribattezzato come gli sherpa della pista tedesco-palestinese, con la pubblicazione di ben tre post consecutivi nel loro sito Segreti di Stato, dedicati a: 
1. lo stato delle indagini su uno strano viaggio in Italia autorizzato dai giudici di Bologna a Saleh, il fiduciario del FPLP, figura centrale della nuova pista internazionale (di cui ci siamo occupati noi); 
2. il confronto tra Raisi e Bolognesi in cui, pur avendo preso da subito le distanze dalle sue illazioni su Di Vittorio, si schierano apertamente con il deputato bolognese, 
3. una dettagliata analisi degli intrecci tra Brigate rosse e terrorismo palestinese, a partire da un olografo trovato al leader del partito guerriglia Giovanni Senzani al momento dell'arresto, il 10 gennaio 1982.
E', questo ultimo, uno dei tanti casi di riscoperta di importanti materiali sepolti per decenni negli infiniti faldoni giudiziari. Dopo aver trascritto l'appunto, i quattro si fanno prendere dall'entusiasmo:
Lo stile è criptico, frammentato, composto di brevi frasi, tante abbreviazioni, sigle, acronimi, nomi in codice. Ma il contenuto, dopo 28 anni di oblio e insabbiamenti, è finalmente decifrato e messo in chiaro. Questo ci permette, per la prima volta dal suo ritrovamento, di ricollocare questo straordinario tassello nel suo naturale mosaico e cioè gli accordi segreti tra i vertici delle Brigate Rosse e il numero due di Fatah, Abu Ayad, il fondatore di Settembre Nero, l’ideatore del massacro alle Olimpiadi di Monaco e la mente raffinata dietro il depistaggio sulla strage di Bologna. L’autore di questo appunto manoscritto è Giovanni Senzani, nato a Forlì il 21 novembre 1942, criminologo e ideologo del cosiddetto Partito guerriglia, colui che dopo la cattura di Mario Moretti a Milano il 4 aprile 1981, eredita la direzione delle Brigate Rosse e con essa i suoi contatti internazionali. Il documento, quattro facciate manoscritte su un comune foglio di quaderno, venne scovato nel portafogli del capo brigatista al momento del suo arresto da parte della Digos di Roma nell’appartamento-covo di via della Stazione di Tor Sapienza 38, la notte del 9 gennaio 1982. Il primo a rendersi conto dell’enorme importanza del reperto è stato l’allora giudice istruttore Rosario Priore, il quale – una volta analizzato il contenuto dopo una prima decrittazione da parte degli esperti dell’antiterrorismo – ritenne doveroso trasmetterlo per competenza ai colleghi di Bologna impegnati nelle indagini sull’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria.
Ma i conti, almeno per me, non tornano: per la semplice ragione che Senzani non è mai stato il leader delle Brigate Rosse. Le Br come fenomeno unitario cessano di esistere nell'autunno del 1980 quando una riunione della direzione strategica allargata ai responsabili delle principali colonne affronta i numerosi fattori di crisi dell'organizzazione, tra cui, particolarmente devastante per un'organizzazione clandestina, il dissenso della colonna milanese "Walter Alasia", decisa a ricondurre l'iniziativa brigatista sull'antico terreno del conflitto sociale. Nel suo pamphlet autobiografico uno dei presenti, Enrico Fenzi, appena entrato in clandestinità restituisce non solo l'afasia del dibattito ma anche lo scollamento umano del gruppo. Alla richiesta del vertice di sospendere le attività nelle more della ridefinizione delle questioni politiche, i dissidenti rispondono con l'omicidio, in quindici giorni, di due dirigenti industriali, della Falck e della Magneti Marelli. La scissione è devastante. Tant'è che per ricostruire la colonna milanese, la prima operativa nella storia del partito armato, torna nella capitale industriale, dopo sei anni a Roma, Mario Moretti, accompagnato da Enrico Fenzi. La perdita di contatti spinge "Maurizio", una vecchia salamandra della clandestinità, sfuggito in ripetute circostanze all'arresto, dal primo blitz del 1972, all'operazione Pinerolo che manda in galera Curcio e Franceschini fino alla scoperta del covo di via Gradoli durante il sequestro Moro, a esporsi a un rischio mortale affidandosi a un inquietante figuro che alla fine si rivela appunto un provocatore al soldo della polizia e i due ricercati sono catturati. 
L'arresto di Moretti determina un'ulteriore spinta centrifuga. Perché un altro polo di dissenso è costituito appunto dai detenuti storici, che contestano l'attendismo della direzione strategica che non solo li condanna all'inazione - fallendo sistematicamente i tentativi di evasione progettati - ma anche li esclude dalle decisioni politiche. E di questo dissenso si fa portavoce nell'organizzazione proprio Giovanni Senzani che porta sulle sue posizioni movimentiste la sua struttura, il Fronte Carceri, e la colonna napoletana, che ha ereditato quadri e tematiche sul carattere rivoluzionario del lumpenproletariato meridionale. 
Tra la fine di aprile e gli inizi di giugno diverse strutture delle Brigate rosse mettono a segno ben quattro rapimenti: 
27 aprile l'assessore regionale campano Cirillo è rapito dalla colonna napoletana che uccide l'autista e l'agente di scorta;
20 maggio il dirigente della Montedison di Marghera Taliercio è sequestrato dalla colonna veneta diretta dal romano Savasta, un soldato che ha fatto rapida carriera per la legge dell'entropia (anche nelle organizzazioni clandestine il vuoto prodotto dalle ondate di arresti si riempie);
3 giugno il dirigente dell'Alfa Romeo Sandrucci è catturato dalla colonna milanese Walter Alasia;
10 giugno il Fronte Carceri prende in ostaggio Roberto, il fratello del pentito Patrizio Peci, e lo accusa di aver collaborato al suo tradimento.
Sembra una straordinaria controffensiva del partito armato, riassestatosi dopo i colpi subiti l'anno prima proprio per il pentimento di Peci, con la capacità di condurre in contemporanea ben quattro operazioni complesse. In realtà si scoprirà ben presto che si tratta di operazioni e di realtà ormai distinte. 
Senzani gestisce il primo e l'ultimo sequestro siglando i comunicati con le due strutture che li hanno eseguiti, l'azione in Veneto è la risposta della maggioranza delle Br, quella che poco dopo comincerà a firmarsi Per il partito comunista combattente, il rapimento milanese è l'atto di presenza degli scissionisti dell'Alasia. Quattro sequestri, quattro gestioni politiche e militari diverse. Con Cirillo Senzani riesce a realizzare un molteplice successo: porta la Dc sul terreno della trattativa rifiutata per Moro, incassa un cospicuo risultato economico (1.450 milioni di riscatto) e politico (la destabilizzazione del quadro istituzionale prodotto dalle rivelazioni sulle trattative con il coinvolgimento di camorra e servizi segreti), si rappresenta come il difensore degli interessi dei terremotati napoletani. Con l'esecuzione di Roberto Peci il Fronte Carceri lancia un macabro segnale trasversale ai detenuti: noi ci siamo, guai a chi tradisce. I "veneti" maltrattano e poi uccidono Taliercio, anche perché l'azione è sganciata da un effettivo radicamento sociale e politico nel grande complesso industriale veneto e quindi  non riesce a darsi sbocchi alternativi alla condanna a morte del prigioniero. I "milanesi", che hanno già "battuto il terreno" con il duplice omicidio di novembre, si possono invece permettere il lusso della magnanimità, una gestione morbida e il rilascio dell'ostaggio. 
Quattro giorni dopo la morte di Taliercio, le Br-Fronte delle carceri e la colonna 28 marzo diffondono due documenti in cui criticano duramente la decisione di uccidere l'ostaggio Taliercio presa dai militanti della colonna veneta Annamaria Ludmann. Il Fronte delle carceri parla di «bieche pratiche avventuristiche di chi crede che fare la rivoluzione significhi esaurire il programma nell’annientamento di un servo della borghesia».
Nelle settimane successive, tra il 23 luglio e il 3 agosto si concludono gli altri tre rapimenti. Il tentativo di ricomposizione dopo l'esplicita spaccatura fallisce rapidamente e la scissione, già consumata nei fatti, viene formalizzata con la costituzione del Partito Guerriglia, che toglie dal nome ogni riferimento alle Br, e delle Brigate rosse per il partito comunista combattente. 
Ora se come sostengono i quattro l'olografo sequestrato al leader del Partito Guerriglia 
altro non è che una sorta di memo, o rapporto di sintesi degli incontri che ebbe Senzani, tra l’agosto e il dicembre del 1981, con Abu Ayad a Parigi. Tra Brigate Rosse e vertici di Fatah c’era un accordo segreto nato durante la dirigenza Moretti e relativo all’alleanza strategico-militare tra le due organizzazioni

è mai pensabile che Moretti, che aveva sempre gestito i rapporti internazionali in modo strettamente personale, abbia trasferito i contatti all'avversario politico e non ai suoi compagni? (1-continua)




2 commenti:

  1. a quando un pdf completo con tutti i post su bologna?

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  2. appena dà cenno di calmarsi la valanga di post. Ma ci vuole, capperi se ci vuole. Hai ragione, Pierluca.

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