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1 dicembre 2010: muore Paolo Signorelli. Il racconto dei funerali


Apriamo questo speciale per il dodicesimo anniversario con il mio pezzo per gli Altri in occasione del funerale del "professore" 

(umt) C’erano pochi giovani ai funerali di Paolo Signorelli, il “grande vecchio” della destra radicale italiana. Probabilmente perché da parecchi anni aveva rinunciato alla militanza di gruppo. Lavorava a un laboratorio orientato alla costruzione di un progetto per quello che chiamava il Movimento di liberazione nazionale. Sempre in una logica di oltrepassamento della dicotomia destra/sinistra, un tema che caratterizza il suo impegno politico da oltre trent’anni. Dai tempi di “Costruiamo l’azione”, il gruppo più complesso della storia dei movimenti nazionalrivoluzionari italiani. Perché lì dentro c’era veramente di tutto:

Un parterre di primedonne

1) la sordida figura di Aldo Semerari, il luminare della psichiatria criminale, pronto a mettersi al soldo di tutti i padroni e i poteri occulti. Dalla massoneria ai servizi segreti, dalla criminalità di strada alla camorra. Tanto da rimanerci ucciso
2) la contorta personalità di Fabio De Felice, transitato dall’esperienza della prima conventicola evoliana (I Figli del Sole) a una giovanile esperienza parlamentare missina (“grazie” alle ferite riportate nelle battaglie di strada per “Trieste italiana”) e poi al fianco di Randolfo Pacciardi e delle manovre presidenzialiste (dirigeva con il fratello Alfredo, legato a Licio Gelli, la rivista ufficiosa del “partito del golpe” Politica e Strategia)
3) l’ambiguo Massimiliano Fachini, sodale di Franco Freda e poi animatore di una propria rete militante ma al tempo stesso frequentatore del capitano Antonio Labruna, quadro operativo del Sid e protagonista di tutti gli inguacchi della “strategia della tensione” (dagli espatri dei collaboratori dei servizi ai depistaggi)
4) i giovani leoni Sergio Calore e Paolo Aleandri, all’epoca convinti sostenitori del fronte unico rivoluzionario ma, negli anni successivi, dopo l’arresto, passati armi e bagagli al fronte avverso, collaboratori di giustizia e ricostruttori di trent’anni di storia dell’eversione nera
5) i solari ribelli del Mrp Lele Macchi e Marcello Iannilli, capaci di compiere micidiali attentati contro i simboli del potere senza provocare danni alle persone ma anche di sostenere la battaglia per la chiusura dei manicomi, con un’incursione a Santa Maria della Pietà con tanto di apertura dei cancelli e di messa (provvisoria) in libertà dei “matti”.
E il perno di questa realtà così articolata e complessa era proprio Paolo Signorelli.

La gioventù ribelle del giovane Paolo Signorelli

Il professore era impegnato a inseguire il suo sogno rivoluzionario. Interessato a tenere insieme sistemi di relazione forte e ribellismo giovanile, reti clandestine strutturate e spontaneismo armato.
Aveva cominciato presto a sporcarsi le mani. A undici anni partecipò all’ Intifada de’ noantri. Il lancio di sassi degli scugnizzi romani contro le camionette degli occupanti americani, distratti dal trastullo con le “segnorine”.

Si era ben presto distinto per coraggio e sprezzo del pericolo. Alla fine degli anni ’50 soccorse i latitanti dell’Oas, spingendosi fino a sostenere un conflitto a fuoco con la polizia. Quindici anni dopo farà parte dello sparuto manipolo di missini assediato nella sezione di Prati. Gli scontri per il processo di Primavalle si concluderanno con la morte di Miki Mantakas, esponente greco del Fuan.
Signorelli era popolarissimo nella base militante romana, per il carattere gioviale e goliardico. Tra le sue imprese memorabili la scommessa vinta sulla “mano morta” sulle natiche di Pio XII. Il Papa tra l’altro era considerato un “cammmerata”. Ma all’epoca, ovviamente, le misure di sicurezza intorno a Sua Santità erano irrisorie.

Il rientro e l’espulsione dal Msi

Signorelli è tra quelli che rientrano con Rauti nel Msi. A sentire Vinciguerra e i magistrati che hanno istruito l’ultimo giro di processi per le stragi era uno dei componenti della “cupola ordinovista” (con Maggi, Rognoni e Zorzi) promotrice della strategia stragista. E’ tra i primi a offrirsi quando scatta la “persecuzione democratica” che porta allo scioglimento del Movimento politico Ordine Nuovo. La frazione intransigente costituita, sotto la guida di Clemente Graziani, rifiutando “l’ombrello protettivo” del Msi, scelto da Pino Rauti alla vigilia della strage di piazza Fontana.

Così al tempo stesso è tra gli animatori della scissione di Lotta popolare e responsabile della rete clandestina in Italia di Ordine nuovo. Lo esautora il rientro dalla Spagna del “comandante militare” Concutelli venuto a  organizzare la lotta armata. Così sarà anche nel 1979. Alla precipitazione militarista dei giovani irriducibili di Costruiamo l’azione opporrà la scelta delle Comunità organiche di popolo. Un progetto di “lunga marcia” e di costruzione lenta delle soggettività rivoluzionaria. Gli procurerà, da parte di Fioravanti, la beffarda qualifica di “fascista bucolico”.
Questa via di fuga non gli impedirà di finire nel tritacarne giudiziario, a partire da un presunto scoop di Lotta Continua che lo qualifica come “il capo dei Nar”.

Dieci anni di galera non lo piegano

Risultato: tre condanne all’ergastolo per omicidi in cui c’entrava poco (Occorsio) o niente (Leandri, Amato) sulla base di accuse di improbabili collaboratori di giustizia; un’infinita carcerazione preventiva (quasi dieci anni) che gli ha spezzato le ossa ma non l’ha piegato, facendolo diventare il simbolo dei guasti dell’emergenzialismo giudiziario negli anni di piombo. Allo sciopero della fame a catena organizzato a suo sostegno dai radicali parteciperanno militanti di destra e di sinistra. Data da allora il suo impegno per una “giustizia giusta”, che molte volte vede invece la sinistra distratta o improvvidamente attirata dalle sirene giustizialiste.

PS: Erano pochissimi i politici presenti al funerale. Per una strana coincidenza tutti e tre finiani, ma si tratta di pura casualità: perché una (Flavia Perina) era sua allieva al liceo De Sanctis, gli altri due erano uno (Fabio Granata) pupillo del “professore” nella sua militanza giovanile estremista, l’altro (Claudio Barbaro) amico del figlio Luca.

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