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Coincidenze significative: il "Presente" per Angelino Rossi, il de profundis per l'ultimo segretario del Msi

(umt) Giorgio Galli qualche lustro fa provò ad approcciare l'analisi politica partendo dalla categoria junghiana della sincronicità, ovvero fatti non vincolati da un rapporto di causa ed effetto (l'uno non è la conseguenza dell'altro) ma che avvengono nello stesso tempo e che presenterebbero un'evidente comunanza di significato. Dei suoi articoli dalla rubrica pubblicata da Panorama mese uscì un sapido libello, recentemente ripubblicato da Lindau, Le coincidenze significative. La storia e la cronaca offrono numerosi e sorprendenti esempi di "coincidenze" - quelle che legano Matteotti, Mussolini e Moro, ma anche la strage di piazza Fontana, gli Ufo e il caso Calvi; oppure quelle che caratterizzano la politica estera statunitense da Reagan a Obama, passando per l'attacco alle Twin Towers -, su cui Galli ha lavorato, riflettendo su queste relazioni inattese e "misteriose". 
A questa categoria va sicuramente iscritta la circostanza che nello stesso giorno sia risuonato il "Presente" per salutare Angelino Rossi, l'uomo che al meglio in Italia ha espresso l'idea che la militanza politica a destra  fosse in prima istanza fedeltà al Capo (nella sua fattispecie il segretario del Msi) e il de profundis per la carriera politica di Gianfranco Fini, che tra le tante cose è stato anche l'ultimo segretario politico del Msi (nonché il primo e l'ultimo presidente - ora si usa così - di Alleanza nazionale e di Futuro e libertà).
La storia militante di Rossi la racconta, sulle pagine del Secolo d'Italia, un altro che dalla strada proviene eppure ha avuto modo di entrare nel Palazzo, Domenico Gramazio: 
È scomparso martedì notte Angelino Rossi, classe 1935, una delle figure storiche dell’attivismo missino degli ultimi venti anni. Angelino aderì giovanissimo al Msi della storica sezione del Prenestino. Nel 1958, assieme ad Alberto Rossi e Gianfranco Rosci, diede vita alle Fng (Formazioni Nazionali Giovanili) che per prime usarono la croce celtica quale loro simbolo. Angelino Rossi ricoprì cariche amministrative come consigliere nella circoscrizione VIII di Roma e nel 1985 come consigliere del consorzio Trasporti Lazio. Fu fondatore e segretario generale dell’Accademia pugilistica romana (Apr) quella che nel mondo attivistico veniva riconosciuta come “ la Palestra”. Partecipò, con Giulio Caradonna, alla difesa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma nel lontano 1968. Nel marzo del 1976 fu arrestato insieme all’allora segretario della sezione Appio-Latino, Tommaso Luzzi, per aver difeso dagli assalti di estremisti di sinistra la storica sezione di Piazza Tuscolo. Nel 1970 affiancò gli amici della “Palestra” nella creazione del circolo giovanile di Via Noto, fondato da Domenico Gramazio e Adalberto Baldoni. Quel circolo prese il nome di Nuova Europa e assunse il simbolo della croce celtica come precedentemente avevano fatto le Fng. Angelino, così lo conoscevano nel mondo attivistico del Msi, è stato sempre un uomo generoso e pieno di vitalità. Accorreva sempre, negli anni ’60 e 70’, in difesa, con gli amici della Palestra, delle sezioni Msi che quotidianamente erano prese d’assalto dall’estremismo di sinistra, così come partecipò più volte alla difesa militante del Secolo d’Italia collocato nella storica sede di Via Milano 70, quando ogni manifestazione della sinistra si concludeva sempre con un attacco alla sede del quotidiano. È stato e sempre sarà una delle pietre miliari e con lui scompare una pagina indelebile della storia della destra attivista di Roma e d’Italia.  
Della generazione successiva è Gabriele Adinolfi che, pur non avendo mai militato nel Msi, di "Angelino" offre un altrettanto commosso ricordo, che però offre anche uno spunto di riflessione politica su chi ha fatto politica con i guantoni e chi invece ha avuto modo di indossare i guanti: 
Martedì notte se n'è andato anche lui, il vecchio attivista che aveva fondato la palestra dei pugili. Quella piccola pattuglia di combattenti indomiti che assicurava l'incolumità dei candidati missini nelle zone più rosse e più turbolente. L'immaginario di quella mitica “palestra” giunse ad ispirare addirittura un personaggio dei fumetti di fine anni cinquanta, Furio Almirante (la scelta del nome non fu di certo casuale). Personalmente ricordo lui e i suoi ergersi come baluardi di tranquillità davanti alle masse aggressive che cercavano di chiudere la bocca agli oratori e che non osavano mai avvicinarsi a quella sporca mezza dozzina. Nell'incoscienza giovanile e nell'ardore fanatico dell'eroismo fascista di cui mi nutrivo mi sentivo allora invincibile. Ma di sicuro in alcune circostanze quel senso d'invincibilità lo dovevo anche a loro. Alcuni di quelli che protessero indossarono presto i guanti, loro rimasero fedeli ai guantoni. Angelino Rossi se n'è andato. Non ha lasciato in eredità né appartamenti di Montecarlo né posizionamenti furbi tra ostriche e antifascismo. Vita est Militia. Non importa se quella milizia venga tradita o svalutata, non importa se molti di quelli che furono difesi avrebbero meritato di prendersi legnate. La militia conta in sé. E lascia eredità meno tangibili ma più profonde e indissolubili.
Quanto a Gianfranco Fini è il dossier dell'Espresso che lo incastra definitivamente a una promessa non onorata: se dovessero emergere i legami tra mio cognato e la casa di Montecarlo... e così uno degli intellettuali che gli sono stati più vicini nel tentativo di una rifondazione della Destra all'altezza delle sfide del terzo millennio, Alessandro Campi lo richiama al suo dovere, con un'impietosa analisi che parte sì dalla questione morale ma poi affonda i denti sul sostanziale fallimento politico del progetto liberal-futurista:
Lo dico a tutti coloro che mi stanno chiedendo un parere sulla questione cosiddetta della "casa di Montecarlo". L'ho sempre trovata una vicenda squallida e penosa: per il modo con cui è stata cavalcata contro Fini (ricorrendo ad una campagna stampa senza precedenti e persino a carte false), e per il modo con cui Fini medesimo l'ha maldestramente affrontata e gestita (essendo a tutti chiaro che, chiunque ne sia il proprietario, la casa si trova nella disponibilità piena di suo cognato, che colà a quanto pare risiede da alcuni anni). Ciò detto, sono altresì convinto che Fini dovrebbe dimettersi (non avendolo fatto sinora) non per le conseguenze di questa vicenda, ora rilanciata con nuove e sembrerebbe inoppugnabili carte dall'Espresso (che non risulta essere una testata di proprietà di Berlusconi), ma per motivi più robustamente politici, che hanno a che vedere con il sostanziale fallimento del suo progetto politico-culturale (che si è lasciato alle spalle senza alcuna parole di spiegazione) e con l'incompatibilità di fatto esistente, in modo sempre più palese, tra la carica istituzionale che riveste e la guida del partito che ha fondato. Senonché le dimissioni di Fini (che comunque, dovrebbe ricordarlo, a tale gesto si era impegnato nel caso fosse stato provato il coinvolgimento di suo cognato nella compravendita dell'immobile monegasco) a questo punto della legislatura potrebbero persino risultare inutili, e dannose rispetto ai già fragili equilibri istituzionali esistenti nel Paese. E altra diventa la questione che più da vicino oggi lo riguarda: se non debba ragionare anch'egli, come altri appartenenti alla sua stessa generazione politica, sull'eventualità di un suo ritiro dalle scene, ovvero sull'eventualità di non candidarsi ad uno scranno per la prossima legislatura. Molto ha fatto nella sua vita, molti prestigiosi e importanti incarichi ha rivestito, e molte occasioni ha avute (alcune cogliendole con opportunismo, altre sprecandole malamente). Perché, nel punto più basso della sua immagine pubblica, non avendo ormai dinnanzi a sé alcuna seria prospettiva politica (che non sia mettersi personalmente al rimorchio di Casini o di Montezemolo, o cercare di cavalcare strumentalmente Monti, o addirittura pensare di rifare un giorno pace con Berlusconi), non coglie l'occasione per annunciare un passo indietro che sarebbe sicuramente apprezzato dagli italiani e darebbe un senso compiuto ad una carriera che rischia altrimenti di trasformarsi (e dovrebbero bastare i sondaggi a convincerlo) in un decllino sempre più triste e inesorabile?

3 commenti:

  1. Fini deve essere giudicato e quindi condannato senza ma e senza se, per le scelte equivoche delle due donne della sua vita. La sua prima moglie già sposata, con rito religioso, con un militante del MSI, iniziò con Fini una tresca scandalosa, mentre il marito per motivi politici,era al confino di polizia.Il coniuge legittimo, appreso della tradimento vergognoso, tentò il suicidio sparandosi un colpo di pistola alla pancia. Sulla seconda poi...ex concubina del faccendiere latitante a Santo Domingo Gaucci, invito tutti a guardare il video relativo alla loro relazione (fruibile solo sui video del quotidiano di sinistra La Repubblica) stendo un velo pietoso. Concludo ricordando il sempre celebre detto dei nostri padri, che vale anche per Berlusconi:"Tira più un pelo di figa che un carro di buoi!".Fini dimettiti e sparisci o a Santa Lucia o a Montecarlo!

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  2. Più che un suicidio tentato fu un gesto plateale, al culmine di una lite con la donna, di colpevolizzazione, perché a quel che mi hanno raccontato si sparò di taglio nel grasso dello stomaco, la versione machista della bevuta di varrechina di tradizione per le casalinghe esasperate ...

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  3. Insomma come dire, neanche piu'il Prof. Alessandro Campi, il massimo teorico delle " identità dinamiche e liquide " e non piu' radicate e radicali , ex braccio destro di Tarchi e ideologo di tutte le nuove-destre e destre nuove (formazioni finiane del Fli...) è convinto che si possa Fare Futuro con tali personaggi ...
    Al massimo si puo' fare qualche affare immobiliare insomma del business nel presente ....

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