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Il muro della memoria e gli anni di piombo: a Cabona non piace il film della Giralucci


(umt) Maurizio Cabona debutta sul   Web magazine Barbadillo, criticando, in controtendenza, il docu-film di Silvia Giralucci presentato di recente al Festival di Venezia. I temi sollevati dal critico cinematografico (definizione di routine e ultrariduttiva: stiamo parlando di uno degli intellettuali più prestigiosi di quella che un tempo si chiamava Nuova destra) sono a noi particolarmente cari e vi abbiamo dedicato decine di pagine: il diritto dovere alla memoria, il conflitto tra sua dimensione privata e pubblica, il suo uso politico, il superamento degli steccati. Cabona, in estrema sintesi, "accusa" Silvia Giralucci di NON avere fatto un video dedicato al padre, al contrario di quanto sostenuto dai tanti elogiatori dell'opera. Gli argomenti che più in generale la fascisteria oppone alle scelte della Giralucci (ce n'è traccia anche in alcuni commenti polemici a precedenti miei post dedicati tanto al libro quanto al film) sono fondamentalmente quattro:

1) le prime due vittime delle BR per moltissimi anni non sono state riconosciute in quanto tali solo perché fasciste
2 ) Padova ci ha messo trent'anni a ricordarle con una targa
3) La stampa italiana li ha prima calunniati e poi dimenticati.
4) gli unici a ricordarli in tutti questi anni sono stati l'Msi e l'ambiente di destra in generale, che non li ha scippati a nessuno in primo luogo perché erano davvero militanti del Msi e poi perché non c'era nessuno cui scipparli, visto che un'intera città aveva loro voltato le spalle.
Il problema, a mio parere, è che Silvia Giralucci non ha inteso fare un libro sul padre, come avrebbero voluto l'editore e la casa di produzione e questa scelta le è costato sicuramente del lavoro (e della fatica) in più e del guadagno in meno. Il ricordo del padre (per lo più immaginario) l'ha coltivato nella sua sfera privata, nei suoi sogni. Convinta che quello che conta è come egli sia vissuto e non solo come sia morto. E questo padre c'è, nell'ultima scena del documentario. Il suo personale viaggio nell'orrore ha deciso invece di farlo allargando lo sguardo all'intera realtà padovana degli anni di piombo, all'incubo della violenza politica quotidiana che, senza raggiungere la dimensione tragica di quel 17 giugno 1974, ha segnato nel bene e nel male, la vita di migliaia di persone. E trovo particolarmente apprezzabile la decisione di rappresentare anche le ragioni di chi in quegli anni si era schierato dalla parte del torto, come la giovane leader autonoma di Psicologia, oggi ritornata in Calabria.  

4 commenti:

  1. Già avevo mosso le mie deduzioni critiche nei confronti della Giralucci,ora le rinnovo.Evidentemente le porte sbattute in faccia, alla figlia di un fascista assassinato (il male assoluto, quindi vittima colpevole!)non le hanno insegnato nulla.Il fatto è che i figli è risaputo non si fanno con la testa ...e vengono come vengono.Sono certo che il primo a dolersi delle continue peregrinazioni della figlia, a bussare porte e redazioni,anticamere delle autorità politiche,religiose,culturali,nel vano tentativo di riconciliazione, sarebbe il padre.Concludo ancora una volta, con il nostro celebre rito funerario,urlando a squarciagola, nonostante e contro la figlia, Camerata Giralucci presente!

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  2. la scelta dell'anonimato fa decisamente a cazzotti con la pretesa di richiamare precedenti interventi...

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  3. In un articolo di Annalisa Terranova sul Secolo la Giralucci risponde così alle critiche: «È chiaro che un film su mio padre sarebbe stato più interessante ma io considero questo un mio dolore privato e ho scelto di fare un film sugli anni Settanta.
    Sarà, ma da come lo presentavano i giornali non sembrava proprio così. Hanno sbagliato i giornalisti, come al solito? Qualcuno ci ha marciato, magari i produttori? Chissà? A me sembra che ci siano state delle forzature mediatiche: certo essere presentati a Venezia è un bel colpo...

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