Lo choc della destra radicale americana per l'11 settembre/1
Dopo "gli attacchi alla America" ho scritto di getto un corposo volume sul terrorismo di matrice religiosa negli Stati Uniti e la destra radicale. L'ultimo capitolo del libro "In god we kill" era dedicato al dopo 11 settembre e alle reazione dell'ambiente allo choc. In attesa di vedere le reazioni odierne, vediamo allora che successe. Questa è la prima parte.
Dopo gli attacchi all'America dell'11 settembre scorso la destra radicale si distingue per un comportamento schizofrenico. Nel chiuso delle chat o ai microfoni delle radio si scatena l'esaltazione della geometrica potenza degli “straccioni” di Bin Laden mentre i soldati di strada scatenano la caccia all'arabo. Per Peter Brimelow, fondatore di V-DARE, “è l'immigrazione, stupido!”.
Gruppi come il FAIR e il VCT invocano l'espulsione di tutti i non americani. Ovviamente ce n'è anche per i cultori della cospirazione pronti ad attribuire la responsabilità delle stragi a Israele. I bigotti sudisti si battono il petto contriti: “Noi abbiamo amato le cose - urla dal pulpito il ricostruzionista Steve Wilkins - e adorato Mammona. Non è un caso che i terroristi scelgano come bersagli il WTC e il Pentagono. Simbolo di due dei grandi idoli del nostro paese: denaro e potere militare. Noi abbiamo peccato come nazione”.
Un telepredicatore mainstream come Jerry Falwell suona le stesse corde, accusando di complicità “pagani, abortisti, femministe, gay, lesbiche, associazioni per i diritti civili”. L'immarcescibile Phelps riesce ancora a prendersela con i froci (uno dei piloti degli aerei dirottati) mentre il presidente della League Of South Michael Hill attacca i “frutti naturali di un regime impostato sul multiculturalismo e la diversità”. “Stanno senza dubbio cercando di orientare al pregiudizio i timori e la rabbia della gente - dice Mark Pitcavage dell'Anti Defamation League, agenzia ebraica di contrasto all'antisemitismo - stanno cercando di dirigere l'odio”.
Il decano dell'odio antisemita, Richard Butler spiega subito l'alternativa: “O si lotta con gli ebrei contro al Qaeda, o si lotta con al Qaeda contro gli ebrei”. Per Julian Veil, della Coalizione per la Libertà Americana “sono in molti a pensare che dietro a questo attentato ci sia il governo federale. Lo scopo? Incolpare le Milizie e Patriots per scatenare l’opinione pubblica contro questi gruppi. Tutto è possibile attraverso il nostro sistema di media socialisti…”.
Il decano dell'odio antisemita, Richard Butler spiega subito l'alternativa: “O si lotta con gli ebrei contro al Qaeda, o si lotta con al Qaeda contro gli ebrei”. Per Julian Veil, della Coalizione per la Libertà Americana “sono in molti a pensare che dietro a questo attentato ci sia il governo federale. Lo scopo? Incolpare le Milizie e Patriots per scatenare l’opinione pubblica contro questi gruppi. Tutto è possibile attraverso il nostro sistema di media socialisti…”.
Rocky Suhaycla, leader del Partito Nazista Americano applaude Osama ma si rammarica che a infliggere lo straordinario colpo a Jew York (la città degli ebrei) non siano stati i suoi: “Che cosa c'è di sbagliato semplicemente nell'accettare il fatto che un manipolo di coraggiosi hanno voluto morire per qualcosa in cui credono e l'hanno fatto? Io dico che la vera disgrazia è che in una nazione di oltre 150 milioni di bianchi ariani dobbiamo farci umiliare da un manipolo di sporchi arabi con l'asciugamano in testa”.
Billy Roper, responsabile del reclutamento di Nazioni Ariane (un incarico che fu coperto da Bob Mathews) esprime la stessa insoddisfazione nel sito web del gruppo: “Chiunque sia disposto a pilotare un aereo contro un edificio per ammazzare degli ebrei a me va bene… vorrei che i nostri membri avessero la metà di questa forza virile”. “Ariani, sappiate che il momento di agire è adesso, non dopo, perché l'opportunità potrebbe non ripresentarsi più - avverte Paul R. Mullet, leader del Minnesota di Nazioni Ariane - mi chiedono di attivare la mia unità, io sono più che pronto”.
La chiamata alle armi di gruppi rivoluzionari e separatisti sembra non avere particolare successo mentre gli unici segni di disponibilità all'“unione sacra” provengono dai superstiti del movimento miliziano. L'ufficiale di collegamento della Milizia del Sud Oregon, Carl Worden sottolinea l'attacco di agenti stranieri mentre lo squalificato Norm Olson mette a disposizione della Casa Bianca i suoi uomini.
La chiamata alle armi di gruppi rivoluzionari e separatisti sembra non avere particolare successo mentre gli unici segni di disponibilità all'“unione sacra” provengono dai superstiti del movimento miliziano. L'ufficiale di collegamento della Milizia del Sud Oregon, Carl Worden sottolinea l'attacco di agenti stranieri mentre lo squalificato Norm Olson mette a disposizione della Casa Bianca i suoi uomini.
Per Richard Uviller, esperto di crimini di odio alla Columbia University Law School, fomentare il panico potrebbe ritorcersi contro: “Far crescere il senso di ansia fino a questo punto non sarebbe nell'interesse dei gruppi nazionali, perché fa il gioco dei terroristi”. Ma le misure di sicurezza urtano nervi scoperti e paranoie diffuse: i maggiori poteri di sorveglianza e di indagine per lo FBI e la presenza di personale federale e militare in aeroporti, stazioni, stadi sono percepiti come provocazioni. La proposta di un sistema di identificazione nazionale con carte di identità personali è considerato un modo di approfittare dell'emergenza per imporre un dominio “oppressivo”. E infatti viene ben presto lasciata cadere dagli stessi proponenti.
Il progetto di aerei NATO che sorvegliano i cieli resuscita i fantasmi degli elicotteri neri pronti a calare per deportare i miliziani. La rapida perdita di fiducia degli americani sulla capacità del governo di gestire la crisi favorisce la circolazione di deliri e boatos. I ripetuti allarmi sull'imminenza di nuovi attacchi - nonostante i mille arresti indiscriminati - e l'incapacità di venire a capo della campagna bioterroristica, gestita in modo ondivago e vigliacco, fanno dimezzare in un mese il numero di chi ha “molta fiducia” nell'abilità del governo di proteggere i cittadini. Metà degli americani è convinta che le autorità nascondono informazioni mentre solo il 28 per cento pensa che Bin Laden verrà catturato.
A fare le spese dell'ondata xenofoba e patriottica sono centinaia di immigrati terzomondiali ma anche cittadini americani di origine asiatica ed africana. Particolarmente martoriata è la comunità sikh, indiani colpevoli di usare turbante e barba e quindi confusi indiscriminatamente con gli odiati musulmani: in tre settimane si registrano 274 attacchi e l'omicidio del titolare di una pompa di benzina in Arizona, Balbir Singh Sodhi, ammazzato da Frank Silva Roque, un suprematista bianco protagonista di un raid razzista (spara anche contro un dipendente libano-americano di un'altra pompa di benzina e la casa di una famiglia afghana).
A un mese dall'attacco all'America gli episodi registrati sono più di 700. Due pachistani sono ammazzati a Coney Island. In California è assassinato uno yemenita che viveva in America da 35 anni, mentre i familiari di un commerciante egiziano “ucciso per rapina” fanno notare che i banditi hanno lasciato i soldi in cassa. Altrettanto sospetto è l'omicidio di un droghiere pachistano in Texas. In Illinois un marocchino è ferito a colpi di machete, a Salt Lake City sono incendiati due ristoranti pachistani. I vendicatori dell'onore nazionale non risparmiano le moschee (a Dallas, nello Stato di Washington) e neanche i tempi hindu (nel New Jersey). (1 - continua)
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