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Adinolfi: Mangiameli, un delitto inaccettabile, ma Bologna non c'entra

 

(umt) Quello ai danni di Francesco Mangiameli, leader siciliano di Terza Posizione, è forse il delitto più feroce e, al tempo stesso, stupido dei Nar di Valerio Fioravanti. Perché ammazzano a tradimento un camerata con cui stavano collaborando e non hanno poi mai saputo dare una spiegazione sensata del delitto. 

Il fatto, però, che quasi sempre si ammazza per un motivo ha finito per legittimare, a sua volta, il sospetto che Mangiameli sia stato ucciso per coprire il "segreto della strage di Bologna", di cui sarebbe venuto a conoscenza. E questo paralogismo fallace è stato uno dei chiodi che hanno crocifisso Francesca Mambro e il marito a una condanna che è francamente fondata su elementi assai inconsistenti. Che non sia un delitto premeditato lo suggerisce la modalità dell'approccio: prelevano Mangiameli davanti a un suo amico. 

Oggi è il 43esimo anniversario e abbiamo perciò chiesto a Gabriele Adinolfi, il fondatore di Terza posizione, una testimonianza sui fatti. Seguirà la ripubblicazione della ricostruzione storica di Nicola Rao nella Trilogia della celtica 

Quarantatré anni fa emerse da un laghetto vicino Ostia un corpo che si rivelò essere quello di Francesco Mangiameli non più tornato da un appuntamento con i Nar della gestione Fioravanti. Io ero a Milano, già latitante da una decina di giorni e più, ma seppi che in effetti si era trepidato per Francesco sparito dopo quell'appuntamento al quale era stato sconsigliato di recarsi.

A Ferragosto, a Passignano sul Trasimeno, Giorgio Vale, passato di recente con i Nar, era venuto infatti per avvertire Roberto Fiore e il sottoscritto che Giusva Fioravanti voleva uccidere Mangiameli a causa di una lite sopravvenuta, quando si trovava in clandestinità a casa sua a Palermo, per avere egli sostenuto la figlia di nove anni nella disputa di un Topolino con il suo ospite. A tutti parve una follia, ma lo avvertimmo e se ne rise.

In seguito i suoi uccisori diedero diverse spiegazioni, tutte poco credibili e comunque cambiate di volta in volta: non meno di tre. Finché, molti anni più tardi, non fu liquidato il tutto come una sciocchezza, perché all'epoca si moriva anche senza ragione.

Dalle ricostruzioni sembrerebbe che al termine di un faccia a faccia su questioni sostanzialmente insulse, quando la tensione era ormai calata, sarebbe stato Cristiano Fioravanti a sparare all'improvviso concludendo in tragedia una situazione assurda.

Intanto quell'omicidio e l'occultamento del corpo, venuto meno perché il laghetto venne dragato l'indomani, hanno convinto la Procura di Bologna che l'assassinio fosse stato premeditato perché Ciccio – così lo si chiamava tutti – avrebbe avuto le prove del coinvolgimento di Fioravanti e Mambro nella strage di Bologna. Il che è falso, perché non furono di sicuro loro a commettere quell'attentato. 

Ma c'è di più: il colonnello Amos Spiazzi, agente della Nato e teste d'accusa in alcuni processi aveva rilasciato proprio intorno a ferragosto un'intervista in cui si parlava di un tal Ciccio come l'uomo chiave tra la politica e la lotta armata, e ne aveva parlato in modo che ci sembrò subito un messaggio perché fosse eliminato.

L'uccisione, l'occultamento del corpo e l'intervista sono servite molto alla Procura per il teorema bolognese perché le faceva comodo così; ma, posto che ci sia correlazione tra il crimine e il messaggio, non andrei di sicuro a cercare nell'ambito della strage.

Non ho alcun elemento per collegare tra loro i puntini e quindi evito conclusioni. Quello che a me pare però abbastanza chiaro riguardo al tentativo di far sparire il corpo è la necessità intervenuta di non bruciarsi il terreno intorno. Siamo nella seconda di tre o quattro diverse fasi Nar. 

La prima era quasi esclusivamente fatta da gente del Fuan, ora iniziava a nutrirsi dell'esasperazione dei militanti TP davanti alla repressione improvvisa e furibonda. In realtà una prima fuga era avvenuta quando s'iniziò a progettare la liberazione di Concutelli e Vale chiese di poter agire insieme a Fioravanti. Nella primavera del 1980 un paio di azioni cruente avevano già portato, a nostra insaputa, alcuni operativi a diventare praticamente dei Nar. Posso dire tranquillamente che se non avessero ucciso Mangiameli, da settembre del 1980, quei Nar avrebbero reclutato numerosi dei nostri che, invece, manifestarono l'intenzione di vendicarlo. 

Ma non è l'unica ragione che spiega l'occultamento: c'erano anche i fiancheggiatori d'area che non necessariamente avrebbero aperto le porte a chi aveva ucciso un camerata. Fu così che, a giustificazione di tutto ciò, venne tirata in ballo da loro una presunta volontà di fare pulizia dei vertici del movimento accusati di mandare gli altri allo sbaraglio – ed era più che falso – e di essere scappati con la cassa del Movimento.

Quando si parla di gente che scappa con i soldi ci si crede sempre. A chi me lo chiedeva replicavo: “e tu che avresti fatto, li avresti sepolti finché non andassero fuori corso o avresti finanziato la latitanza di chi era libero?” Immancabilmente mi rispondevano che ci avrebbero finanziato la latitanza. “Anche io, se fosse esistita una cassa”. Perché il bello è che non c'erano casse del Movimento, tranne gli introiti del giornale.

Quando poi Giusva Fioravanti ferito, fu catturato e messo nel carcere con Concutelli, per timore che questi lo uccidesse per via della sua amicizia con Ciccio, una persona redasse un comunicato particolarmente infangante nei riguardi della sua memoria e anche di noi dirigenti di Tp. A quel punto diversi ragazzi insorsero e volevano lavare l'onta, sicché decisi che mi sarei mosso io. Il mio rientro fu intralciato da un personaggio che non ritengo pulito e che non mi pare il caso di nominare, e allora rientrai sciando e appianai tutte le questioni con i Nar, scoprendo anche che quel comunicato era stato un blitz a loro insaputa. 

Mi fu confermato che dopo le spiegazioni dell'omicidio di Ciccio si era pensato di uccidermi e lo seppi da qualcuno che lo aveva in effetti pianificato. Per circa cinque mesi ci frequentammo costantemente aiutandoci a vicenda, tant'è che subii una condanna associativa nel processo Nar 3. A tutti, nessuno escluso, l'assassinio di Francesco era sembrato qualcosa di ingiustificabile e privo di un senso preciso, tranne la pazzia.

Io, che ho scambiato tre parole in carcere nel maggio 1980 con Cristiano Fioravanti e non ho mai conosciuto Giusva, non so proprio dire se c'è dell'altro, che di sicuro non riguarda Bologna.

Francamente me lo auguro, spero che sia stato ucciso perché aveva scoperto qualcosa di cui qualcuno dovesse vergognarsi, perché avrebbe più senso di quest'assassinio privo di spiegazioni razionali e ci sembrerebbe un tantino meno inaccettabile.

Quello che devo registrare con disappunto è la mediocre natura umana che è emersa in seguito. In un mondo tutto sommato romanocentrico nessuno si è occupato di onorare come dovuto un siciliano; poi c'è la leggenda della guerra Nar-Tp, che è circoscritta ad una precisa gestione storica limitata nel tempo (durerà cinque mesi) e siccome c'è la fascinazione del più cazzuto non si è di certo fatta la fila per andare a onorare un camerata tecnicamente ucciso dai Nar, non sapendo che per la loro stragrande maggioranza fu qualcosa di ingiustificabile né capendo che la vita non va a schemi.

Un limite che ho notato anche nei giudici di Bologna che quando m'interrogarono nel 2018 non capivano perché mai continuassimo ad aiutare Luigi Ciavardini benché avesse partecipato ad un atto che era palesemente mosso contro di noi (l'assalto al Giulio Cesare). È che gli schemi sono buoni per quelli che le cose non le vivono, ma non funzionano se non per costruire una storia a cassetti. I musei, non l'arte.

La ricostruzione di Rao - 1

La ricostruzione di Rao - 2

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