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9.9.80/1. L'omicidio Mangiameli. La versione dei Nar

(umt) Quello ai danni di Francesco Mangiameli, leader siciliano di Terza Posizione è forse il delitto più feroce e, al tempo stesso, stupido dei Nar di Valerio Fioravanti. Perché ammazzano a tradimento un camerata con cui stavano collaborando e non hanno poi mai saputo dare una spiegazione sensata del delitto. Il fatto, però, che quasi sempre si ammazza per un motivo ha finito per legittimare, a sua volta, il sospetto che Mangiameli sia stato ucciso per coprire il "segreto della strage di Bologna", di cui sarebbe venuto a conoscenza. E questo paralogismo fallace è stato uno dei chiodi che hanno crocifisso Francesca Mambro e il marito a una condanna che è francamente fondata su elementi assai inconsistenti. Che non sia un delitto premeditato lo suggerisce la modalità dell'approccio: prelevano Mangiameli davanti a un suo amico. 
Quella che segue, divisa in due parti, è la ricostruzione che Nicola Rao fa della vicenda.
Qui la seconda parte del testo di Rao
Qui la testimonianza di Gabriele Adinolfi, pubblicata oggi su Fascinazione 



Tra il blitz del 28 agosto dei magistrati bolognesi – contro i quadri del Fuan e di Costruiamo l’Azione e i due capi di Terza Posizione – e quello dei colleghi romani del 23 settembre che, di fatto, smantella e pone fuori legge Tp, avviene un episodio drammatico che farà esplodere una vera e propria guerra intestina tra Nar e Tp: l’omicidio di Francesco «Ciccio» Mangiameli

Alle origini dello scontro

 La situazione precipita nel luglio precedente, quando Fioravanti, Vale e la Mambro si trasferiscono per alcune settimane in Sicilia, ospiti della famiglia Mangiameli, nella loro casa al mare. Da un lato bisogna definire, una volta per tutte, i dettagli per questa benedetta (o maledetta, ormai) liberazione di Concutelli. Dall’altro è un’occasione per starsene un po’ tranquilli, lontani da Roma (e dalla polizia) a prendere il sole.
Ma questa convivenza farà venire definitivamente a galla una serie di contrasti tra Mangiameli e i suoi giovani ospiti. Incompatibilità caratteriali, culturali, politiche e umane, che porteranno la tensione tra loro a un limite estremo.
Mangiameli, da vecchio evoliano, non vede di buon occhio il fatto che Vale sia un mulatto. Ne parla apertamente con Fioravanti, che gli risponde a brutto muso. A sua volta, Fioravanti sgrida la figlia dodicenne di Mangiameli davanti ai genitori perché, a suo giudizio, è maleducata e invadente. E poi,
come abbiamo visto, c’è sempre il retropensiero maturato nei mesi precedenti, sulla «vigliaccheria» di Ciccio e sulla sua scarsa attendibilità. 

Le ruggini tra giovani e capi di Tp

Il tutto unito a una serie di accuse che i giovani di Tp Ciavardini, Soderini e Belsito (passati ormai nei Nar al seguito di Vale) lanciano ai loro vecchi capi, in particolare Fiore e Adinolfi. Si parla di proventi di rapine e furti consegnati in toto ai due leader, senza che se ne conosca l’impiego. Si aggiunge che i due non sono mai scesi in campo personalmente, preferendo restare nell’ombra, utilizzando (per Fioravanti «sfruttando») i ragazzini. E si arriva a immaginare che parte di quei soldi sia finita anche nelle tasche di Mangiameli. I Nar a quel punto vanno oltre e arrivano a concludere che, se tanto mi dà tanto, Ciccio si sarà intascato anche i soldi che gli avevano affidato loro, come fondo cassa per preparare l’evasione del «comandante».
 
Insomma, tutta questa miscela di supposizioni, illazioni e indiscrezioni convince Fioravanti che i leader di Tp (Fiore e Adinolfi, ma anche Mangiameli e Marcello De Angelis) siano personaggi da eliminare, perché «indegni».
Nel settembre successivo, dopo il loro ritorno a Roma, i Nar vengono a sapere che la famiglia Mangiameli, insieme a una coppia di loro amici (Alberto Volo e Aurelia Veneziano), è ospite di un siciliano in odore di mafia, Salvatore Davì, che si trova in soggiorno obbligato in Umbria.
Scatta la trappola. Alcuni ex di Tp, ormai vicini ai Nar, scoprono che Mangiameli arriverà a Roma, perché alle 10.30 del 9 settembre ha un appuntamento a Porta Pia proprio con Fiore a Adinolfi [entrambi latitanti perché colpiti da mandato di cattura nel primo blitz sulla strage di Bologna, ndb] 

La trappola

.Uno di loro, su incarico di Fioravanti, contatta a sua volta Mangiameli e gli dà un appuntamento nello stesso posto un’ora più tardi. La mattina di quel 9 settembre Ciccio, senza sospettare nulla, sale sull’Alfasud del suo amico Davì e, in compagnia di Volo, parte verso Roma. Dopo che Mangiameli e Volo hanno incontrato Fiore e Adinolfi, i due capi di Tp se ne vanno, mentre i siciliani rimangono ad aspettare il camerata di Tp che gli ha chiesto un ulteriore appuntamento. Si tratta di Dario Mariani, ex caponucleo di Tp al quartiere Trieste e ormai sempre più vicino ai Nar.
Arriva una Golf metallizzata. Al volante c’è Cristiano Fioravanti. Al suo fianco Mariani. Mangiameli non conosce Cristiano, quindi la sua presenza non gli suggerisce nulla. Mariani scende dall’auto, saluta i due siciliani, poi invita Ciccio a salire sulla Golf dicendogli una mezza verità: «Valerio vuole parlarti».
 

Da Roma alla pineta di Castelfusano

Mangiameli, a quel punto comincia a sospettare qualcosa, ma si sarà detto: se avessero voluto ammazzarmi, l’avrebbero già fatto. Così saluta il suo amico Volo e sale sull’auto guidata da Cristiano. La Golf si mette in moto, seguita, all’insaputa di Ciccio, da un’altra Golf, guidata da Valerio, con a bordo anche la Mambro e Vale. 
Le due auto escono da Roma e si dirigono verso il mare. Arrivano alla pineta di Castelfusano, in un posto chiamato Casina del bosco. Rallentano, spengono i motori e invitano Mangiameli a uscire dall’auto. Valerio gli si avvicina, mentre Cristiano tira fuori una pistola e gliela punta addosso. Ciccio viene portato da Valerio, Cristiano e Vale dentro la boscaglia, mentre la Mambro e Mariani restano alle auto.

L'orrendo rito

Ecco come Cristiano ha ricostruito la scena al processo:
«Mi volete uccidere?» chiese Mangiameli. Valerio gli afferrò i polsi, strattonandolo e urlando: «Hai finito di rubare», e poi esclamò, rivolgendosi al fratello: «Non ho più niente da dire». Cristiano Fioravanti esplose un colpo, mirando alla testa, all’altezza dell’orecchio. La vittima stramazzò al suolo. Cristiano svitò dall’arma il silenziatore. Il cuore di Mangiameli batteva ancora.
Valerio prese la pistola di Cristiano, gli applicò il silenziatore e sparò un altro colpo. Vale, su suggerimento di Valerio Fioravanti («Vediamo se riesci finalmente ad ammazzare qualcuno»), con la medesima arma consumò l’orrido rito, esplodendo un terzo colpo, mirando anche lui alla testa. Da una delle autovetture furono presi due sacchi di plastica tipo nettezza urbana.
Sopraggiunsero Francesca Mambro e Mariani. Il cadavere, inserito nei sacchi, fu lasciato sul posto, occultato in un cespuglio. Cristiano Fioravanti rientrò a Roma, viaggiando in macchina con Mariani. Da solo raggiunse l’abitazione di Massimo Sparti, con il quale pranzò. Si accorse di piccole tracce di sangue sulle scarpe e sui pantaloni e raccontò all’amico, a giustificazione, di aver avuto una lite per motivi di viabilità stradale. 

L'occultamento del cadavere

La sera, i cinque complici cenarono insieme in un ristorante. Cristiano Fioravanti e Mariani arrivarono per primi. Vale, Valerio Fioravanti e Mambro con notevole ritardo.
Essi riferirono che, dopo aver appesantito il cadavere con «piombi» da sub [...], lo avevano gettato in un laghetto. L’occultamento-soppressione del corpo avrebbe consentito l’attuazione del piano che prevedeva l’uccisione di Sara Amico [moglie di Mangiameli, N.d.A.], che era «più pericolosa di Mangiameli» e, soprattutto, di Fiore e Adinolfi «per ripulire il vertice di Tp» i cui capi erano ritenuti «profittatori e traditori».
In dibattimento, sia Valerio sia Francesca forniranno la loro versione dei fatti che, sostanzialmente, non è molto diversa da quella di Cristiano.

Valerio dixit

 Ecco cosa dirà Valerio davanti ai giudici della V Corte d’Assise di Roma, evitando però di fare il nome del camerata di Tp che aveva «agganciato» Mangiameli:
Il «professore» doveva essere «fermato» perché, pur essendo inaffidabile e moralmente poco adatto, era in procinto – su incarico di Fiore e Adinolfi, egualmente colpevoli – di assumere la direzione politica di un numero rilevante di giovani del Movimento.
Ma, liquidandolo, c’era il rischio che il progetto di evasione di Concutelli, del quale progetto era stato promotore, saltasse. La moglie, e così Volo e così «chiunque di quell’entourage», avrebbero potuto informare l’Autorità. Per cui «dovevano morire tutti quelli che potevano rivelare» l’intenzione del gruppo di liberare l’assassino del giudice Occorsio. Il corpo della vittima fu arrotolato in un telo di cellophan (e non in sacchi per la spazzatura) e la notte, dopo lo zavorramento, precipitato in un laghetto.
Era stato comprato un coltello da cacciatore, perché «la teoria dice che per far sparire un cadavere bisogna aprirgli la pancia [...] per evitare che la putrefazione», gonfiando lo stomaco, lo faccia galleggiare, ma lo squarciamento non fu effettuato. Raggiunsero il ristorante, dove li aspettavano gli altri complici, con notevole ritardo. Era prevista per i giorni successivi la «ricerca» di Fiore e Adinolfi per ucciderli, ma il rinvenimento del cadavere bloccò il piano.

La versione di Francesca

Ecco la versione della Mambro, sempre in dibattimento:
Mangiameli, entrato in contatto con loro per realizzare l’evasione di Concutelli, nel marzo del 1980 doveva partecipare alla rapina di armi del distretto militare di Padova, facendola fallire con il suo comportamento. Nell’aprile non si era fatto trovare a Palermo, dove si erano recati per liberare Concutelli. Nel luglio li aveva ospitati a Tre Fontane per poi cacciarli via accampando ragioni di famiglia. 

Aveva dato ospitalità al latitante Luigi Ciavardini per un giorno o due, «sbolognandolo» quindi perché non voleva correre rischi. Aveva preso in affitto per loro la villetta di Taranto, che doveva servire da base per l’operazione Concutelli [nell’autunno del 1980 Concutelli doveva essere trasferito al carcere di Taranto per essere processato per un sequestro di persona, N.d.A.], riuscendo a lucrare denaro separatamente da Valerio e da Vale. Era un «razzista» e parlava male del «negretto» Vale. Ragionava politicamente in termini di organizzazione verticistica con capi, capetti e poveri disgraziati che dovevano fare le rapine pro dirigenti. 

Ai primi di settembre lei e Valerio da Taranto raggiunsero Roma al fine di studiare ed attuare il disarmamento di una pattuglia di Granatieri di Sardegna, dato che a loro servivano alcuni fucili Fal per assaltare il «blindato» durante una delle traduzioni di Concutelli. Vennero a sapere che Mangiameli si trovava a Roma. 
Gli fu dato un appuntamento in una zona centrale. Raggiunsero la pineta. Lei teneva d’occhio l’entrata del vialetto. Mangiameli, vedendo insieme Vale e Fioravanti, capì e disse che avrebbe dato loro tutto quello che volevano: «la macchina, i soldi, la casa».
Dal chiarimento che bisognava chiedergli, «si finì a tutt’altra faccenda». 
Il cadavere emergerà dal laghetto di Tor de’ Cenci e verrà scoperto appena due giorni dopo, facendo saltare il progetto dei Nar. (1-continua)

Fonte: Nicola Rao: Il piombo e la celtica

Il Pdf dello speciale di Fascinazione per il trentennale


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