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17 settembre 1982: l'arresto e la collaborazione di Walter Sordi


Il tenente colonnello Domenico Di Petrillo, responsabile del Nucleo speciale anticrimine dei Carabinieri a Roma è uno dei protagonisti della caccia ai brigatisti rossi e neri della capitale. Qui ci racconta come catturò Walter Sordi e nacque una collaborazione devastante per i Nar.

 La svolta si verificò il 17 settembre 1982 quando la Stazione Carabinieri di Lavinio raccolse la denuncia del proprietario di una villetta, il quale aveva constatato che la sua proprietà era occupata da persone sconosciute. Venne predisposto un intervento che portò alla cattura di Walter Sordi, all’epoca latitante, ed Enrico Tomaselli, entrambi appartenenti ai Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari. Già militante di Terza Posizione, Sordi era esponente di rilievo dell’organizzazione, all’interno della quale si era reso responsabile di efferati delitti. Si accertò poi che la villetta era stata messa a disposizione dal figlio del proprietario, simpatizzante di destra, all’insaputa dei genitori.

Trattandosi di questioni di terrorismo venimmo informati immediatamente. Mi recai io a Lavinio: Nicola Cardoni era in missione a Parigi presso il Renseignements Généraux della Prefettura (Rgpp) per le indagini su una rapina in armeria per la quale era stato arrestato Stefano Procopio, anch’egli militante dei Nar. 

Durante la rapina Procopio si era messo a discutere sulle caratteristiche di un’arma con il proprietario dell’armeria il quale, approfittando di un suo momento di distrazione, aveva reagito ferendolo, e consentendone la cattura. I complici di Procopio, Pasquale Belsito e Vittorio Spadavecchia, ricercati in Italia, riuscirono a fuggire. A Parigi, insieme ai tre, si trovavano anche Fabrizio Zani e Giovanna Cogolli, che però non parteciparono alla rapina.

Il primo incontro con Sordi fu veramente singolare. Manifestò un atteggiamento che lasciò intravedere una possibile disponibilità alla collaborazione. Ne seguì una trattativa rapida e intensa, che terminò in una sorta di accordo d’“onore”, senza particolari richieste o garanzie. Mi disse esattamente che il dialogo tra noi doveva essere paritetico, “da comandante a comandante”.

Un particolare atteggiamento da cui emerse il livello di esaltazione che accompagnava la militanza in quell’ambiente, peraltro a noi noto, sia per l’esagerata efferatezza di certe azioni compite dai Nar sia per le conferme avute dai vari accertamenti.

Anche a causa dell’atteggiamento della madre, timorosa di rappresaglie e perciò stesso tanto esitante da alimentare le incertezze del figlio, Sordi non si pentì subito. Il suo atteggiamento, tuttavia, col passare dei giorni mutò radicalmente, anche grazie al lavoro di convincimento condotto dal personale del nucleo di destra: in particolare da Cardoni, rientrato da Parigi, e dal maresciallo Giuseppe Natoli “Nat”, vero e proprio punto di riferimento per i componenti del nucleo.

Alla fine la madre diventò nostra principale alleata ed ebbe inizio una collaborazione eccezionale, gestita nella massima riservatezza unitamente ai magistrati del pool eversione di destra della Procura di Roma, e specialmente grazie al lavoro del dottor Loris D’Ambrosio.

Le dichiarazioni di Walter Sordi, oltre a chiarire la dinamica e le responsabilità dei vari militanti, consentirono di porre le basi per una serie di operazioni di contrasto sviluppate nei mesi e anni successivi, le quali concorsero allo smantellamento delle strutture e all’arresto di decine di militanti della destra eversiva, con proiezioni operative anche nei riguardi della criminalità organizzata romana.

Inizialmente Walter, oggi una persona interamente recuperata al vivere civile dopo un processo interiore di pentimento genuino, fornì dettagli sulla sua esperienza politica nelle file di Terza Posizione prima e poi nei Nar. Confermò di essere stato in Libano per circa un anno dal settembre 1980, insieme ad Alessandro Alibrandi, Stefano Procopio, Fabrizio De Iorio, per un periodo di addestramento con la Falange Maronita, pur senza partecipare ad attività di combattimento. Nello stesso periodo, a Beirut, li avevano raggiunti in tempi diversi anche i fratelli Lai, Roberto Cettin, Fausto Biloslavo e, per ultimo, Pasquale Belsito.

Raccontò dello scontro a fuoco con una pattuglia della polizia a Milano il 19 ottobre 1981, a cui aveva partecipato con Alessandro Alibrandi e Gilberto Cavallini, nel corso del quale vennero uccisi due dei tre poliziotti coinvolti, Carlo Buonantuono e Vincenzo Tumminello.

Ricostruì in tutti i particolari l’omicidio del capitano Francesco Straullu e dell’agente Ciriaco De Roma, entrambi in servizio alla Digos di Roma, divenuti bersaglio dei Nar in quanto assegnati a indagare proprio sull’eversione di destra. Al delitto, commesso nei pressi di Acilia due giorni dopo la sparatoria di Milano, avevano partecipato anche Alibrandi, Cavallini, Francesca Mambro, Giorgio Vale e Stefano Soderini. E di questa azione Sordi riferì un particolare raccapricciante che dimostrava quanto fosse malata la mentalità criminale dei Nar e povero il loro progetto politico-rivoluzionario. Solo alla fine di una discussione interna avevano infatti abbandonato l’idea di piantare una lancia indiana in petto all’ufficiale dopo averlo ucciso.

Avevo conosciuto Straullu durante la mia permanenza a Nuoro, ove ero comandante del locale Nucleo Investigativo, mentre lui operava nella Squadra mobile della Questura: giovanissimo tenente si poneva in evidenza per entusiasmo e disponibilità.

Sordi attribuì inoltre al latitante Pasquale Belsito la responsabilità dell’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Romano Radici, ucciso il 6 dicembre 1981. Radici e il brigadiere Massimo Rapicetti erano componenti di una pattuglia del Nucleo Radiomobile di Roma e quella mattina, nel transitare in via Marmorata, la loro attenzione venne attratta da due giovani, Belsito e Lai, che sostavano nei pressi di una panchina. 

Al gesto del sottufficiale che, da lontano, li invitò ad avvicinarsi, i due fecero finta di accondiscendere. E mentre Lai, più distante, si avviò verso l’auto di servizio, Belsito esplose due colpi di pistola contro Radici: il primo mentre il graduato si era chinato in terra davanti alla panchina per controllare se i due si fossero disfatti di qualcosa, il secondo da 3-4 metri. Radici, colpito alla base del collo e sotto l’ascella sinistra, stramazzò al suolo, i due scapparono in direzioni diverse, e anche Lai aprì il fuoco, stavolta contro il brigadiere all’inseguimento di Belsito che scappava. 

Mentre attraversava via Marmorata Belsito fu intercettato da un’autovettura della polizia in servizio antiscippo che aveva notato l’inseguimento, ed esplose gli ultimi due colpi contro i due poliziotti in borghese: uno colpì al petto l’agente Colangelo che si salvò solo perché il parabrezza e il portafoglio frenarono l’impatto del proiettile; l’altro poliziotto venne colpito dall’arma ormai scarica scagliata contro di lui. 

Anche Belsito venne raggiunto da un proiettile a un gluteo, ma riuscì a continuare la corsa coprendosi la fuga con un’altra pistola semiautomatica, con la quale continuò a sparare all’impazzata. Barcollante per la ferita rapinò una Fiat 126, abbandonata quando le pallottole degli agenti all’inseguimento riuscirono a colpire uno pneumatico. A quel punto rubò un’altra auto dalla vicina caserma dei pompieri e riuscì a far perdere le sue tracce, fuggendo infine a bordo di un autobus.

Poche ore dopo i Nar giustificarono l’azione con una telefonata a un quotidiano per “vendicare (l’uccisione di, nda) Alessandro Alibrandi” Sordi raccontò di diverse azioni. Un’aggressione avvenuta a Roma il 5 dicembre 1981 contro una pattuglia della Polizia stradale, a fini di disarmo, compiuta insieme a Belsito, Ciro Lai e Alibrandi. Nell’occasione quest’ultimo era rimasto ucciso e vennero feriti gli agenti Salvatore Barbuto e Ciro Capobianco, che morì successivamente. Un assalto analogo compiuto con Cavallini, Vittorio Spadavecchia e Pierfrancesco Vito (era il 24 giugno dell’82) ai danni della pattuglia di polizia in servizio presso la sede dell’Olp di Roma, nel corso del quale furono colpiti gli agenti Antonio Galluzzo, morto durante il trasporto in ospedale, e Giuseppe Pillon.

Riferì pure della rapina all’agenzia Bnl di piazza Irnerio (5 marzo 1982) con Mambro, Vale, Procopio, Roberto Nistri, i fratelli Ciro e Livio Lai e Fabrizio Zani, in cui era stato ucciso il diciassettenne Alessandro Caravillani, che passava di lì per caso, e gravemente ferita la stessa Mambro, poi abbandonata nei pressi dell’ospedale Santo Spirito. Ci informò inoltre dei progetti di evasione di Giuseppe Dimitri dal carcere della Gorgona e di Luigi Ciavardini da quello de L’Aquila.

Le dichiarazioni di Walter Sordi, integrate da quelle di Paolo Stroppiana e Mauro Ansaldi, consentirono di sviluppare una serie di attività operative tra Torino, Milano, Napoli, Brescia, Perugia Rovigo e Roma. Per portarle a termine venne coinvolta l’intera organizzazione anticrimine dell’Arma delle varie città, supportata dall’Arma territoriale. 

Tra il primo e il 6 ottobre effettuammo ben 28 arresti di militanti di assoluto rilievo, responsabili di gravissimi delitti. E tra gli altri anche Massimo Carminati, recentemente tornato agli onori della cronaca in occasione dell’inchiesta “Mafia Capitale”. Fu quella l’operazione che segnò sostanzialmente lo smantellamento completo dei Nar.

Successivamente mettemmo a segno altre catture di militanti importanti, ma per singole attività, riguardanti singoli personaggi, molti dei quali progressivamente fagocitati da attività proprie della criminalità organizzata comune.

FONTE: Domenico Di Petrillo, Il lungo assedio

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