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Macerata, un anno dopo. Traini affida alla Repubblica la sua abiura

"E’ stata come un’esplosione dentro di me" ma ora "ho capito che la pelle non conta". Ad un anno dal
raid di Macerata dove andò a caccia di "negri" (sparando a 9 persone di colore e ferendone 6), Luca Traini si racconta in una lunga intervista a "Repubblica" ricordando quei momenti.
Il 28enne di Tolentino, fascista dichiarato ed ex candidato locale della Lega, confessa che la sua ideologia di estrema destra ha pesato molto e che la tragedia di Pamela Mastropietro (la diciottenne romana uccisa in modo atroce e per la cui morte venne accusato un ragazzo nigeriano) "ha fatto da innesco" al suo atto folle.
"Mi sono immaginato un finale scenografico, in cui la polizia avanzava, io non sparavo sugli agenti, e dunque finivo ammazzato. In quel momento speravo che qualcuno mi uccidesse". Condannato a 12 anni di carcere per strage, porto abusivo di armi, e danneggiamenti dalla Corte d’Assise di Macerata, Traini all’epoca si arrese ma senza mostrare segni di rimorso e invece poi "in carcere ho cominciato a rivisitare i miei gesti, e si e’ fatto strada il pentimento". Questo perché "ha contato vivere con detenuti di ogni Paese: mi ha fatto capire che la pelle non conta. Mi sono reso conto che alla fine siamo tutti poveracci".
Traini poi si dichiara "pronto" ad incontrare una delle persone cui ha sparato solo per chiederle scusa e che non pensa più, come aveva detto, che vale la pena vivere solo per sparare. "In quel momento - ricorda - l’azione mi ha realizzato, mi ha assorbito e mi ha svuotato. Sentivo di dover sparare, l’ho fatto". E ora, in carcere, quella Glock calibro 9 è sotto sequestro "ma idealmente, l’ho già buttata via da un pezzo". E guardando al domani, Traini ha i suoi progetti: "Laurearmi in storia". Mentre Stella la sua fidanzata, "viene sempre a trovarmi, mi aspetta. E’ una fortuna, e uno stimolo, una speranza per il futuro".

Per approfondire
La rivendicazione del raid

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