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14 maggio 1979: autobomba del Mpr contro il carcere di Regina Coeli

Nella notte del 14 maggio 1979, un nuovo attentato [la notte del 20 aprile c'è stato un attentato contro il Campidoglio, ndb]. Stavolta più pesante, perché i chili di esplosivo usati sono tanti da riempire il portabagagli di una Fiat 127, parcheggiata davanti all’ingresso del carcere di Regina Coeli. Il boato è impressionante e butta giù dal letto guardie e detenuti. La 127 salta letteralmente in aria. L’esplosione danneggia decine di auto parcheggiate nei dintorni del carcere. Nell’asfalto della strada si apre una voragine, il portone dell’istituto di pena viene divelto e il muro danneggiato.

La prima rivendicazione arriva mezz’ora dopo, con una telefonata al Tempo in cui una voce maschile dichiara: «Siamo il Movimento Rivoluzionario Popolare, rivendichiamo l’attentato a Regina Coeli». Nella tarda mattinata, nuova telefonata. Ancora a Vita Sera. Che segnala un volantino in un cestino di rifiuti di via Castelfidardo (guarda caso, la stessa via dove anni prima aveva sede Radio Contro). Solito simbolo, con mitra e vanga. Il testo:
Questa notte, alle ore 1.37, un nucleo armato del Mrp ha colpito il carcere di Regina Coeli. Rivendichiamo la determinazione a colpire le strutture portanti del controllo capitalista, gli uomini della ristrutturazione, i meccanismi del potere statale diffuso. Libertà per i detenuti politici. Ma non è finita. Perché il giorno dopo alcuni giornali ipotizzano che il Mrp, al di là del suo linguaggio e dei suoi simboli, sia comunque un gruppo neofascista. Così i suoi militanti tornano a telefonare a Vita Sera, segnalando un nuovo volantino, lasciato sempre nella solita zona: via XX Settembre. Ecco cosa c’è scritto: È inequivocabile che la campagna elettorale [per le elezioni politiche e per le prime elezioni europee, N.d.A.] è nella fase più calda. Riflesso immediato si ha nella rigidità con cui la stampa di questa democrazia assume le sue responsabilità politiche. L’opera di smascheramento è quindi vinta, ognuno si attesta sul proprio fronte. Per quanto ci riguarda, il tentativo di assegnarci una posizione parte dall’analisi della nostra simbologia grafica fino a rintracciare eguaglianza di linguaggio in alcune poesie di Cavalcanti. Del resto la perizia dei «periti» è dimostrata dal fatto che hanno accertato trattarsi di 5 kg di polvere da mina, quando la carica da noi posta era di 55 kg. Miracoli della scientifica. Comunque sia, le masse debbono essere convinte che la guida dell’apparato è affidata a chi non sbaglia mai un piano economico (dal punto di vista del capitalismo è vero). Collocarci a destra non ha quindi altro significato se non quello di aderire alla perfezione alla logica dell’informazione «imparziale». Avevamo deciso di rimandare alcune spiegazioni più oltre. Ciò faremo, sebbene la giornata primaverile ci abbia indotto all’ironia, cosa strana per dei mostri senza cuore né cervello. Nel momento in cui i nuovi strumenti del capitalismo spezzano la composizione di classe e producono una ristrutturazione per «crisi» susseguentisi, lanciamo un appello alle forze rivoluzionarie per l’intensificazione di una pratica di contropotere diffuso, contro il fascismo dello Stato, aprendo un fronte dialettico ed armato che, nella distruzione delle strutture di trasmissione del potere, ricomponga quell’unità di cui ora necessita la rivoluzione.
A entrare in azione, probabilmente, lo stesso gruppo di fuoco del Campidoglio, che ormai ha preso il via e non si ferma più.
Fonte: Nicola rao, Il piombo e la celtica.

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