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Il Fronte nazionale di Freda: vent'anni fa la condanna


Dal libro Naufraghi. Sessant'anni di destra radicale da Mussolini alla Mussolini (Immaginapoli, 2007) il capitolo sul Fronte nazionale di Freda. 

Il dovere di noi Europei, discendenti dalle genti arie d’occidente, è quello di destare le nostre coscienze, attraverso una sorta di ‘educazione militare dell’anima’: ricordare quella grandezza e divinità che costituisce il retaggio dei nostri avi indoeuropei – e che verrebbe annientata nella convivenza con una massa mondiale magmatica. Ricordare e insorgere. Lottare – senza tumulti, né violenze da noi provocati, ma senza transigere col dovere di contrastare la prepotenza degli allogeni – per la salvaguardia delle nostre comunità nazionali e razziali in Europa. Ricordare. Evocare e richiamare alla vita l’antenato ario che è in noi. Tornare alle origini dell’uomo di razza che è stato autore e generatore delle nostre stirpi – ovvero della cultura, dei costumi delle forme di vita della nostra specie. Insorgere. Difendere con generosità di cuore e perseveranza di opere quella terra e quel sangue che incarnano e manifestano, nell’ordine fisico e biologico, quelle potenze naturanti, metafisiche e metabiologiche, che sono gli dei del Sangue e della Terra. ‘Consacrare’ a loro la nostra volontà significa purificarla dalla decadenza – e purificarla equivale a stabilire la condizione fondamentale dell’esito vittorioso del nostro agire.

Dopo 15 anni di prigione Franco “Giorgio” Freda torna sulla scena politica per rispondere alla chiamata degli “dei del Sangue e della Terra”. Il leader più radicale del tradizionalismo rivoluzionario – negli anni tumultuosi dell’insorgenza proletaria e giovanile – aveva individuato nel “vietcong, soldato politico povero ma potente” l’emblema dei popoli in lotta contro il dominio delle superpotenze. Ora l’allarme per l’“invasione allogena” – che sale dalle viscere del Paese profondo ed erutta nelle prime manifestazioni leghiste – lo dissuade dalla scelta di dedicarsi all’“allevamento di anime” che è la sua naturale vocazione. Per anni, infatti, si era affannato a spiegare (memore del velleitario tentativo di “cavalcare la tigre” per “disintegrare il sistema”) che non intendeva più fare politica, anzi (esagerando) aveva ripetutamente negato di averla mai fatta. “Il mio – si era schermito – è solo allevamento pollitico”. Pedagogia rivoluzionaria, opera lenta per formare una nuova generazione di “uomini differenziati” per portare il testimone oltre il crepuscolo del Kali–yuga. La capacità di anticipazione è potente: con la caduta del muro di Berlino, infatti, l’asse del conflitto internazionale ruota di 180°. Alla coppia bipolare Est-Ovest del sistema mondiale subentrerà rapidamente lo scontro frontale tra Nord e Sud.

Il Fronte nazionale (di Freda: per distinguerlo dalle omonime esperienze del comandante Valerio Borghese e poi di Adriano Tilgher) è fondato nel Solstizio d’inverno del 1990, con sede centrale a Milano. Le funzioni di “rappresentanza, guida e coordinamento” sono a lui affidate per tre anni,con la carica di “reggente”. In una prima fase il Fn – con sedi a Milano, Battipaglia  e Verona e presenze a Torino, Varese, Brescia, Ferrara – fiancheggia le edizioni di Ar, che hanno la redazione a casa di Freda, nel Brindisino, e libreria e magazzino a Salerno. Il programma del Fronte, “sodalizio politico che intende custodire i lineamenti essenziali che formano lo Stato nazione” è chiarissimo:

la lotta senza tregua all’immigrazione extraeuropea, la bonifica e il risanamento della vita nazionale dai vari agenti di disfacimento, la segregazione progressiva dei veicoli di infezione sociale, la difesa inattenuata del lavoro e dell’occupazione, la restituzione ai membri della comunità nazionale di spazi di vita sociale.
Il blitz giudiziario scatta a Verona, appena due mesi dopo la retata nazionale contro i naziskin, verso i quali pure il “reggente” non aveva mancato di manifestare la sua inattenuata severità. L’8 luglio 1993 il giudice delle indagini preliminari ordina la custodia cautelare per i dirigenti nazionali Freda, Ferri, Gaiba – coordinatori rispettivamente per il Nordovest e il Nordest – e per i quadri veronesi Trotti, Stupilli, Wallner. 
Le indagini condotte dal pm Guido Papalia avevano preso l’avvio dalla celebrazione del Solstizio di inverno del 1992 all’Holiday Inn di Bardolino, sul lago di Garda, conclusa con il rogo di una pira e il canto dei Carmina burana. Alla cerimonia più sacrale che politica, presieduta da Freda, Ferri e Trotti, avevano partecipato 50 militanti. In vista dei maggiori rischi previsti dalla legge Mancino, Freda aveva deciso di rifondare il Fronte, sulla base di una rigorosa selezione «delle persone più convinte, determinate e motivate». Il reclutamento era già assai selettivo, prevedendo il filtro del responsabile di zona e il controllo per un anno del candidato. 
Nell’appartamento veronese di Trotti1 è sequestrato l’organigramma: 4 coordinatori di zona, al gradino inferiore i responsabili territoriali (tra i quali Trotti, a Verona) un addetto amministrativo a Milano, la libreria a Salerno. La competenza territoriale sarà a lungo e inutilmente contestata dai difensori. Il fatto che l’organizzazione raccogliesse solo 70 militanti in tutta Italia, nonostante la felice intuizione sul potenziale di massa della xenofobia, dimostra al tempo stesso che Freda con la politica “non ci azzecca”, così come l’aleatorietà del rapporto tra esercizio della giurisdizione e realtà. Quando i 49 imputati arrivano alla sbarra, nell’autunno 1995, la ricetta apertamente razzista del movimento ha ormai raccolto insospettati consensi ed è parte significativa del programma politico di un partito, la Lega nord, che è stata per un anno al governo del Paese, con la coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi :
chiusura effettiva delle frontiere all’immigrazione extraeuropea, espulsione immediata degli stranieri clandestini, cancellazione graduale sino all’abrogazione totale della cosiddetta “legge Martelli” e il reimpatrio di tutti gli stranieri extraeuropei il cui soggiorno in Italia risulta finora consentito dalla stessa.
Freda, come suo stile, si difende attaccando:
Cinque anni fa facemmo un’azione di preveggenza sulla questione dell’immigrazione rispetto a proposte che oggi vengono fatte da molte forze politiche democratiche (…) Non sono intollerante, sono intransigente per quello che riguarda il destino delle future generazioni. Abbiamo il dovere di difendere le origini e l’essenza del nostro popolo italiano, di razza bianca e di cultura europea.
Al termine dell’iter processuale2, nel maggio 1999, la Cassazione condanna 41 imputati per violazione della legge Mancino. Pene ridotte dal patteggiamento: 3 anni a Freda, 20 mesi a Ferri (prima condanna dopo le assoluzioni in serie per Ordine nero, il Mar, l’omicidio Buzzi e la strage di Brescia), 16 mesi per Gaiba. E Freda ha dovuto scontare altri 7 mesi di carcere senza vedersi riconoscere i benefici generalmente concessi per i brevi residui di pena anche a pedofili e rapinatori di vecchiette.

NOTE
1 Maurizio Trotti, psichiatra, è perito di parte di Abel e Furlan, i due giovani della Verona bene condannati per le attività di Ludwig, la prima banda terroristica italiana in cui gli aspetti magico-esoterici prevalevano sulle istanze politiche.
2 Il collegio del riesame, respingendo l’istanza di scarcerazione di Ferri, aveva già sottolineato il mancato passaggio dalla teoria alla pratica e l’inidoneità dei mezzi (meno di 107 milioni di bilancio annuale) alla ricostruzione del Pnf, confermando la custodia per la legge Mancino. A settembre solo i tre leader nazionali restano in carcere. Dei 64 imputati iniziali, 49 sono rinviati a giudizio e 45 sono condannati in primo grado: Freda a 6 anni, Ferri e Gaiba a 4 anni, gli altri a pene minori. Dopo la condanna in appello, il Viminale dispone lo scioglimento del gruppo.

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