Header Ads


Roberto Berardi lancia l'appello : libertà per gli altri italiani bloccati in carcere in Guinea



(gp) L'imprenditore Roberto Berardi è tornato nella sua Latina, da poco più di un mese, dopo una allucinante vicenda penitenziaria in Guinea Equatoriale.  Ha raccontato molti aspetti della sua prigionia, soprattutto quelli più umani e profondi che hanno caratterizzato la vicenda di un Italiano, ingiustamente detenuto in un paese difficile e complesso come la Guinea Equatoriale.
Berardi, più volte, ha ringraziato chi lo ha sostenuto durante la detenzione ma ricorda a sé stesso e all'opinione pubblica che la sua battaglia continua. Chiaro e preciso è il riferimento agli altri tre italiani detenuti nel carcere di Bata, in Guinea Equatoriale, dove l'imprenditore di Latina ha trascorso gli ultimi due anni e mezzo di vita.
Roberto Berardi fu arresto con l'accusa di truffa, sottoposto a processo e condannato. E' stato liberato lo scorso 9 luglio, ma la notizia è arrivata in Italia il 14 luglio, dopo mesi trascorsi tra torture e malesseri fisici che hanno fatto temere per la sua vita.
Dalla sua pagina face book Roberto Berardi lancia un appello per la libera di altri cittadini italiani detenuti in Guinea Equatoriale. Appello che pubblichiamo interamente.

Gentile Ambasciatore Giulio Terzi ,caro amico Simone Di Stefano, Senatore Luigi Manconi , Onorevole Antonio Tajani abbiamo ancora del lavoro da fare.
Amici di Casa CasaPound Italia di Sovranità, di Nessuno tocchi Caino Amnesty International - Italia Open Society Foundations Human Rights Watch Diario Rombe Radio Macuto Guinea Ecuatorial Tvcored Cored abbiamo del lavoro da fare.
Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni noi non dimentichiamo, sono ancora li´, aspettiamo, le Famiglie aspettano, tutti aspettano, ho dobbiamo fargli vivere per forza quello che ho vissuto io


La storia di cinque italiani, bloccati in carcere in Guinea, ci viene raccontata dal collega Lorenzo Simoncelli su La Stampa, articolo che pubblichiamo interamente



Altri 5 italiani bloccati in carcere in Guinea

A processo un gruppo di lavoratori nell’edilizia: sono accusati di truffa, estorsione e riciclaggio. Rischiano un calvario come quello di Roberto Berardi, scarcerato martedì dopo 30 mesi in cella
 
 
Ci sono altri cinque italiani che rischiano una lunga, infernale detenzione in Guinea Equatoriale. La loro storia somiglia moltissimo a quella di Roberto Berardi, tornato a casa martedì dopo essere stato per 30 mesi nel carcere di Bata, nel Paese centro-africano, in condizioni disumane, accusato di truffa dopo uno screzio con il figlio del Presidente-dittatore Theodoro Obiang. Ieri si è aperto il processo, anche questa volta apparentemente pretestuoso, che si prevede lungo, complesso e dall’esito incerto per Fabio e Filippo Galassi, Daniel e Fausto Candio e Andrea. Tre di loro sono già nelle carceri di Bata, mentre agli altri due sono stati ritirati i passaporti e messi ai domiciliari. Sono tutti e 5 romani, arrivati in Guinea in cerca di fortuna nel settore edile.
Il dramma della famiglia Galassi inizia nel 2010, quando Fabio, uno dei tanti cinquantenni cassaintegrati italiani, con un passato di amministrativo in varie aziende edili della Capitale, grazie d un passaparola viene a sapere di un’opportunità di lavoro nel Paese africano.

Il presunto Eldorado
Servono soldi e nuovi stimoli, non ci pensa due volte e va. Ignaro di quello che gli succederà cinque anni dopo. Entusiasmo a mille, affari a gonfie vele, tanto da chiamare il figlio Filippo (24 anni) e convincerlo a raggiungerlo. Ma la General Work, la ditta per cui lavora, non è un’azienda qualsiasi. È stata fondata da Igor Celotti, un imprenditore friulano, morto nel 2007 in un incidente aereo mentre si trovava nel Paese. Un caso mai chiarito, dato che il pilota ne uscì indenne. Ora la società è guidata dalla moglie, e fonti interne ai servizi hanno fatto trapelare che la regia sarebbe stata del presidente Obiang, che sospettava Celotti di aver finanziato i suoi oppositori politici. Da allora, il 45% della società è nelle mani del padre-padrone del Paese con cui bisogna scendere a patti per ottenere i grandi appalti pubblici. Un elemento essenziale ignoto alla famiglia Galassi.
E Dopo Fabio e il figlio Filippo, arrivano anche Daniel Candio (24), migliore amico di quest’ultimo e il padre Fausto (55). Si buttano a capofitto nella costruzione di Oyala, una città futuristica nel mezzo della foresta, voluta dal dittatore Obiang per trasferire i 720 mila abitanti del Paese dalla costa all’interno. Un decisione presa dopo l’uragano Katrina, che nel 2005 aveva devastato New Orleans e impressionato il presidente.
Obiang temeva che lo stesso potesse ripetersi in Guinea e pensava così di «mettere in salvo» i suoi cittadini. Ma dopo pochi anni la crisi petrolifera comincia a pesare sulle casse pubbliche e i fondi per la costruzione della città vengono congelati. I quattro italiani, raggiunti intanto da un quinto, Andrea, non ricevono più gli stipendi. A cascata anche i lavoratori locali alle loro dipendenze non vengono più pagati.

La trappola
Lo scorso 21 marzo alcuni operai della General Work si appostano nei pressi della casa dei Galassi e li vedono uscire con delle valigie. Credendo siano piene di soldi chiamano la polizia che, quasi miracolosamente, si trovava già sul posto. Una volta in commissariato gli agenti notificano che le valigie non avevano denaro, ma con uno stratagemma li arrestano andando a prendere anche gli altri tre colleghi italiani. Ingenui? Inesperti? Davvero colpevoli? Più probabilmente uno schema che li vede come capri espiatori di una crisi che crea malcontento. In ogni caso «i loro diritti sono già stati violati e vanno tutelati», spiega Andrea Spinelli Barrile, giornalista freelance che da tempo lavora sulla delicata vicenda con Amnesty International. 

Nessun commento:

Powered by Blogger.