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Il libro di Rao/1: Così gli ex di Potere operaio uccisero Zicchieri

(umt) Non c'è soltanto la storia di Palladino e Vale nell'ultimo libro di Rao "Colpo al cuore", (Sperling & Kupfer, ottobre 2011) uscito ieri  e dedicato alla fine delle Br. Nella lunga testimonianza del "pentito" Antonio Savasta, una delle vittime delle torture che schiantarono le Brigate rosse, c'è anche la ricostruzione dei principali omicidi antifascisti di quegli anni. E così Savasta racconta che il delitto del Prenestino fu opera della banda armata, Lotta armata per il potere proletariato, che trainò gli ex militanti potoppini di Centocelle dentro la colonna romana  brigatista mentre la strage di Acca Larentia sarebbe stata opera di un'altra brigata territoriale, Torre spaccata, composta da militanti provenienti da un altro gruppo extraparlamentare, Viva il comunismo.
La testimonianza di Antonio Savasta
Con i fasci del Prenestino ci scontravamo di continuo.Una volta partecipai a un vero e proprio assalto alla loro sezione. Poi, il 29 ottobre ’75 si decise di alzare il tiro. Da qualche giorno Brunetto [Seghetti] e Germano [Maccari] mi stavano chiedendo di sintonizzarmi sulle frequenze della polizia per sentire come si spostavano e dove si concentravano le guardie.
Quel pomeriggio io e altri due compagni della mia squadra ci piazzammo in un appartamento davanti a una radio che intercettava le frequenze della polizia. Non ci dissero che stavano per sparare ai fascisti. Restammo una sera intera davanti a una radio che non intercettava un bel niente e ce ne andammo a casa.
Il giorno dopo, leggendo i giornali e guardando la tv, capimmo. C’era stato un attentato contro alcuni giovanissimi missini davanti alla sezione di via Gattamelata, uno era rimasto ferito e un altro, Mario Zicchieri, era stato ucciso. Compresi subito che era stato proprio il Lapp a dare l’assalto al Prenestino. E i capi del Lapp erano loro due, insieme con Valerio Morucci, che avrei conosciuto tempo dopo.
Il giorno seguente Brunetto organizzò delle ronde nel quartiere, temendo la reazione dei fascisti, visto quello che il Lapp aveva combinato. Seduto nella sua auto, mise la pistola con il colpo in canna in mezzo alle gambe. Ma era una 6,35 a cane lanciato, con un percussore che non valeva niente, e così gli partì un colpo che lo ferì alla coscia. Il proiettile per fortuna fuoriuscì. Fu portato da noi, alla sede del Cococe, che era anche la sede della squadra territoriale del Lapp, ed Emilia Libera – una compagna di San Giovanni con cui facevo ormai coppia fissa sia nella militanza sia nella vita – lo medicò.
Come ho già detto, quando spararono ai missini, io in via Gattamelata non c’ero. I giorni successivi Brunetto mi disse solo che era una cosa nostra, del Lapp, senza dirmi chi aveva partecipato. Tempo dopo provai a farmi un quadro più chiaro. Da quel che ho capito, davanti alla sezione missina quel pomeriggio arrivarono in tre su una 128. Uno restò al volante, armato di pistola. Il secondo era di copertura, con un’arma lunga e l’altro sparò ai due fascisti con un fucile a pompa. Da quel che si diceva, ma non l’ho mai verificato, uno dei tre era un compagno che poi sarebbe morto in un incidente d’auto.

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