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Storace, Fini e la collocazione della Destra


Col vento del 2008, e la grande vittoria di Berlusconi, è venuto fuori un difetto di rappresentanza tanto a destra, dove siamo collocati, quanto a sinistra. In Parlamento c’erano solo 5 forze politiche, ora più frammentate di prima, che però non rappresentavano il 100% del nostro popolo. Sono mancate scelte sociali, ad esempio. Noi esclusi da quella coalizione di centrodestra avremmo potuto rappresentare il vento del cambiamento.Chi non volle la nostra presenza, spingendoci verso il terzopolismo che non era la nostra vocazione, fu l’onorevole Fini. I fatti successivi si sono incaricati di dimostrare che aveva torto lui, e avevamo ragione noi, a sollevare il problema della coerenza in politica e della necessità di garantire regole che salvaguardassero un corretto esercizio dell’attività della politica stessa.
(umt) Al di là della querelle con Adriano Tilgher, la mozione unica congressuale della Destra - la cui seconda parte è illustrata in questo video da Francesco Storace - porta un elemento di definitiva chiarezza che sembra dare ragione a quanti, dentro e fuori il partito, invitano il vecchio leader extraparlamentare alla rottura: la collocazione naturale della formazione storaciana è dentro il centrodestra ed era stato solo un diktat di Fini a costringerla in un innaturale posizione terzaforzista.  
A onor del vero, lo stesso strappo tra il leader di Alleanza nazionale e il suo storico portavoce era stata molto più e molto prima una rottura personale che politica. E, come tutte le amicizie lacerate dal segno del tradimento, ha finito per rovesciarsi in un'inimicizia assoluta. 
Certo, Storace deve molto a Fini. Ma questi a sua volta ha un debito decisivo nei suoi confronti: la ricostruzione dell'immagine del delfino di Almirante, nella tempestosa transizione alla seconda repubblica, come leader possibile di una destra di governo deve tanto a certi colpi di genio del suo portavoce. 
Così, dieci anni dopo, in affanno per il Laziogate (l'indagine per le intrusioni informatiche ai danni della lista regionale di Alessandra Mussolini) Storace non si immaginava, certo, il gelido distacco e la totale freddezza del suo capo, ormai proiettato a costruire un'immagine impeccabile di sé. Lontano dai pasticci dei suoi pupilli così come dall'affarismo della moglie, portata alla ribalta nazionale - da una delle tante inchieste di Woodcock destinate a consumarsi nei processi a mezzo stampa - come aggressiva e spregiudicata lobbysta della sanità laziale (in una lite telefonica Daniela Di Sotto rivendicava con orgoglio la sua formazione all'università della strada) all'epoca della giunta Storace.
Il cinico chiamarsi fuori di Fini l'ex governatore del Lazio se l'è legato al dito e così è stato ben felice di rosolarlo a fuoco lento quando il presidente della Camera, convolato a nuove nozze con una moglie sempre avida, si è da solo, con le sue bugie, infilzato come un tordo allo spiedo di Montecarlo.

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