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5 maggio 1982: la morte di Giorgio Vale

La mattina del 5 maggio la Digos irrompe in un appartamentino al Quadraro, santuario di Avanguardia nazionale: è il rifugio di Vale. Secondo la versione ufficiale avrebbe gridato «Vi ammazzerò tutti», e, impugnata la Beretta 92 rapinata ai carabinieri di Siena, avrebbe sparato l’intero carica tore senza colpire nessuno e poi si sarebbe tirato un colpo in testa. La polizia sarebbe arrivata alla base per alcune dichiarazioni di Carmelo Palladino, fedelis simo di Delle Chiaie, da poco arrestato per le stragi di Bologna e dell’Italicus.messinscena con macchina sforacchiata in una sparatoria (falsa) e sangue (di bue), per far credere alla famiglia che qualcuno era rimasto ferito, ed individuare “regolari” in contatto con i latitanti. Molto strana fu anche la trappola successiva tesa sempre dagli uomini del Sisde a una fermata del metrò. Dopo l’intercettazione perché il servizio non ha passato la soffiata alla polizia come vuole la legge? L'uccisione è un classico “dirty work”. Ad entrare per primi e da soli nell'appartamento, sono stati il commissario Genova (il poliziotto accusato di torture ai brigatisti) e il numero uno del l’antiterrorismo, Improta. Leggendo le perizie balistico-legali si capisce lontano un miglio che si è trattato di un omicidio a sangue freddo. Nonostante si sostenga che Giorgio abbia sparato 13 o 14 colpi contro gli agenti a vuoto, il guanto di paraffina (con una pistola “aperta” come la 92 S) è risultato totalmente nega tivo. Spiegazione del perito: forse all'ospedale qualcuno gli aveva lavato le mani! Poiché l'impronta dell'asta della molla di recupero dell'arma è rimasta talmente “tatuata” sulla pelle della tempia, il perito ammette che l’unica spiegazione possibile è che era stata premuta la pistola, prima di sparare, tanto da far penetrare un centimetro e mezzo abbondante di canna nella carne. Giorgio è stato preso nel sonno, tirato fuori dal sacco a pelo in cui dor miva e “suicidato” con una pistola di ordinanza (caso strano, il proiettile che l’ha ucciso non è stato ritrovato e durante l'operazione ad un agente è “esplosa” la canna di una 92 S, senza ferirlo ma rendendo impossibile una perizia comparativa).
 Il sospetto della soffiata gli costerà una condanna a morte, pronta mente eseguita da Pierluigi Concutelli, nel carcere di Novara, il 10 agosto, con una rudimentale garrota. L’appartamento era stato affittato - con i soldi di Vale - da un amico di Pierluigi Sortino, un’avanguardista socio della cooperativa di revisori che ha tra i suoi componenti anche Silvio Paulon, già arrestato nell’estate del 1977 per aver ospitato in casa al Tuscolano Delle Chiaie. I due sono fermati la mattina sotto il palazzo. Con le chiavi sequestrate all’affittuario il commando della polizia entra senza sfondare la porta. L'autopsia conferma che ha causato la morte un unico proiettile calibro 9 lungo sparato a bruciapelo alla tempia. A parte l’evidente analogia con l’episodio di via Fracchia (la morte di quattro brigatisti uccisi in un improbabile conflitto a fuoco con i carabinieri) i conti non tornano. Secondo la perizia ufficiale nell’appartamento sarebbero stati sparati 140 colpi da quattro mitragliette e da quattro pistole ma uno solo è andato a bersaglio. Manca anche il movente psicologico: genitori e amici giurano che non si sarebbe mai suicidato. Il giudizio dei suoi camerati è lapidario: Giorgio è stato venduto e assassinato, perché rifiutò le offerte di Palladino di entrare in Avanguardia nazionale. Un coimputato - anche lui convinto che Giorgio sia stato una vittima prefabbricata - così ricostruisce la vicenda:
Contro Giorgio ci provano da tempo: il Sisde per cercare di prendere lui e Francesca organizzò una  messinscena con macchina sforacchiata in una sparatoria (falsa) e sangue (di bue), per far credere alla famiglia che qualcuno era rimasto ferito, ed individuare “regolari” in contatto con i latitanti. Molto strana fu anche la trappola successiva tesa sempre dagli uomini del Sisde a una fermata del metrò. Dopo l’intercettazione perché il servizio non ha passato la soffiata alla polizia come vuole la legge? L'uccisione è un classico “dirty work”. Ad entrare per primi e da soli nell'appartamento, sono stati il commissario Genova (il poliziotto accusato di torture ai brigatisti) e il numero uno dell’antiterrorismo, Improta. Leggendo le perizie balistico-legali si capisce lontano un miglio che si è trattato di un omicidio a sangue freddo. Nonostante si sostenga che Giorgio abbia sparato 13 o 14 colpi contro gli agenti a vuoto, il guanto di paraffina (con una pistola “aperta” come la 92 S) è risultato totalmente negativo. Spiegazione del perito: forse all'ospedale qualcuno gli aveva lavato le mani! Poiché l'impronta dell'asta della molla di recupero dell'arma è rimasta talmente “tatuata” sulla pelle della tempia, il perito ammette che l’unica spiegazione possibile è che era stata premuta la pistola, prima di sparare, tanto da far penetrare un centimetro e mezzo abbondante di canna nella carne. Giorgio è stato preso nel sonno, tirato fuori dal sacco a pelo in cui dormiva e “suicidato” con una pistola di ordinanza (caso strano, il proiettile che l’ha ucciso non è stato ritrovato e durante l'operazione ad un agente è “esplosa” la canna di una 92 S, senza ferirlo ma rendendo impossibile una perizia com parativa) .
Forti dubbi su quello che è veramente successo in via Decio Mure sono espressi anche da un giornalista investigativo inglese, Philip Willan, che da vent’anni lavora in Italia:
L’operazione “terrore sui treni” fu seguita da un epilogo sinistro che vide ancora una volta l’eliminazione di testimoni scomodi. Un eventuale arresto di Vale avrebbe certamente costituito un problema per il Sismi, dal momento che il terrorista avrebbe potuto facilmente smontare la versione dei servizi segreti sulla valigia e quindi sull’attentato di Bologna.
Non si spiega altrimenti tutto l’accanimento contro uno che è soltanto un buon gregario. Per Enrico Tomaselli
Vale è una persona discreta, di poche parole, abbastanza decisa, in gamba sul piano operativo, non altrettanto sul piano politico: si è trovato ad essere il responsabile militare di Tp per un periodo brevissimo, a cavallo dell’ingresso nel gruppo di Fioravanti. Avvertiva l'esigenza di essere comandato, è un fatto naturale. Se uno incontra qualcuno a cui riconosce l’autorità finisce con aggregarsi. Cosi c'erano ragazzi che avevano in lui il punto di riferi mento. Non ha mai pensato di sentirsi un capo, non amava mettersi in mostra, era un po’ prigioniero di se stesso. Si rende conto delle cose in cui si trova invischiato ma non ha la forza per tirarsene fuori. È il caso di Arnesano ma anche di Mangiameli. Ha lo scrupolo morale di farlo avvertire che Giusva lo cerca per farlo fuori e poi partecipa all’esecuzione.
fonte: Ugo Maria Tassinari Guerrieri. Storie di una generazione in nero (Immaginapoli, 2005)

2 commenti:

  1. Ma il Commissario Gevova che fine ha fatto? Mi sembra che lasciata la polizia, si candidò nelle file del partito socialista democratico, quello di Saragat per intenderci. Sarebbe interessante che qualche giornalista, lo intervistasse, forse sapremo come andarono veramente le cose, a distanza di decenni, la verità sul "suicidio" di Valle, deve essere portata a conoscenza dell'opinione pubblica.Nel reprimere la lotta armata, le forze dell'ordine durante gli anni di piombo, ricorsero sovente alla tortura, per scovare covi e latitanti, come hanno fatto gli americani con Bin Laden. T.V.

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  2. Onore a Giorgio!
    sempre con noi.
    Massimo.

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