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Malacarne non è un guappo di cartone

Malacarne non è un guappo di cartone. Non parliamo, ovviamente, del mammasantissima sulla cui sfida, nel film Il Camorrista, o' prufessore 'e Vesuviana costruisce la sua leggenda carceraria. Antonio Spavone era uomo d'onore, per come lo si intendeva a Napoli all'epoca. Altrettanto lo è, secondo i canoni e i valori della buona borghesia lombarda, l'omonimo signore protagonista di una meschina storia di brogli elettorali.
Valter Malacarne, dirigente della Destra, aspira a candidarsi sindaco a Mantova ma la formazione storaciana non ha la consistenza organizzativa per raccogliere le 200 firme necessarie. Si rivolge così a un amico, consigliere comunale del Pd, che, sulla fiducia e in nome dell'antica frequentazione (nonché, aggiungerei con malizia, per togliere voti al candidato del centrodestra) gliele autentica senza controlli. Il pezzotto trapela e così quando si reca a presentare le firme è bloccato e denunciato. I due goffi politici, caso raro, hanno un colpo d'ala: ammettono l'errore di ingenuità e patteggiano una condanna innocua a 6 mesi.
Chiusa là? Naaaaaaaaaaa. Perché ora, tornata alla ribalta giudiziaria la vicenda delle firme false che mette in discussione il governatorato di Formigoni, Malacarne si presenta e solleva un dubbio: "Io ho mandato - racconta al cronista della Gazzetta di Mantova - le firme false in fotocopia alla segreteria regionale, se ne avessero avuto bisogno. Vuoi vedere che fossero finite nel calderone della lista Formigoni?"
Una rigorosa applicazione (anche a costo di danneggiare gli alleati) della svolta impressa da Storace che, memore degli inguacchi commessi nel 2005 ai danni di Marrazzo e Mussolini, ora è diventato un baluardo della legalità (nonché della tutela del patrimonio ideale e materiale del Msi-An)?
Macché, ora Malacarne è passato tra i fillini, è promotore di un circolo finiano e quindi ci sembra il caso di parafrasare von Clausewitz: la battaglia politico-giudiziaria come proseguimento della guerra con altri mezzi.

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