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L'omicidio Calore/12 - La testimonianza al processo di Brescia e altre storie


Dal sito web domani.arcoiris.tv, curato da Maurizio Chierici

Sergio Calore, morto che parlava. Raccontò i retroscena dell’eversione nera, dal golpe Borghese alle stragi di Stato

07-10-2010
Brescia, giovedì 8 ottobre 2009, primo pomeriggio. Il pm Francesco Piantoni, riferendosi alla formazione dei militanti di Ordine Nuovo (movimento di estrema destra fondato da Pino Rauti nel 1956), pone al teste che ha di fronte questa domanda: “Ci può precisare questo discorso dell’infiltrazione e della organizzazione clandestina?”.
Sergio Calore, come altre volte in passato, non tergiversa: “Si cominciò a parlare di questo discorso nel 1973, quando si venne a sapere dell’imminente scioglimento del movimento Ordine Nuovo che sarebbe avvenuto a novembre. All’epoca le infiltrazioni si effettuarono sulla base di una serie di iniziative che erano legate all’allora rinascente movimento peronista e portarono all’infiltrazione di parecchi nostri appartenenti all’interno di gruppi politici moderati, in particolare a gruppi che erano vicini alla Democrazia Cristiana. Io stesso partecipai a delle conferenze tenute presso i ‘gruppi di impegno politico’ che erano della corrente fanfaniana, in via IV novembre, dove noi andavamo a partecipare sostenendo anche delle tesi che erano al limite fra le nostre e le tesi legalistiche, più o meno di destra democratica, per cercare di vedere la ricettività di certi ambienti a discorsi che potevano andare in questa direzione. Ci furono persone che si infiltrarono talmente bene che successivamente diventarono deputati con la Democrazia Cristiana. Per esempio Francesco Alacri che poi adesso fa parte del Pdl essendo rientrato con Publio Fiori (prima nella destra di Fini e poi nel Popolo delle Libertà), e ora credo sia deputato regionale a Roma. Questa persona, per esempio, era un esponente del Fronte Studentesco che era una delle organizzazioni con cui eravamo in contatto…”.
La nota attività di infiltrazione ad opera dei gruppi neofascisti, dunque, non riguardava solo le formazioni di estrema sinistra. E questo è solo l’inizio della testimonianza che l’ex estremista Calore rilasciò al processo per la strage di piazza della Loggia, che vede imputati Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti. Tra un mese circa (verso la metà di novembre) – dopo due anni e 150 udienze accompagnate dal silenzio assordante di stampa e televisioni, con l’unica eccezione diRadio Radicale e di una pagina su Facebook – dovremmo finalmente conoscere il verdetto del terzo processo per la strage che il 28 maggio 1974 provocò la morte di otto persone e il ferimento di un centinaio durante una manifestazione antifascista indetta dai sindacati. Una vigilia così descritta da Manio Milani, presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime: «Un dato che è emerso in modo chiaro nel processo è il tema del depistaggio, che ha caratterizzato tutta l’istruttoria. In aula abbiamo sentito spesso testimoni e funzionari dello Stato dire: “Non ricordo”. A distanza di 40 anni esiste ancora un pezzo dello Stato che non vuole fare chiarezza su quel periodo. Il processo ha confermato la strategia del depistaggio che c’è stata, così come ha confermato il legame esistente tra servizi segreti italiani ed eversione di destra».
Ma torniamo a Sergio Calore, il morto che parlava. Questa volta le picconate non erano quelle simboliche, benché dannose, a cui ci aveva abituati Francesco Cossiga. A Calore il destino ha riservato una morte da film horror: sgozzato e picconato nei pressi della sua casa in via Colle Spina, nella campagna laziale. Condannato all’ergastolo per l’omicidio del giovane Antonio Leandri (pena commutata, dopo il pentimento, in quindici anni di reclusione), Calore fu arrestato due volte nel 1979, a distanza di pochi mesi: la prima a maggio, per iniziativa del giudice Mario Amato; il 17 dicembre fu nuovamente arrestato per l’omicidio di Leandri, scambiato per il vero obiettivo dell’agguato: l’avvocato Giorgio Arcangeli. Purtroppo l’uomo che aveva sparato a Leandri, Valerio Fioravanti, riuscì però a sfuggire: l’anno dopo, il 22 giugno 1980, i NAR uccisero anche il giudice Amato. Poi sarà il turno della stazione di Bologna… Fu proprio in carcere, tra giugno e ottobre del ’79, che Valerio Fioravanti aveva conosciuto Calore e Signorelli.
Probabilmente molti suoi ex compagni – pardòn, “camerati” – avranno festeggiato il sanguinoso evento. L’uomo di cui pochi, fino a mercoledì 6 ottobre, ricordavano l’esistenza è stato “uno dei primi e dei non molti pentiti dell’estrema destra che, fin dal 1984, aveva reso dichiarazioni importantissime”. Così lo ricorda il magistrato Guido Salvini, che nel 1990 riaprì le indagini sulla strage di piazza Fontana. Nel 1977 fu tra i fondatori di quel consorzio neofascista che si radunò attorno alla rivista “Costruiamo l’azione”, insieme a Fabio De Felice, Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini e Paolo Aleandri. Da quella fucina neofascista nacque il Movimento Rivoluzionario Popolare (MRP), formazione armata ufficialmente “spontanea” – in realtà condivisa dagli ordinovisti – i cui obiettivi erano descritti nei cosiddetti Fogli d’ordine. Sarà proprio Paolo Aleandri a spiegare ai magistrati di Bologna, che indagavano sulla strage del 2 agosto 1980, la vera origine di quei Fogli: “furono elaborati in parte in Veneto e in parte a Roma. Vi collaborarono Signorelli e Calore che, a quanto mi risulta, rappresentavano la continuità con il vecchio Ordine Nuovo, e Fachini e gli altri veneti con i quali avemmo delle riunioni di preparazione”. Riunioni e preparazioni che di spontaneo avevano ben poco… Fu proprio nei campi paramilitari organizzati da Signorelli, nei primi anni Settanta, che Calore aveva appreso le tecniche di infiltrazione che un anno fa, a distanza di quasi quarant’anni, mostrò di ricordare molto bene.
Negli ambienti neofascisti Sergio Calore era da tempo considerato un doppio traditore: già prima di essere arrestato aveva teorizzato e praticato una “torbida e ambigua” alleanza tra rossi e neri in funzione antisistema (mentre per i veri capi di Ordine Nuovo era semplicemente una strategia per depistare indagini e processi). Poi, negli anni ’80, iniziò a collaborare con la magistratura e, come tutti i “pentiti”, fu ripetutamente accusato dagli ex sodali di raccontare bugie o mezze verità, solo per ottenere vantaggi e sconti di pena. Eppure, nel corso degli anni, molte delle sue dichiarazioni hanno trovato conferma (in altre testimonianze e in alcuni riscontri oggettivi). Nonostante il “tradimento”, il suo compare Signorelli – come ricorda Ugo Maria Tassinari in “Fascisteria” (Castelvecchi, 2001) – mostra comprensione per la sua deriva verso i movimenti dell’estrema sinistra, culminata simbolicamente nel matrimonio con una terrorista rossa: “Calore, pur se autodidatta, è una mente acuta ed è persona che ha letto molto. Era un operaio ma aveva interessi culturali e un po’ per volta cominciò ad assimilare teorie recenti, come quella dei bisogni, e mi manifestò la sua convinzione che per una efficace lotta al sistema l’unica via fosse quella dell’Autonomia”. Una ‘convinzione’ che forse faceva comodo ai poteri più o meno occulti che hanno ripetutamente tentato di allontanare la responsabilità di stragi e attentati dagli ambienti neofascisti e massonici, depistando le indagini di volta in volta verso l’estremismo di sinistra, gli anarchici o fantomatiche piste internazionali.
Una cornice storica – quella degli intrecci tra neofascismo, massoneria, servizi segreti e criminalità organizzata – confermata da numerose testimonianze e qualche sentenza. Basti pensare a quella su piazza Fontana che, pur non potendoli più condannarli – in quanto già assolti in via definitiva -, ha riconosciuto e sancito la responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura (altro protagonista del terrorismo nero scomparso di recente). Strage che, secondo Calore, nelle intenzioni degli autori doveva essere propedeutica ad un colpo di stato: “era prevista per il dicembre 1969 la attuazione di un golpe cui dovevano partecipare le stesse forze che l’anno seguente, nella notte fra l’8 e il 9 dicembre 1970, tentarono di mettere in atto quello che è noto come golpe Borghese. Quando, nel dicembre 1969, si stabilì che il golpe non ci doveva essere, alcuni giovani estremisti, più o meno collegati ai gruppi giovanili del Fronte Nazionale, decisero di forzare la situazione attuando gli attentati del 12 dicembre 1969 al fine di provocare l’intervento stabilizzatore delle Forze armate”.
Sergio Calore è morto, ma qualcosa aveva detto. Quanti sono, oggi, i vivi che ancora tacciono? Molti, troppi. D’altronde proprio questo si raccomandava nei Fogli d’ordine: “negate, negate a tutti i costi. Negate tutto quello che non potete giustificare”.

3 commenti:

  1. "Purtroppo l’uomo che aveva sparato a Leandri, Valerio Fioravanti, riuscì però a sfuggire: l’anno dopo, il 22 giugno 1980, i NAR uccisero anche il giudice Amato. Poi sarà il turno della stazione di Bologna…"

    Bologna con i NAR non c'entra nulla, chi conosce "onestamente" la loro storia lo sa bene.

    Massimo.

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  2. Definito il Calore come "morto che parlava" pare lasciare intendere che chissà quali segreti nascondesse e, a causa di questi segreti, è stato messo a tacere per sempre.
    Attendiamo un intervento in merito da parte di Angelo Izzo.
    P.S. L'esponente del Fronte Studentesco ora deputato del Pdl è Francesco Aracri non Alacri.

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  3. Ho pubblicato l'articolo di Verri per due ragioni:
    1. le cronache sostengono che Calore non deponeva in aula da 10 anni
    2. gli stessi curatori delle pagine del processo sulla strage di Brescia erano incerti se l'avesse fatto o meno
    Chiunque frequenta questo blog sa perfettamente che fascinazione è un baluardo dell'innocentismo su Bologna ma non mi sognerei mai di manipolare un testo ...

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