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Gli anarchici della Baracca e un incidente sospetto

 Il 26 settembre 1970 morivano cinque anarchici calabresi in uno scontro stradale con un camion sull'autostrada del Sole, all'altezza di Ferentino. Numerosi interrogativi ripropongono il sospetto che si sia trattato di una strage mascherata da incidente: la stranezza della dinamica, la sparizione dei documenti trasportati dai compagni (un dossier di controinformazione che stavano andando a consegnare alla redazione del settimanale anarchico Umanità Nova), il rapporto di lavoro tra i camionisti, i fratelli Aniello, e il prinicpe Borghese. Dubbi rilanciati nel corso degli anni da pentiti e dossier dei servizi segreti.
Oggi pomeriggio, a quarant’anni da quell’impatto, c'è a Frosinone (Cantina Mediterraneo, via A. Fabi, ore 17), una manifestazione organizzata dalla Fai, la federazione anarchica, per ricordare, con la proiezione di un documentario sulla strage di Gioia Tauro. Nel dibattito interverranno, tra gli altri, Tonino Perna e Antonella Scordo (familiari di due delle vittime), Roberto Gargamelli (uno degli anarchici accusati ingiustamente della strage di piazza Fontana) insieme agli autori Franco Schirone (La gioventù anarchica) e Fabio Cuzzola (Cinque anarchici del Sud. Una storia negata). Quest'ultimo libro, pubblicato nel 2001 da Città del Sole Edizioni, racconta appunto la storia degli "anarchici della Baracca" (dal luogo di ritrovo, la villa Liberty di Reggio Calabria). Vi ripropongo la recensione di Thriller Magazine che ricostruisce la loro storia:
Quegli anarchici dentro la rivolta di Antonella Beccaria
Quella dei cinque anarchici della Baracca  è oggi una storia forse quasi dimenticata. Se ne accenna qua e là quando si parla della stagione delle stragi e non si può fare a meno di parlarne in coda ai moti di Reggio Calabria, quando tra il 1970 e il 1971 la città esplose contro la decisione di fare di Catanzaro il capoluogo di regione. L’epilogo della vicenda di quei giovani anarchici si consumò il 26 settembre 1970: Nixon era in visita a Roma, si annunciavano manifestazioni di protesta e i cinque ragazzi stavano viaggiando in automobile alla volta della capitale.Ma non andavano ai cortei contro il presidente statunitense: in base a quanto dissero prima di partire, avevano con loro un dossier che dimostrava le responsabilità degli estremistri di destra e della criminalità organizzata nell’attentato al Treno del Sole Palermo-Torino avvenuto poche settimane prima, il 22 luglio, che fece sei vittime e 54 feriti. Ma gli anarchici della Baracca a Roma non ci arrivarono: mancavano pochi minuti alle undici e mezza di sera che, a meno di sessanta chilometri dalla meta, la Mini Morris su cui erano venne coinvolta in un incidente. In tre morirono sul colpo, un quarto passeggero non sopravvisse nemmeno il tempo di arrivare al pronto soccorso mentre l’agonia dell’unica ragazza presente durò ventun giorni.
Il libro Cinque anarchici del Sud. Una storia negata di Fabio Cuzzola ricostruisce la storia di questi giovani, che si chiamavano Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, e lo fa con una delicatezza e una passione tangibili in ciascuna delle pagine del libro. Parte da un’esigenza, questo lavoro, resa efficacemente nella prefazione da Tonino Perna, che l’ambiente dell’anarchismo di quegli anni lo conosce bene perché ne faceva parte:
Si sono scritti tanti volumi sulla città dei “boia chi molla”, senza capire fino in fondo quella che è stata l’ultima grande lotta popolare del nostro Mezzogiorno, la prima lotta “etnica” di un ciclo di lotte e guerre che hanno insanguinato gli ultimi trent’anni del XX secolo. I giovani anarchici reggini stavano dentro quella contraddizione, tra le ragioni popolari della rivolta e la sua strumentalizzazione, tra rivoluzione e reazione, tra bisogno popolare di protagonismo e trame che ne hanno determinato la cifra. Stavano tra la gente cercando di capire, di interpretare, di portare il loro contributo. Avevano profeticamente capito che eravamo di fronte a quello che in geometria analitica si chiama “punto di flesso”, una fase di passaggio delicata, confusa e contraddittoria.
Il racconto di Cuzzola ricostruisce il percorso che i ragazzi dalla Baracca seguono per giungere alla comprensione di cui parla Perna: narra, Cuzzola, delle famiglie d’origine e dalla loro infanzia, della volontà di rompere gli schemi della società calabrese, dell’amore per l’arte che diventa pratica politica. E della pratica politica a sua volta declinata nei termini del libertarismo e della non violenza, che si avvicina ai movimenti della sinistra extraparlamentare ma che vuole preservare una propria connotazione. Poi vengono i viaggi in giro per l’Europa, l’incontro con operai o minatori belgi, borghesi tedeschi, compagni francesi. E di come sia poi arrivata l’ondata della caccia al mostro anarchico dopo la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, la morte di Pino Pinelli e l’incriminazione di Pietro Valpreda.
Anche i ragazzi calabresi vengono lambiti dalle conseguenze della pista anarchica e alcuni di loro finiscono in carcere a Roma. Quando escono e tornano a casa, le madri vorrebbero che si allontanassero dalla militanza attiva con l’aria che tira. Un’aria brutta, bruttissima. Ma giungono poi le rivolte, ampie e popolari, che via via finiscono per essere strumentalizzate da una sola parte e su cui si addensano le ombre dell”ndrangheta. Così la Calabria conosce un vero e proprio stato d’assedio durante il quale si consuma la strage di Gioia Tauro. La strada tracciata dagli anarchici del nord con piazza Fontana e la loro controinchiesta “La strage di Stato” è un esempio di come muoversi, come reagire: iniziano a fare domande, i cinque anarchici, raccogliere informazioni, consultare documenti. Fino a quando annunciano: abbiamo finito, portiamo tutto a Roma all’avvocato della Fai. Ma sulla loro strada si para il camion dei fratelli Aniello. Che – non sarà difficile da appurare – lavoravano per Junio Valerio Borghese.

1 commento:

  1. Non ci dimentichiamo che anche una puntata di Blu Notte di Carlo Lucarelli ha voluto affrontare l'argomento. In quella puntata si parla anche dei moti di Reggio, di Ciccio Franco e del famosissimo "Boia chi molla".
    Ciao
    Antonio Bevilacqua

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