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22 maggio 1978: la prima bomba Mpr al ministero di giustizia

Cinque attentati dinamitardi in due giorni: dopo le esplosioni e gli incendi alla sede dell'MLS di Testaccio e il dopolavoro del Poligrafico, avvenuti sabato notte, i teppisti hanno colpito nuovamente.  Una bomba è stata collocata al ministero di Grazia e Giustizia mentre sono saltati un autoricambio dell'Alfa Romeo e un concessionario della Ford. Non si lamentano feriti ma i danni sono piuttosto rilevanti.
Il primo attentato è avvenuto attorno alla mezzanotte in pieno centro, tra via Arenula e via delle Zoccolette dove si trova il ministero di Grazia e Giustizia. L'ordigno è esploso nei pressi di una entrata laterale del dicastero che pure è sorvegliato giorno e notte ormai da molto tempo. Diverse testimonianze raccolte pochi minuti dopo lo scoppio hanno permesso di ricostruire le fasi dell'attentato in questo modo: una Opel grigia si è fermata in via delle Zoccolette: dall'auto è sceso un uomo che aveva in mano un involto che è stato appoggiato in terra proprio a ridosso di uno dei muri del ministero. La vettura è ripartita subito e qualche istante dopo è avvenuta l'esplosione.
Secondo altri testi, immediatamente dopo il boato si sarebbe allontanata anche una motoretta con due giovani in sella diretta verso il Lungotevere. Lo scoppio è stato fragorosissimo ed è stato udito quasi in tutto il centro della città, i danni però sono irrilevanti.
Agenti e carabinieri addetti alla sorveglianza sono stati presi del tutto alla sprovvista tanto che due di loro sono stati ricoverati in ospedale in lieve stato di CHOC.

Così la cronaca dell'Unità, martedì 24 maggio 1978, un taglio di centro in cronaca regionale. L'attentato, fragoroso, beffardo nei confronti delle forze dell'ordine è il primo di un piccolo gruppo di fuoco di Costruiamo l'azione, in cui spiccano Lele Macchi e Marcello Iannilli. Inaugura una campagna non rivendicata di attentati dimostrativi contro simboli istituzionali: seguiranno l'Autoparco comunale (15 giugno), la Sip (20 giugno), la Prefettura (20 luglio). Bombe molto potenti ma fabbricate e collocate sapientemente per fare rumore e danni ma nessun ferito. A questa "campagna di primavera" ne seguirà un'altra, l'anno seguente. Stavolta sarà rivendicata da una nuova sigla, come spiega Lele Macchi a Nicola Rao:
Movimento Rivoluzionario Popolare è solo la sigla, una qualunque, con la quale volemmo dare una linea di continuità ad alcuni passaggi forti che compimmo in due campagne di attentati dinamitardi, nella primavera del ’78 e in quella del ’79. «Popolare» ne era il significato, non l’appartenenza. «Movimento» era ciò che volevamo stimolare, non la rappresentazione di ciò che c’era intorno a noi. «Rivoluzionario» il concetto realmente appropriato, considerato che nella storia è il termine che rappresenta la prassi di una lotta radicale contro gli schemi istituzionali, senza alcuna compromissione con organizzazioni politiche rappresentate, e che tende con la propria azione a una destabilizzazione di ordini repressivi o oggettivamente ingiusti. Questo era senz’altro il nostro motus. Totalmente anarchicheggiante e senza alcuna velleità o riferimento costruttivo. 

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