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14 maggio 1979: autobomba MRP contro Regina Coeli. Macchi: azioni spontanee e leali

Col passare dei mesi il gruppo di fuoco si è perfezionato e nella primavera del 1979 parte una nuova ondata di attentati.
La prima bomba esplode all’una di notte del 20 aprile, davanti all’ingresso della sala Giulio Cesare, in Campidoglio. Vengono utilizzati quasi quattro chili di esplosivo. Agiscono in tre: Iannilli, che piazza l’ordigno, accompagnato da Aleandri e Bruno Mariani, che scriveranno un volantino di rivendicazione. Poi telefonano al quotidiano Vita Sera e lo fanno ritrovare in un cestino dei rifiuti tra via XX Settembre e via Pastrengo.
Ecco il testo:
Movimento Rivoluzionario Popolare.
Questa notte, alle ore 12.50 abbiamo colpito la sede del Comune di Roma al Campidoglio, centro di potere e di controllo.
Distruggere i covi della repressione palese e occulta.
Battere lo sforzo repressivo con la guerriglia popolare diffusa. Libertà per tutti i prigionieri rivoluzionari.
Spunta dunque una nuova sigla: Mrp. Con tanto di simbolo: un mitra stilizzato, che si incrocia con una vanga. Il linguaggio è volutamente al di là della destra e della sinistra, e ricalca vagamente quello utilizzato dai gruppi armati della galassia rossa. Non si parla mai di «camerati», anzi, si invoca la libertà dei «prigionieri», di tutti, indistintamente. E ricorre più volte l’aggettivo «popolare», entrato nel lessico dei Signorelli boys fin dai tempi di Lotta Popolare.
Nella notte del 14 maggio, un nuovo attentato. Stavolta più pesante, perché i chili di esplosivo usati sono tanti da riempire il portabagagli di una Fiat 127, parcheggiata davanti all’ingresso del carcere di Regina Coeli. Il boato è impressionante e butta giù dal letto guardie e detenuti.
La 127 salta letteralmente in aria. L’esplosione danneggia decine di auto parcheggiate nei dintorni del carcere. Nell’asfalto della strada si apre una voragine, il portone dell’istituto di pena viene divelto e il muro danneggiato.
La prima rivendicazione arriva mezz’ora dopo, con una telefonata al Tempo in cui una voce maschile dichiara: «Siamo il Movimento Rivoluzionario Popolare, rivendichiamo l’attentato a Regina Coeli».
Nella tarda mattinata, nuova telefonata. Ancora a Vita Sera. Che segnala un volantino in un cestino di rifiuti di via Castelfidardo (guarda caso, la stessa via dove anni prima aveva sede Radio Contro). Solito simbolo, con mitra e vanga. Il testo:
Questa notte, alle ore 1.37, un nucleo armato del Mrp ha colpito il carcere di Regina Coeli. Rivendichiamo la determinazione a colpire le strutture portanti del controllo capitalista, gli uomini della ristrutturazione, i meccanismi del potere statale diffuso.
Libertà per i detenuti politici.
Ma non è finita. Perché il giorno dopo alcuni giornali ipotizzano che il Mrp, al di là del suo linguaggio e dei suoi simboli, sia comunque un gruppo neofascista. Così i suoi militanti tornano a telefonare a Vita Sera, segnalando un nuovo volantino, lasciato sempre nella solita zona: via XX Settembre.
Ecco cosa c’è scritto:
È inequivocabile che la campagna elettorale [per le elezioni politiche e per le prime elezioni europee, N.d.A.] è nella fase più calda. Riflesso immediato si ha nella rigidità con cui la stampa di questa democrazia assume le sue responsabilità politiche. L’opera di smascheramento è quindi vinta, ognuno si attesta sul proprio fronte. Per quanto ci riguarda, il tentativo di assegnarci una posizione parte dall’analisi della nostra simbologia grafica fino a rintracciare eguaglianza di linguaggio in alcune poesie di Cavalcanti. Del resto la perizia dei «periti» è dimostrata dal fatto che hanno accertato trattarsi di 5 kg di polvere da mina, quando la carica da noi posta era di 55 kg.
Miracoli della scientifica. Comunque sia, le masse debbono essere convinte che la guida dell’apparato è affidata a chi non sbaglia mai un piano economico (dal punto di vista del capitalismo è vero). Collocarci a destra non ha quindi altro significato se non quello di aderire alla perfezione alla logica dell’informazione «imparziale». Avevamo deciso di rimandare alcune spiegazioni più oltre. Ciò faremo, sebbene la giornata primaverile ci abbia indotto all’ironia, cosa strana per dei mostri senza cuore né cervello. Nel momento in cui i nuovi strumenti del capitalismo spezzano la composizione di classe e producono una ristrutturazione per «crisi» susseguentisi, lanciamo un appello alle forze rivoluzionarie per l’intensificazione di una pratica di contropotere diffuso, contro il fascismo dello Stato, aprendo un fronte dialettico ed armato che, nella distruzione delle strutture di trasmissione del potere, ricomponga quell’unità di cui ora necessita la rivoluzione.
A entrare in azione, probabilmente, lo stesso gruppo di fuoco del Campidoglio, che ormai ha preso il via e non si ferma più.

IL CONTESTO DELLE BOMBE DELL'MRP

Ma quale fu il contesto politico-esistenziale degli attentati del Mrp? Come nacque questa idea? Macchi:
Movimento Rivoluzionario Popolare è solo la sigla, una qualunque, con la quale volemmo dare una linea di continuità ad alcuni passaggi forti che compimmo in due campagne di attentati dinamitardi, nella primavera del ’78 e in quella del ’79. «Popolare» ne era il significato, non l’appartenenza. «Movimento» era ciò che volevamo stimolare, non la rappresentazione di ciò che c’era intorno a noi. «Rivoluzionario» il concetto realmente appropriato, considerato che nella storia è il termine che rappresenta la prassi di una lotta radicale contro gli schemi istituzionali, senza alcuna compromissione con organizzazioni politiche rappresentate, e che tende con la propria azione a una destabilizzazione di ordini repressivi o oggettivamente ingiusti. Questo era senz’altro il nostro motus. Totalmente anarchicheggiante e senza alcuna velleità o riferimento costruttivo.
Non ne voglio fare la storia, perché non me ne frega niente di parlare ai sordi di ciò che di bellissimo e spontaneo creammo io e Marcello [Iannilli] (nomino lui perché se ne è assunto in tribunale la responsabilità). Ma ribadirne la spontaneità, l’importanza, la novità di metodo e la lealtà delle nostre azioni sicuramente sì, dato che solo a noi è concesso di conoscere lo spirito con cui mettemmo in atto il nostro antagonismo.
Ecco perché mi sto offrendo di dire due parole al riguardo, anche se non l’ho mai fatto nelle cronache e tantomeno in tribunale. Sicuramente perché non devo trarre nessun vantaggio da ricostruzioni false e comode per i vincitori. Sicuramente perché non ho idea di esaltare fatti che comunque non hanno riscontrato alcun seguito o proselito nella gente alla quale eravamo rivolti. E, ancor più sicuramente perché, sentendomi ancora dentro, oggi, una continuità esistenziale con ciò che ho iniziato da ragazzino, è giusto che privi di alcune falsità aggiunte il nostro operato. Riportandolo nella luce reale a chi abbia interesse ad ascoltare storie di un passato che non esiste più.

fonte: NICOLA RAO, IL PIOMBO E LA CELTICA









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