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Omicidio Petrone Reale: io Piccolo l'ho conosciuto. Non pareva pazzo


Giacinto Reale ci offre una nuova testimonianza diretta sull'ambiente barese in cui matura l'omicidio di Benedetto Petrone.

IO PINO PICCOLO 
L’HO CONOSCIUTO 
(post “sociologico” 
e un po’ lungo)

In questi ultimi due giorni, visto che se ne è parlato, ho frugato un po’ nella memoria (in fondo, perché, in realtà, sono cose secondarie) e ne è scaturito questo post che può essere “illuminante” per chi, anche qui, di neofascismo e anni di piombo parla, senza averli “vissuti”, ma avendone avuto solo una frequentazione occasionale (qualche ora al pomeriggio, qualche mese, qualche corteo, etc).

Io, Pino Piccolo l’ho conosciuto, sia pure poco, perché grande era il divario di età fra noi, ed io ero un “dirigente di Partito” mentre lui uno dei “nostri ragazzi”.
Lo ricordo, nei miei confronti, educato e corretto, capace anche di relazionarsi “bene” pure con il cinquantenne Segretario della Federazione, al quale più di una volta si era rivolto il padre, Sottufficiale di Marina al porto, mi pare, con la preghiera di “tenere d’occhio” quel suo turbolento figlio.
Confesso anche che ero un po’ diffidente nei suoi confronti per quell’episodio di tentata infiltrazione a sinistra (suggerita pare da ambienti romani) che non mi “suonava” giusta.
C’è da dire, però, che non era un “isolato”, anzi. in un certo periodo, a lui faceva riferimento un gruppetto di ragazzini (quindici-sedicenni) che “istruiva” anche a base di “flessioni” imposte (retaggio romano anche questo).
Quindi, che fosse un “pazzo” proprio non si capiva, e se quella sera estrasse il coltello e colpì, credo si sia trattato -a prescindere dalla strategia processuale poi scelta dagli avvocati- di una reazione a caldo dopo un inseguimento coronato dal successo (anche senza voler far cenno alla storia, mai bene accertata nemmeno in giudizio, per non “turbare la memoria”, di una catena brandita da Petrone).
Anche sulla vittima, non insisterei a descriverlo come un “povero zoppo”....qualche “diversamente abile” impegnato in politica, allora c’era, e da tutt’e due le parti. E dirò di più, con una banalissima osservazione psicologica, credo di poter affermare che questa menomazione era spesso per costoro di stimolo a più “osare”, per porsi “alla pari” degli altri.
Nel 1973, quando, alla mia unica, breve esperienza “extra”, ero a capo di un “Comitato Tricolore” da me fondato, successe che una domenica mattina si presentarono sotto la sede una quarantina di “cinesi” a provocare e insultare...proprio come la sera di Petrone.
Noi eravamo una quindicina, e ci precipitammo fuori, muniti di robusti manici di piccone che personalmente era andato ad acquistare, in numero di una ventina, da un negozio di accessori agricoli, in due volte, perché la prima avevo esaurito la scorta dello stupefatto commesso.
Lo avevo fatto non per libidine di violenza, ma dopo che avevo dovuto letteralmente strappare di mano ad un “ragazzino” un segmento di tubo Innocenti riempito di piombo che se usato, aveva buone possibilità di spedire al Creatore la malcapitata vittima.
Bene, dicevo, scesi di corsa insieme agli altri, quelli scapparono (anche qui, come la sera di Petrone) e io, che ero in prima fila (ero o non ero il Presidente?) mi trovai faccia a faccia con uno in carrozzella, che tremava tutto alla vista di questo esagitato occhialuto con un manico di piccone tra le mani (oggi mi vien da ridere a raccontarlo).
Quindi, Piccolo non era “un pazzo” (anche se mi pare Ugo Maria Tassinari riferisca un episodio che lo vide in ciabatte e accappatoio per strada, al quale stento a credere [episodio confermato da altre fonti baresi, ndb]) e Petrone non era “un povero zoppo”.
Circa poi la presenza in ambienti “estremi”e in momenti ”estremi” di personaggi “estremi”, potrei citare i molti casi da me scoperti leggendo cose della RSI, di capi-partigiani schizofrenici -e peggio- conclamati (eppure coraggiosissimi in azione, e per questo idolatrati dai loro uomini).
Nè nel periodo rivoluzionario del biennio rosso e poi della riscossa fascista le cose andavano diversamente: Argo Secondari, futuro fondatore degli Arditi del Popolo venne definito, in una lettera a Milano, già nel 1920, da Enrico Rocca, che all’epoca con lui era nell’Associazione Arditi, un "pazzoide": “La scissura nell’Associazione degli Arditi fu originata da ragioni del tutto interne, provocate da un mattoide, l’autore dei fatti di Pietralata, che seminò dissensi e disordini a scopo di mire personali”). Anche preveggente, perchè poi in effetti in manicomio Secondari ci finì (e non credo proprio per gli effetti di una bastonatura –della quale peraltro poco si sa- subita vent’anni prima).
Ancora più severi i giudizi dei Questori dell’epoca, che erano funzionari di collaudate capacità ed esperienza. Per quello di Roma, Secondari è “megalomane ed esaltato”, mentre quello di Milano dice di Feruccio Vecchi che: “solo a vederlo gli si attribuiscono le stigmate di una degenerazione morbosa….nei momenti più salienti delle pubbliche manifestazioni, perde la testa, parla come un ossesso, ed è preso da un vero delirio demagogico. Allora diventa realmente pericoloso”
Con loro ci sono (e ci saranno negli anni “di piombo”) i “marginali”, i “figli della folla”, come quel “Gino il drogato” (anche di costui parla Ugo Maria Tassinari) col quale mi trovai a condividere un’avventura , già raccontata qui, sull’asse Bari-Taranto.
Non fraintendetemi: la maggiorano erano “bravi ragazzi” con un po’ di fegato, e non disposti a “cedere lo passo” di brancaleoniana memoria, ma c’era anche qualche “canaglia” (lo disse Pellizzi già nel ’23, senza infingimenti) e qualche esagitato, che, cmq, non “dava il tono” all’ambiente.
Per chi era disturbato allora da certe presenze e lo è oggi dal solo parlarne, sono sempre spalancate le porte di oratori e canoniche.....

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