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Stefano Delle Chiaie racconta il suo 12 dicembre 1969



Quarantanove anni fa la bomba, l'esplosione che squarcia il buio e uccide. 
Era il 12 dicembre. Siamo a Milano, a piazza Fontana. Una bomba uccide 17 persone in una banca nel centro di Milano.
Con piazza Fontana inizia una stagione di stragi e terrorismo di cui il nostro amato paese porta ancora le cicatrici, anche perché dopo 49 anni di inchieste e processi, la strage resta impunita.
Tra gli indagati per la strage di Piazza Fontana c'era anche Stefano Delle Chiaie, nei cui confronti fu spiccato un mandato di cattura nel 1982 mentre era in Bolivia. Arrestato nel 1987 a Caracas ed estradato in Italia, fu processato e assolto nel febbraio del 1989 per non aver commesso il fatto. Sentenza confermata in appello il 5 luglio del 1991.
Nella sua autobiografia intitolata l'Aquila ed il Condor, racconta il suo 12 dicembre del 1969.
Racconto che riportiamo per intero.

Venerdì 12 dicembre 1969 era un giorno come un altro. O almeno così sembrava. Non potevo immaginare che invece sarebbe stato uno spartiacque nella mia vita e in quella di molti altri camerati...

Il pomeriggio di quel 12 dicembre mi trovavo a Roma, in via Catania, dove quasi ogni sera incontravo i miei camerati. Li vicino, in una traversa, c'era la sede di Caravella. Non avrei dovuto essere da quelle parti, ma a casa, in via Tuscolana. La sera prima, mentre stavo accompagnando Fabio Fabbruzzi in via Catania, davanti a una trattoria avevo incontrato casualmente Mario Merlino, che era in compagnia di alcuni giovani in partenza per la leva militare.

Mi ero fermato per pochi istanti e lui mi aveva chiesto un appuntamento. Mario aveva militato in Avanguardia e di recente, con il milanese Pietro Valpreda aveva creato un piccolo circolo anarchico, che avevano chiamato 22 marzo, ispirandosi alla data convenzionale di inizio del Sessantotto francese.
Merlino mi aveva confidato che stava attraversando una crisi esistenziale e che avrebbe voluto parlarmi. Avevamo concordato di vederci per le cinque del pomeriggio successivo. Gli fornii il mio nuovo indirizzo. Da poco mi ero trasferito da via Tor Caldara a Via Tuscolana 552, proprio di fronte allo stabilimento della Banca d'Italia.
L'indomani, venerdì 12 dicembre, mi dimenticai l'appuntamento con Merlino e cosi, dopo aver lasciato la mia agenzia di assicurazioni, anziché rincasare mi diressi in via Catania. Nei pressi di una pompa di benzina, gestita dall'amico Pietro, mi intrattenni con Gian Maria Russo, il regista di Berenice, il dramma di Brasillach, che aveva messo in scena qualche anno prima al teatro Fiammetta.
Personaggio eccentrico, ma intelligente ed eclettico, Russo era la persona sulla quale facevo affidamento per rilanciare il Centro Culturale d'Avanguardia.
Di questo stavamo parlando quando mi sentii chiamare. Era Peppe, il proprietario di un piccolo bar adiacente alla pompa di benzina. A quel tempo non c'erano i cellulari e Peppe- ma più sua moglie, che scherzosamente chiamavano la strega per il modo in cui trattava il marito- faceva da centralino per lo scambio dei nostri messaggi.
Peppe mi avvisò che al telefono cercavano uno di noi. Andai all'apparecchio era Guido Paglia. Guido, estremamente agitato, mi riferì che alla sala stampa di piazza San Silvestro, dove lavorava come giornalista, arrivavano telex allarmanti su uno spaventoso avvenimento.
Mi chiese di raggiungerlo per constatare di persona la gravità di quelle notizie.
Telefonai a Fausto Fabbruzzi, che lavorava alla Cassa di Risparmio di Rieti, vicino a piazza San Silvestro, e gli dissi di raggiungermi. Insieme ci dirigemmo verso palazzo Marignoli, sede della sala stampa.
Incontrammo Pierfrancesco Pingitore, in seguito animatore del Bagaglino, che ci descrisse sommariamente la confusione che regnava nella sala stampa a causa del moltiplicarsi di notizie che giungevano su quella che appariva sempre di più come una tragedia. Lasciato Pingitore, salimmo di corsa le scale e con Paglia commentammo i telex in arrivo che indicavano una situazione assolutamente preoccupante.
All'inizio non era chiaro cosa fosse effettivamente successo: una ridda di attentati sanguinari dai contorni ancora indefiniti. Ma poi, con sempre maggiore frequenza, pervennero altri dettagli. Prendemmo coscienza della gravità dell'accaduto e io compresi immediatamente che anche noi saremmo stati vittime di quel dramma. Anche se non immaginai fino a che punto, e certo non pensai che sarei stato coinvolto in prima persona, in quel terribile evento.
Quel giorno l'Italia si scontrò con il mistero di una violenza nichilista. L'inizio di anni tormentati che permisero errori, depistaggi, falsificazioni, strumentalizzazioni di parte a danno della verità. Con inimmaginabili conseguenze per molte persone strette nella morsa di quella macchinazione.
Lascia Paglia e mi riunii con un gruppo di camerati per scambiarci le prime impressioni. Tutto appariva ancora confuso e incomprensibile. Decidemmo di dare il via a nostre indagini e stabilimmo di vederci la sera successiva.
Quella notte stessa a Roma vennero fermati numerosi militanti extraparlamentari, sia nazional rivoluzionari sia di sinistra. Fra loro c'era anche Mario Merlino e altri appartenenti al circolo anarchico 22 marzo.
( Tratto dal libro l 'Aquila ed il Condor pagine 104-106)

1 commento:

  1. Credo che AN non c'entri niente con la strage, probabilmente compiuta da altri diversi utili idioti del Sistema.
    Bastano però i nomi di Paglia e Merlino per mettere in serio dubbio la ricostruzione di Delle Chiaie. Il primo faceva gli scoop con le soffiate dei Servizi il secondo faceva l'anarchico in crisi esistenziale a giorni alterni.
    Diceva bene qualcuno:... Avanguardia ministeriale.

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