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Roma battezza la Lega Tricolore

Foto di Pasquale Gargano
Il collega Antonio Rapisarda, dalle colonne de Il Tempo, storico quotidiano romano, in un interessante articolo, che riportiamo per intero ci racconta la giornata della "festa"leghista di piazza del Popolo ed il passaggio con cui Matteo Salvini battezza ufficialmente la nuova fase della sua esperienza: quella del sovranismo di governo.



«Tre anni e mezzo fa, con la Lega al 4%, mai avrei pensato che gli italiani ci avrebbero chiesto un giorno di guidare la rinascita di questo Paese, di essere la prima forza di questo Paese. Farò di tutto per meritare questa fiducia». Nella giornata della “festa” leghista di piazza del Popolo, velata di tristezza solo per la tragedia avvenuta nella discoteca di Corinaldo su cui il segretario è tornato più volte durante la giornata, è questo il passaggio con cui Matteo Salvini battezza ufficialmente la nuova fase della sua esperienza: quella del sovranismo di governo. Non si parla di seppellire totalmente la Lega di lotta e delle barricate euroscettiche ma di un soggetto in evoluzione, con un’accresciuta consapevolezza delle proprie responsabilità. Questa del resto è la cifra di «sei mesi di buonsenso al governo», come recitano i depliant distribuiti all’ingresso dai volontari, che hanno «invertito la rotta» sui temi della sicurezza e dell’immigrazione. E questo è l’indirizzo per il prosieguo di un’avventura politica a vocazione governista, che lui vuole sempre più connessa con le esigenze che uniscono gli italiani: «La vita è troppo breve per perdere tempo e per l’odio – ha indicato il ministro dell’Interno rivolgendosi anche ai detrattori -. Questa è una piazza di unione, di speranza». 
Introdotto dal “Vincerò” del Nessun dorma di Puccini sparato a tutto volume, già prima del suo intervento Salvini poteva cantare vittoria: la piazza è piena e, a paragone con i numeri del Pd e con le ultime uscite ufficiali dei 5 Stelle, ciò conferma lo stato di grazia del Carroccio, primo in tutti i sondaggi e con la golden share da giocarsi in vista delle Europee. Se la scommessa dei numeri è vinta così come lo è quella del tricolore sul palco (ormai accettato anche nelle valli padane), il rapporto con i militanti è consustanziale: «Un capitano, c’è solo un capitano», gridano dalla piazza alla quale lui risponde con le mani giunte, toccandosi il cuore. «Se i poteri forti ci attaccano significa che stiamo facendo bene», incalza al plurale rivolto proprio alla comunità dei presenti ai quali chiede di «marciare uniti e compatti». 
Ai leghisti e non solo offre come risultati dei primi sei mesi misure “manifesto” come l’abbattimento delle ville dei Casamonica («Per la mafia non c’è più spazio») e il contrasto al business sulla pelle dei migranti («Sulla vicenda Aquarius è bastato solo un po’ di coraggio»), obiettivi che stanno dentro la cornice del “suo” decreto sicurezza. Ma allo stesso tempo – citando personalità del pantheon popolare come Alcide De Gasperi e Giovanni Paolo II – Salvini inaugura la sua archeologia alla ricerca dello spirito della vera Europa: «Se l’Europa si ferma allo spread è finita. Noi invece vogliamo vederla sorridere e lavorare», ha spiegato indicando nei principi di Maastricht le ragioni minime di buonsenso da cui non si può prescindere.
Toni e riferimenti marmorei ma tutt’altro che radicali, insomma. E proprio per ridestare questo sogno europeo, a partire dalla nuova grammatica introdotta con la sua esperienza di governo, ha chiesto a piazza del Popolo la benedizione: «Voglio da voi il mandato di andare a trattare con l’Ue non come ministro ma a nome di 60 milioni di italiani – ha affermato solennemente –. Se c’è il vostro mandato non abbiamo paura di niente e di nessuno».
Questo è il personale ramoscello d’ulivo proposto dal vicepremier del Carroccio ai partner europei e alla Commissione, anche perché l’altro scenario – uno sbocco non politico - è quello che si sta registrando in Francia: «Guardiamo cosa sta succedendo a Parigi. Io credo che la violenza non dovrebbe mai essere usata ma chi semina povertà raccoglie protesta». 
E il fronte interno? Anche davanti ai suoi Salvini ha promesso fedeltà all’alleato Luigi Di Maio: «Non faccio certo saltare il governo per un sondaggio. Siamo qui per restare». Certo, nessuno si metta in testa di aumentare le tasse o di introdurre balzelli ideologici come l’ecotassa: «Con noi non passerà». Con queste coordinate e da questa prospettiva, del resto, sa bene che in pochi mesi la sua Lega ha monopolizzato l’agenda politica, ponendosi alla testa di chi ambisce - comunque vada a maggio - ad avere un ruolo centrale nella prossima Europa. «Abbiamo iniziato una lunga marcia per dare ai nostri figli un’Italia migliore», ha concluso alla luce di tutto ciò. Per quale motivo, dunque, cambiare strada?

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