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Il coming out di Enrico Ruggeri: mai stato fascista. Ero e sono anarchico

Ogni volta che spunta fuori la discussione su musicisti e cantanti "fasci" una delle poche certezze indiscusse è Enrico Ruggeri, la giovane star del punk milanese approdata alla ribalta mainstream e ai trionfi di Sanremo. E invece niente, anche questa è una leggenda urbana "nera". Il cantante la smentisce seccamente in una bella intervista ad Antonio Gnoli per "la Repubblica" e abbondantemente ripresa da Dagospia. Ecco il passaggio in cui Ruggeri liquida ogni voce sulla sua fascisteria.

«Tornai a Milano e insieme alla mia band, i Decibel, decidemmo di allestire un concerto punk in una discoteca. Affiggemmo i manifesti, soprattutto nelle periferie di Milano. Da tutta la Lombardia arrivarono diverse centinaia di ragazzi. Sapevo che non sarebbe stato facile accoglierli. Due cortei - uno di Lotta Continua e l' altro di Avanguardia Operaia - attaccarono quei giovani pittoreschi, con le creste e le spille, accusandoli di fascismo e impedendo loro di radunarsi».

E voi?

«Per noi fu una pubblicità insperata. Nel casino politico di quegli anni Settanta spuntava una voce originale. Una casa discografica ci fece, nel giro di pochi mesi, realizzare un disco».

Da quel momento sei stato bollato come un artista di destra.

«Oggi un' accusa del genere farebbe ridere, ma allora la cosa assunse una dimensione provocatoria. Non ero di destra, non lo sono mai stato. Semmai la derivazione del punk era anarchica e tale mi sentivo».

Be', ti davano del fascista.

«Per quella sinistra conformista e violenta, che negli anni Settanta ha cercato di uccidere la musica o di condizionarla, erano tutti fascisti. Le imprese vigliacche contro Lou Reed o De Gregori, per fare un paio di nomi che hanno patito quel clima assurdo di intimidazioni, ne sono state l' emblema. Non dimenticherò mai la definizione di "frocetto nazista" che un foglio di estrema sinistra affibbiò a David Bowie».

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