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Delle Chiaie: così in Bolivia fu ammazzato Pierluigi Pagliai

Pierluigi Pagliai è il secondo da destra
di Stefano Delle Chiaie
Il fallimento dell'operazione "Pall Mall" ai primi di agosto 1982, non fece desistere i servizi e il ministero dell'Interno dal rinnovare il tentativo contro di me. Fu messa a punto un'altra operazione, chiamata Marlboro approfittando di una vacatio di potere per il passaggio del governo boliviano da Vildoso a Siles Zuazo.

Il 9 ottobre del 1982 fu ordinato di predisporre a Fiumicino un areo dell'Alitalia, il Giotto, per un viaggio intercontinentale. Primo ufficiale era Marcello Pesaresi, il secondo tal Marchini, chiamato dai servizi. La rotta segnalata fu quella per Caracas con richiesta di riserva di carburante per scalo alternativo, cosi come previsto quando la destinazione può cambiare da quella comunicata.
A bordo del Giotto c'era un gruppo di teste di cuoio del SISDE e dell'UCIGOS, agli ordini del commissario Fragranza. Si disse che a bordo vi fosse anche Mario Fabbri ex iscritto alla Caravella poi arruolatosi in polizia. Fabbri grazie alla sua precedente militanza, era in grado di riconoscermi. 

[Tra le tante cose fatte, Fabbri fu protagonista del Caso Casimirri, ndb. Qui la sua audizione in Commissione Fioroni. Qui il seguito dell'audizione. Fabbri era specializzato in terrorismo rosso ma sviluppò anche rapporti con la banda della Magliana. A lui e a Paoletti, con Fabbri arrestato e assolto dopo 7 ani e mezzo, sarebbero ispirati i personaggi di "Cip e Ciop", i due agenti segreti che in "Romanzo criminale" hanno rapporti con Giuseppucci e c. ndb].

Il Giotto atterrò a La Paz la mattina del 10 ottobre. Nello stesso giorno da Porto Rico giunse anche l'agente della CIA Richard Adler. Una circostanza nota a Parisi, che, nell'udienza del 20 ottobre del 1987 al processo per la strage di Bologna, disse che i servizi americani si offersero di collaborare con quelli italiani alla cattura ed estradizione di Delle Chiaie. 
I poliziotti, sbarcati a La Paz, si diressero all'edificio San Ferdinando, a plaza Isabel, senza trovarmi. Ero infatti in Venezuela e l'appartamento che occupavo in quell'edificio della capitale boliviana con i miei camerati, come già raccontato, era stato lasciato da tempo perché ci eravamo trasferiti tutti a Calacoto.

Pierluigi avrebbe dovuto essere in Argentina e si stava preparando a rientrare in Italia essendo perseguito soltanto per la renitenza alla leva causata dalla sua latitanza.
Claudio Larrea, un capitano dei carabineros boliviani di Santa Cruz con il quale Pierluigi aveva stretto amicizia, con un pretesto lo aveva però richiamato in Bolivia. Il gruppo delle teste di cuoio avvertito dalla presenza del mio camerata a Santa Cruz, si spostò in quella città.
All'atterraggio del Giotto a Santa Cruz, un gruppo di nostri camerati boliviani, sospettando un azione contro di noi, tennero l'areo sotto tiro. Desistettero da ogni azione perché fu assicurato loro che si trattava di un atterraggio di emergenza causato da un guasto.

Gli italiani, attraverso Larrea, erano riusciti ad ottenere il complice appoggio di un nucleo di carabineros agli ordini di un maggiore di nome Zugel e del colonnello Nelson Peredo. La complicità era stata comprata da due funzionari del SISDE giunti in Bolivia l'8 ottobre.
Larrea fissò un appuntamento con Pagliai alle undici del mattino dinanzi alla chiesa di Nuestra Senora de Fatima. 

Pierluigi arrivò a bordo di una Toyota. La trappola predisposta scattò e la sua auto venne circondata da uomini a bordo di una Lauda bianca e altre quattro vetture. Pierluigi bloccò le portiere, chiuse i finestrini e portò le mani alla nuca. Partì un ordine e dopo aver frantumato un vetro dello sportello anteriore, uno dei boia sparò due colpi a bruciapelo con una pistola calibro 22. Pierluigi sanguinante, si piegò sul volante. Il corpo esanime fu caricato sulla Lauda e i killer si allontanarono. Parteciparono all'imboscata circa 20 italiani e 40 carabineros.

Era domenica, e alla scena assistettero molti testimoni che a quell'ora uscivano dalla chiesa dopo la Messa. Tra di essi anche la giornalista Mabel Azcui del giornale El Pais di Madrid, che scriverà sull'imboscata un ampio resoconto sul giornale boliviano El Mundo.
Pagliai fu portato all'ospedale Petrolero di Santa Cruz e la notte stessa, in seguito a voci di un'azione organizzata da parte di camerati boliviani per la sua liberazione, fu trasportato alla clinica Isabel di La Paz con l'areo su cui salirono anche i complici boliviani timoroso di subire una ritorsione.

Nella notte Pierluigi fu operato dal professor Brunn, dell'ambasciata Usa e l'11 ottobre, malgrado il parere contrario dei medici boliviani, fu condotto all'aeroporto per essere imbarcato tentò di opporsi al decollo dell'aereo, ma l'ambasciatore Corr ottenne dal ministro dell'intero Mario Roncal Antezana un decreto di espulsione.

La direzione dell'aeroporto, con l'appoggio di militari armati dell'aeronautica, continuò a opporre resistenza, adducendo come pretesto il mancato pagamento dei diritti aeroportuali. Ancora una volta Corr intervenne pagando i diritti e l'aereo, su cui era salito anche Adler, decollò per l'Italia facendo scalo a Porto Rico per sbarcare l'agente della CIA.
Tutte le foto dell'operazione furono fatte sparire dalle agenzie e dai quotidiani. Pagliai morirà poco dopo essere giunto in Italia, il 5 novembre

FONTE: L'aquila e il condor

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