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Francesco Storace: libertà di parola per tutti meno che per me e Bossi


(G.p)In un recente passato, Francesco Storace, segretario nazionale de la Destra, è stato condannato, in primo grado a sei mesi di reclusione per il reato di offesa all'onore ed al prestigio del presidente della Repubblica.
Una vicenda vecchia di 8 anni, che si è conclusa nel novembre del 2014 con una sentenza di primo grado. All'epoca l'ex ministro della Sanità e presidente della Regione Lazio rivolese un duro attacco alla senatrice a vita Rita Levi Montalcini, definendola stampella del governo Prodi. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenne a difesa del premio Nobel e venne a sua volta attaccato dal leader de La Destra, che definì “indegno” il comportamento del Quirinale.
Oggi 20 ottobre 2015, dopo l'assoluzione dello scrittore Erri De Luca, accusato del reato di istigazione a delinquere per aver pubblicamente detto che la Tav va sabotata  il collega Antonio Angeli ha intervistato Francesco Storace, condannato per l'anacronistico reato di vilipendio al Capo dello Stato.
Intervista che proponiamo nella sua interezza.


Libertà di parola per tutti meno che per me e Bossi"
Parla Francesco Storace condannato per vilipendio al Capo dello Stato

Erri De Luca assolto perché «il fatto non sussiste». E Francesco Storace, condannato giusto un anno fa per vilipendio al Capo dello Stato, non ci sta. Perché «o si può dire quello che si pensa, oppure no».
 
 
Francesco Storace, cosa pensa di questa assoluzione?
«Non capisco "il fatto non sussiste", cosa vuol dire? Avrei capito se "il fatto non costituisce reato". Non sono un fine giurista, vado a naso: che vuol dire? Che non ha detto quelle cose che tutti abbiamo sentito? Così diventa un’opinione non perseguibile: si può istigare alla violenza senza che questo sia reato. Si può invitare al sabotaggio senza che nessuno dica nulla».
 
 
Non a tutti è andata così bene.
«Certamente non a me e nemmeno a Umberto Bossi, condannato a 18 mesi. Eppure né io né lui abbiamo istigato alla violenza. Ci siamo presi la condanna per aver espresso un pensiero forte, ovviamente forte, altrimenti non ci sarebbe stato il processo, sul presidente della Repubblica. Io per aver usato la parola "indegno" e Bossi per avergli dato del "terrùn" che oggi è quasi un complimento. Erano i giorni nei quali cadeva il governo Berlusconi e nasceva quello Monti. Credo che un leader politico, in quella tensione, possa dire quelle cose, non può diventare un reato».
 
 
I sabotaggi alla Tav?
«Quelli ci sono stati. E ora voglio vedere cosa diranno di questo le motivazioni della sentenza. I danni, chi li paga? Gli agenti che si sono frapposti al lancio di pietre? Credo che il Parlamento debba scrivere meglio le norme, perché se le cose vanno così le leggi sono sbagliate. E io ancora sto attendendo che il Parlamento decida cosa fare del vilipendio: perché il Senato ha riformato il reato, ma se non lo fa anche la Camera non serve a nulla. E intanto un altro reato di opinione viene salvato, come quello che ha commesso De Luca. Anzi, che non ha commesso, visto che il fatto non sussuste».
 
 
Perché, secondo lei?
«Si salva perché è un intellettuale, vorrei vedere se la stessa cosa l’avesse commessa un appartenente ai centri sociali, cosa sarebbe accaduto. Non vorrei che per queste cose esistesse un privilegio di casta. Visto che per De Luca c’è stata una campagna mediatica, che possa aver influenzato la sentenza».
 
 
De Luca ha detto di essere pronto anche alla condanna.
«Questo mi ha colpito: come me disse che in caso di condanna sarebbe andato in prigione, senza fare appello. In realtà a me hanno dato la condizionale per non mandarmi in galera, uno schiaffo peggiore».
 
 
Ma perché, secondo lei, ha preso parte a questa strana crociata?
«Io difendo il diritto di tutti ad appassionarsi, ci sono molti motivi per essere contro la Tav, che io non condivido, comunque ci sono. Ma poi ci sono le modalità con cui si manifestano queste passioni, e il sabotaggio è una modalità sbagliata. Allora vuol dire che c’è la libertà di parola per tutti. Ma non per me e Bossi».

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