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L'ultimo libro di Rao: così lo Stato liquidò il terrorismo

E' da ieri in libreria il nuovo volume di Nicola Rao, dedicato alla "soluzione finale" dell'emergenza terrorismo in Italia. Per quel che ci riguarda contiene materiali inediti sulla morte di Giorgio Vale. La recensione di Aldo Cazzullo, uscita sul Corriere della sera di lunedì 10 ottobre segnala come la Digos sia arrivata al covo del Quadraro. La cosa ha evidenti implicazioni anche sulla morte di Carmine Palladino, strozzato nel cortile del carcere di Novara tre mesi dopo, accusato di aver "venduto" il latitante dei Nar. In attesa di mettere le mani sul libro (che ovviamente a Potenza arriva qualche giorno dopo l'uscita annunciata) vi offro l'articolo del Corriere.
di Aldo Cazzullo
Nell'Italia di trent'anni fa, al culmine del terrorismo e nello stesso tempo all'inizio della sua fine, una squadra di torturatori si muoveva tra le carceri. Non gli agenti del Nocs finiti sotto processo per il caso Di Lenardo; una squadra di professionisti specializzati nell'estorcere indicazioni e confessioni. Furono loro a catturare Antonio Savasta. A trovare il nascondiglio di Dozier. A smantellare la colonna napoletana. E ad assestare alle Br quel "colpo al cuore" che nel giro di pochi mesi ne decretò la fine.

Si intitola appunto «Colpo al cuore: dai pentiti ai "metodi speciali", come lo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata» il saggio-inchiesta di Nicola Rao, che domani Sperling&Kupfer manda in libreria. Un focus sugli ultimi 500 giorni delle Brigate Rosse: dal maggio 1981 all'ottobre 1982.
Per la prima volta parla Savasta. Parla il commissario Genova, che lo catturò. E parla il misterioso funzionario dell'Ucigos (l'Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali della polizia di Stato operativo durante gli anni di piombo, ndr) - indicato dai colleghi con il significativo eteronimo di «professor De Tormentis» - che contribuì in maniera determinante a distruggere le Br, praticando una sorta di waterboarding, la tortura del soffocamento con l'acqua.
Una storia che il gergo dell'epoca ha battezzato con nomi da B-movie - la squadra veniva indicata come «i quattro dell'Ave Maria» -, ma che ci riporta in un'epoca drammatica del nostro recente passato, che l'autore indaga con il metodo del suo long-seller dedicato invece all'estrema destra, «La fiamma e la celtica».
Costituita all'indomani della morte di Moro, la squadra in seno all'Ucigos era composta da ex sottufficiali della Mobile di Napoli, che avevano conosciuto il «professor De Tormentis» quando era alla testa di quell'ufficio tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta. Il gruppo d'azione, messo per qualche anno in sonno, viene richiamato in attività quando si fa più violento l'attacco delle Br, con il rapimento del generale Dozier e le pressioni di Washington sull'Italia.
Grazie ai «metodi speciali» di quella squadra, nel giro di poche settimane vengono smantellate le due anime delle Br: arrestato Senzani, capo del «Partito guerriglia»; individuato e liberato Dozier, prigioniero del «Partito comunista combattente». Savasta decide di parlare e di distruggere, con le sue rivelazioni, il Pcc, facendo arrestare decine di «rivali».
I «metodi speciali» del professore vengono poi introdotti anche a Napoli, nella primavera-estate dell'82, per catturare i superstiti dell'ultima colonna Br ancora in attività. Sempre con questi «trattamenti» la polizia arriva al covo romano dove si trova il terrorista dei Nar Giorgio Vale, che muore nella sparatoria con gli agenti.
 Il commissario Genova (insieme con altri funzionari) spiega di aver assistito di persona, durante le indagini sul sequestro Dozier, a due «trattamenti» a Verona - il secondo consente di strappare l'indicazione del covo dov'è rinchiuso il generale americano - e a un altro «trattamento» a Napoli. Il «professor De Tormentis» conferma. E racconta di essersi occupato anche di Enrico Triaca, il tipografo delle Br arrestato subito dopo la morte di Moro, e di due brigatisti che gli indicarono dove era nascosto Senzani.
Poi c'è la testimonianza di Savasta. Pagine a volte terribili. Il pentito racconta come uccise il colonnello Varisco. E come partecipò ad altre azioni: il rapimento e l'assassinio dell'ingegner Taliercio; le trasferte sarde per liberare il nucleo storico delle Br detenuto all'Asinara e a Bad'e Carros, con la complicità di banditi-pastori, le traversate notturne nella Barbagia, le sparatorie con i carabinieri e con la polizia.

Con rivelazioni inedite sul rapimento Dozier, a cominciare dalla reazione del generale al momento della cattura, quando a pugni e testate stava mettendo fuori combattimento entrambi i brigatisti entrati in casa, e si fermò solo quanto vide Savasta puntare la pistola alla testa della moglie.
Neppure il blitz dei Nocs andò nella realtà come fu raccontato: i brigatisti si accorgono dell'arrivo degli agenti; uno di loro, come prevede il protocollo Br, punta la pistola alla tempia dell'ostaggio; poi ha un attimo di esitazione, non ha il coraggio di andare sino in fondo, e gli uomini dei reparti speciali riescono a liberare il generale; ma l'operazione passata alla storia come un esempio di azione fulminea stava per trasformarsi in disfatta.
Savasta racconta anche delle origini del terrorismo. E indica in un gruppo «proto brigatista» di ex di Potere Operaio i responsabili dell'uccisione del giovanissimo missino Mario Zicchieri al Prenestino. In precedenza Savasta aveva già accusato Morucci, Maccari e Seghetti, che erano stati prosciolti. Ma ora fornisce nuovi particolari.
Ad esempio racconta che, la sera dell'omicidio Zicchieri, Seghetti ordinò a lui e a un altro compagno di stare a casa e sintonizzarsi sulle frequenze radio della polizia, per verificare gli spostamenti e le comunicazioni delle forze dell'ordine. E aggiunge, senza farne il nome, che uno dei componenti del gruppo di fuoco era un compagno poi morto in un incidente stradale. Dalla discussione interna alla colonna romana sul pericolo rappresentato dai fascisti della sezione Acca Larenzia, del Tuscolano e di Cinecittà nasce l'assalto alla sezione missina finito in tragedia.
Savasta racconta delle armi distribuite dalle Br agli Autonomi durante i cortei del ‘77 romano. E dell'inchiesta che condusse su Aldo Moro, che inizialmente doveva essere ucciso all'interno dell'università, come poi sarebbe accaduto a Bachelet. Ed ancora: la vita quotidiana all'interno dell'organizzazione, le paure dei brigatisti, il terrore delle donne di essere torturate e violentate, le liti, i tradimenti, gli amori, le antipatie. E il suo rapporto conflittuale con il padre: un agente di polizia

4 commenti:

  1. sulle affermazioni di savasta a mio parere andrebbe fatta la tara! comunque il libro credo sia interessante!

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  2. Vedete un po' le mie ucronie "morotee":

    http://www.fmboschetto.it/Utopiaucronia/ucronie_morotee.htm

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  3. Che i vertici istituzionali, compresa la magistratura, sapessero dei metodi disinvolti usati durante gli anni di piombo, dalle forze dell'ordine, per reprimere e poi debellare il terrorismo, non credo possa indurre qualcuno ad avere delle perplessità in materia.Fatto salvo però un limite invalicabile: che non ci scappasse il morto durante l'interrogatorio.Ricordo il caso di Salvatore Marino, morto per annegamento, nei locali della Squadra Mobile di Palermo, il cui corpo venne gettato in mare, nel vano tentativo di depistare la magistratura. Ma male gliene incolse ai responsabili, la mafia si vendicò ed uccise uno ad uno gli investigatori coinvolti.Concludo con una riflessione, che a UMT non piacerà; richiamo l'attenzione sul fatto che la squadra di investigatori "disinvolti" venisse da Napoli,una realtà degradata, dove da sempre vengono usati metodi "disinvolti" dagli investigatori, una realtà che a Bolzano non verrebbe tollerata facilmente. A parziale giustificazione possiamo dire che nel sud della penisola impazza la criminalità organizzata con decine di migliaia di adepti. TV

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