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De Ipazia, ovvero contro i buoni per imperizia

Alessandra Colla ha lasciato questo commento nel post dedicato a Ipazia. Ho deciso che meritava il rilievo di un post autonomo, e non perché è una cara amica...
Accidenti, Ugo, altro che pubblicità-progresso!
Seriamente, grazie per lo spazio che mi dedichi.
Per la verità, lo scritto di don Ricossa mi era già stato segnalato da Giovanna Canzano (che ringrazio ancora per avermi permesso di parlare di Ipazia a mio piacimento), ma mi era mancato il tempo per replicare.
E poi, a dirla tutta, di replicare non avevo nemmeno tanta voglia.
Diciamo che definire l'assassinio di Ipazia come un fatto oscuro e marginale è la riprova di quanto sostenuto da Franco Cardini e, più modestamente, da me: ovvero che la rappresentazione, filmica o verbale, di quanto accadde ad Alessandria in quel marzo del 415 spiace grandemente a tutti coloro che si ostinano a leggere nel cristianesimo soltanto un'apoteosi di pace e di bontà --- che a me ricorda tanto, come diceva Guido Gozzano, «... il buono che derideva il Nietzsche / "...in verità derido l'inetto che si dice / buono, perché non ha l'ugne abbastanza forti..."». Lo spiega benissimo Luigi Lombardi Vallauri nel suo magistrale saggio "Nera luce", quando parla della violenza insita nel messaggio di Gesù.
Don Ricossa è liberissimo di dire, scrivere e pensare ciò che vuole --- siamo o non siamo in democrazia? Però la verità storica sta da un'altra parte.
Del resto, se persino il cardinale Tettamanzi, con grande sprezzo del ridicolo, ha avuto il coraggio di dire che «Uccidere in nome di Dio è il più assurdo crimine contro l'umanità» (nel 2006 Giovanni Paolo II aveva dato alle stampe un libro dal titolo "Non uccidere in nome di Dio") dimenticandosi un par di millenni di storia della Chiesa di Roma, perché stupirci?
Grazie per l'ospitalità e buona continuazione
a.c.

1 commento:

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