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Freda, la sfiga e i gazzettieri

Quella mattina di dieci anni fa, quando i carabinieri si sono presentati a casa sua per notificargli l’ordine di carcerazione per scontare la pena residua per il Fronte nazionale, anche un aristocratico come Franco Freda, che si è imposto come cifra stilistica la divina indifferenza alle cose terrene, per un attimo, per un attimo solo, ha ceduto al suo sangue meridionale e si è fatto attraversare la mente, affilata dalle frequentazioni con Nietzsche e Platone, da un dubbio volgare: “Ma allora è proprio vero che Giovanni porta sfiga”.

Questo è l'attacco del mio "pezzo" in morte di Giovanni Ventura, che sarà pubblicato sulla prossima edizione de "Gli altri". Uno scherzo, ovviamente. Perché il cattivo pensiero di Freda non è una notizia, o, meglio non è verificabile: perché l'unico riscontro possibile è chiederlo al titolare di quella caduta di tono. E l'Editore, come è noto, ha tagliato da tempo i ponti con i gazzettieri e ancor prima con banalità e pettegolezzi.
Per una volta, quindi, mi sono voluto concedere un minuto di letteratura, per ritornare subito alla rigidità del mestiere. E' stato il mio modo di partecipare dello spirito dei tempi, che vuole il  racconto giornalistico separato dai fatti. Nei giorni scorsi mi ero divertito a mettere alla berlina il Corrierone ma alla fine gli errori di quel "coccodrillo" sono facezie rispetto al plateale stravolgimento della realtà compiuto da un suo ex inviato che in un unico pezzo riesce a dimenticare la prima legge ad personam della Repubblica (voluta dalla sinistra per Valpreda e di cui beneficiarono anche Freda e Ventura), rimuove la faida tra area ordinovista e avanguardisti (per cui i supporter di Freda danno a Delle Chiaie dell'avventuriero e del mercenario e Pozzan, protetto dal Sid, lo accusa di essere al soldo dei servizi segreti), rovescia i percorsi della latitanza latino-americana del "Caccola", omette i particolari veri (la presenza di ex ordinovisti ammanicati con i servizi segreti in Argentina) che in qualche modo avrebbero potuto accreditare la sua tesi. E, quindi, per sottrarmi a una trabordante vocazione alla maestrina acida dalla matita rossa e blu, per un minuto ho giocato a fare lo scrittore.

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