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Dopo il 2 agosto

La giornata del trentennale ci consegna per la prima volta l’immagine forte di un Paese diviso sulla verità giudiziaria per la strage di Bologna ma unito nella consapevolezza che comunque sia quella sentenza è quantomeno monca.
Sgombriamo subito il campo da chi ha spostato l’agone direttamente sul terreno politico, tra un Di Pietro che invoca la rimozione del segreto di Stato in funzione antiberlusconiana e un Facci che contesta l’assunto “che il Governo vuole prorogare il segreto di Stato per coprire la verità: ecco perché ieri l’Esecutivo è «scappato» e non ha partecipato alla commemorazione della strage”.
Non ci interessa l’apertura del trecentododicesimo fronte antiberlusconiano. Ma non va sottovalutato il fatto che anche un convinto colpevolista come il giudice Mastelloni, uno che è riuscito nella straordinaria impresa di perseguire giudiziariamente sia il Mossad (Argo 16) sia Arafat (traffico d’armi Olp-Br), avverta il bisogno di puntellare la sentenza (priva di movente e mandanti e che si è fermata all’individuazione dei colpevoli, per me comunque presunti) definendo entrambi: un messaggio al governo di farla finita con i giochi di sponda con la Libia, affidato dagli Stati Uniti ai ragazzini dei Nar. Spunta così il quarto livello, che è ovviamente sovraordinato al terzo livello (Gelli e Supersismi: condannati per la sola calunnia) e al secondo livello (la direzione strategica individuata nel vertice ordinovista: assolta) e richiede l’individuazione del misterioso intermediario.
D’altra parte si fanno consistenti le obiezioni alla pista palestinese che è finora la più consistente e che scopriamo essere oggetto di indagine giudiziaria alternativa da cinque anni. Toccherà quindi mantenere desta l’attenzione su tutte le questioni.

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