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Trent'anni dopo, rivive ancora Meridiano zero


Nella mischia, oltre la linea. Metapolitica fuori dagli schemi, dalla parte del torto. Roma 8 Settembre 1991, un quarto di secolo fa. A Villa Celimontana il primo incontro: da un lato lo slancio giovanile di un microscisma inquieto, dall’altro l’incandescente macromagma dell’implosione ideologica.

Risultato? “Non ci interessano stupide parodie folkloristiche, dobbiamo abbandonare qualsiasi forma di esaltazione e romanticismo per nuovi e più impegnativi terreni di scontro: le ideologie sono morte!” Dal confino catacombale dell’emarginazione, la via d’uscita suggeriva virate verticali, per affrontare senza complessi d’inferiorità il rapporto col mondo moderno. Quando l’intruso in patria fiutò l’esigenza di puntare al disgelo, senza inibizioni. Fuori il maleodorante Palazzo dell’establishmentsi provò a teorizzare una soluzione aristocratica da Stato Organico, partendo dalla metafora del guerriero-contadino, seminando temi mobilitanti per schivare scenari distopici, oggi più di ieri tremendamente attuali: dominio dell’economia, consumismo destrutturante, mercificazione dell’esistenza, sottomissione alla tecnica nella società del controllo.

Tutto nell’occulto calderone. “Né destra, né sinistra. Le istituzioni sono in decomposizione, non ci interessa la lotta alla partitocrazia.” Due anni dopo i crolli murali di Berlino. Nell’anno della svolta rossa alla Bolognina. A ridosso del tintinnio di manette pel malaffare di Tangentopoli. Quattro anni prima della mutazione governativa a Fiuggi, quando Gianfranco Fini s’era appena ripreso la fiamma del MSI, ai minimi storici col superamento dell’anticomunismo, sprofondata nello sfondamento a sinistra teorizzato dal nazional-popolare Pino Rauti. Proprio qui dentro, nell’ostentata diversità della galassia extraparlamentare romana, i fuoriusciti dal Fronte della Gioventù di alemanniana reggenza (dissidenti sulla guerra del Golfo) sposarono il segno dell’indoeuropea Algiz, braccia levate al cielo, vita a volto scoperto: nel 1991 dirigenti e militanti di un pugno di sezioni osarono svecchiarsi fondando Meridiano Zero, perché “contrari alla manipolazione genetica, in difesa di tutto ciò che è naturale, contro lo sviluppo tecnologico selvaggio”, cibernetico e informatico, uscendo dalle ingombranti gabbie del ‘900, visto che “il neofascismo commemorativo ci è estraneo. Il fascismo e il nazismo ci interessano come fasi storiche rappresentative di valori etici, ma noi ci occupiamo del futuro: siamo solo un gruppo di giovani non omologati alla massa”. (…)

Così Maurizio Martucci ricordava un anno fa, in un lungo e appassionato post sul suo blog, la storia dei tecnoribelli di Meridiano Zero, una vicenda breve e intensa, che si è consumata in meno di due anni, con il gruppo che si autodissolve alla vigilia dell’entrata in vigore della legge Mancino. Ero ancora abbastanza ignorante di fascisteria e così dovetti aspettare qualche anno, e la pubblicazione del volume in memoria di Lello Graziani, per scoprire l’autenticità di quel tentativo di fuoriuscita dall’ambito soffocante del neofascismo, per inverare la lezione politica di Junger, che fu oggetto delle ultime elaborazioni del fondatore del Movimento politico Ordine nuovo. Meridiano zero fu una fucina di talenti ed evidente fonte di ispirazione della più innovativa esperienza nel decennio successivo, CasaPound.

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