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Le "iene del Circeo" nel racconto di Antonio Pennacchi


Ora io capisco che appena uno sente «iene del Circeo», subito pensi a Ghira, Guido, Izzo e alle due ragazze massacrate più di trent’anni fa. Era il 1975. Una, Rosaria Lopez di 19 anni, l’ammazzarono e l’altra – oramai creduta morta anch’essa – la chiusero nel bagagliaio della macchina insieme al cadavere dell’amica. Poi se ne tornarono con tutto il carico a Roma – ai Parioli – nella Roma-bene da cui provenivano.

Era notte fonda. Lasciarono la macchina in strada e poi ognuno a casa sua: «Ci vediamo domani». Donatella Colasanti di 17 anni si salvò solo perché un provvidenziale passante – uno che a quell’ora di notte andava per caso ancora in giro con il cane – sentì un flebilissimo lamento provenire dalla Fiat 127 che Guido aveva lasciato appunto parcheggiata in strada, sotto casa, con il macabro carico.

Quando poi la polizia, dopo alcune ore, riuscì a risalire attraverso la macchina di Guido anche a Izzo e Andrea Ghira e si recò nella villa del Circeo, non trovò quasi più traccia del delitto, trovò tutto lucido e splendente. Mastro Lindo. Neanche più una goccia di sangue. Nel frattempo – che ti debbo dire? – c’era già capitata la madre di Ghira al Circeo, a ripulire a fondo la villa con acqua, straccio e varechina.

Condannati tutti e tre all’ergastolo, Angelo Izzo ha poi riammazzato nel 2005 – durante un periodo di semilibertà – la moglie e la figlia di un carissimo compagno di prigione che, visto che lui usciva, gliele aveva premurosamente affidate: «Guardamele tu, per piacere». Adesso sta di nuovo nel supercarcere di sicurezza di Velletri dove si è pure sposato; ma si lamenta, dice che lì non si trova bene.

Giovanni Guido invece è tornato completamente libero nel 2009. A lui l’ergastolo – essendosi pentito e avendo la sua famiglia risarcito pecuniariamente quella dell’uccisa – era stato ridotto a trent’anni. Ma tra fughe varie, latitanze e poi indulti, alla fine ha scontato – in tutto – poco meno di 22 anni di reclusione.

Andrea Ghira – il capo indiscusso del terzetto – non ha fatto un solo giorno di prigione per quel delitto. Scappato non si sa dove, ogni tanto c’era chi lo avvistava in Brasile, in Kenya, in Sudafrica o addirittura in giro per Roma; ma non c’era niente da fare, non lo riuscivano a pigliare. 

«Chissà chi lo protegge», diceva la gente: «I ricchi cascano sempre in piedi». Poi invece dopo tanto tempo, nel 2005, s’è saputo – o almeno pare – che era morto nel 1994. Era stato nel Tercio – la legione straniera spagnola – da cui lo avevano cacciato pochi mesi prima che morisse d’overdose. Il suo corpo starebbe nel cimitero del Tercio a Melilla – un’enclave spagnola nel Marocco settentrionale – e gli esami del Dna hanno detto che è proprio il suo: «È lui, non c’è da sbagliarsi».

Donatella Colasanti – la ragazza superstite che era stata stuprata e seviziata per ore e ore, e poi rinchiusa nel bagagliaio insieme al cadavere dell’amica – è morta di tumore neanche un mese dopo che il Dna aveva dato il suo responso su Ghira. È morta nel dicembre 2005 ma non s’era data pace per tutti quegli anni, s’era battuta senza posa, scriveva ai giornali, ai politici e alle televisioni, perché qualcuno si decidesse ad andarlo a cercare. Ma niente. Pareva quasi che lo Stato non lo volesse trovare. 

Lei invece, nel ricordo costante di ciò che era successo – tanto che ogni volta che appariva in televisione la gente diceva: «Uffa, ma è un’ossessione, è passato tanto tempo, che ce ne frega più a noi?» – deve essere vissuta solo perché lui venisse scovato. E appena lo hanno trovato e s’è saputo che quel corpo era il suo, è morta. Ma era morta davvero  già quel giorno lì, nel 1975. Poi s’era solo trascinata avanti,  fino proprio a quest’ultimo giorno: «Ora me ne posso andare». Anche se – prima d’andarsene – ha detto che secondo lei non era lui, non era suo quel corpo, era d’un suo cugino: è così che avrebbero fregato il Dna; e la stessa cosa dice tuttora la sorella di Rosaria Lopez, la ragazza uccisa allora. 

Su internet c’è anche una foto che sarebbe stata scattata dai carabinieri nel 1995 – un anno dopo, cioè, dalla presunta morte di Andrea Ghira nel Marocco spagnolo – che lo ritrarrebbe un po’ invecchiato e con la barba, ma tranquillamente in giro per una via di Roma. Lui all’epoca del massacro aveva già fatto una rapina e dopo – nei primi mesi di latitanza – partecipò anche a un sequestro di persona. Era di famiglia ricca – potente – e chiunque percorre la Pontina ancora oggi da Roma verso il Circeo, subito dopo l’uscita di Aprilia Sud vede sulla sinistra campeggiare l’insegna «Ghira» dello stabilimento di prefabbricati in cemento armato di famiglia. 

Le travi precompresse Ghira – a capriata – erano già famose negli anni Trenta. Erano stati dei precursori nel cemento armato prefabbricato, cent’anni che facevano e fanno travi. Io peraltro questo Andrea Ghira l’ho pure conosciuto quando facevo il geometra. Deve essere stato pressappoco l’anno prima del massacro, 1974 o giù di lì. Ero andato da loro un paio di volte, negli uffici di Roma, per dei preventivi per un capannone.

Lui stava là, sotto gli ordini del padre che ce lo teneva a forza, e lo trattava brusco come una SS perché non capiva niente di cemento – gliel’ho detto io, a lui, che facevano travi già nel 1938 – ma sembrava una personcina ammodo, mite, gentile ed affabile, in mezzo ai tavoli da disegno. Poi dice tante volte le prime impressioni. Parlammo pure di politica una sera – mentre aspettavamo il padre – e appena il padre arrivò, lui scappò di là. La foto del 1995 però, che gira per internet e che lo ritrae per Roma, per me è lui. Come l’ho vista, l’ho riconosciuto. Poi lo Stato facesse quello che gli pare.

FONTE: Antonio Pennacchi, Le iene del Circeo

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