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18 settembre 1944: il linciaggio di Donato Carretta


Un crimine di folla

Il primo «crimine di folla» si era consumato nella capitale il 18 settembre 1944, al Palazzo di Giustizia, contro il direttore di Regina Coeli, Donato Carretta, testimone al processo contro il questore Caruso e additato da una donna come torturatore: inseguito da una turba di popolo, il fuggiasco venne linciato e gettato nel Tevere, dove i barcaioli lo annegarono come un cane. [Mimmo Franzinelli, L'amnistia Togliatti]

Vittorio Foa: "Una gelida canaglia"

Questo mi riporta alla vexata quaestio di piazzale Loreto. Quando ero già grandina, incontrammo per caso, come sempre in una vacanza in montagna, Walter Audisio, il colonnello Valerio, colui che comandò il plotone d’esecuzione di Mussolini. Vittorio poi mi disse: «Vedi, se lui non lo avesse ucciso, oggi Mussolini sarebbe deputato al posto suo, come esponente dell’MSI». Allora mi stupii. Vittorio, pur non approvando la macabra esposizione del corpo del duce a piazzale Loreto, pensava che la sua fucilazione fosse stata una cosa giusta. Non approvava neanche il linciaggio di Carretta, il direttore di Regina Coeli, ma scrisse di lui che era «una gelida canaglia». E quando, suggestionata anch’io dalla vulgata che sosteneva che i nazisti prima delle Fosse Ardeatine avevano chiesto ai partigiani di consegnarsi (ma Sandro Portelli ha dimostrato, documenti alla mano, che ai partigiani non fu rivolta nessuna simile richiesta e che la rappresaglia fu attuata immediatamente) gli chiesi perché non lo avevano fatto, mi rispose: «Se lo avessero fatto non ci sarebbe più stata opposizione armata al nazismo». Non poteva pensarla diversamente: era stato lui, del resto, a portare a Koch la risposta all’offerta di trattative quando Lisetta era detenuta a Villa Triste e di quel rifiuto era profondamente convinto. [Anna Foa, La famiglia F.]

La crisi dell'ordine pubblico

Già prima della liberazione furono soprattutto le proteste intorno ai processi contro esponenti del vecchio regime a far emergere, in modo preoccupante sia per il governo italiano sia per gli alleati, la delegittimazione e il disorientamento della polizia che più volte fu criticata per non essere intervenuta, nonostante avesse avuto a disposizione uomini e mezzi a sufficienza. Questa vera e propria crisi del controllo dell’ordine pubblico, lasciando da parte i disordini in alcune città siciliane verso la fine del 1944, è evidenziata in modo esemplare dal linciaggio di Carretta durante il processo contro l’ex questore Caruso, e dalla irruzione di manifestanti nel palazzo del Viminale durante le dimostrazioni dopo la fuga del generale Roatta. L ’8 settembre 1944 durante il processo Caruso la polizia perse il controllo sulla folla dentro e fuori il palazzo di giustizia di Roma, e non riuscì a impedire il linciaggio di Donato Carretta, direttore del carcere di Regina Coeli e testimone al processo. Secondo la ricostruzione di Gabriele Ranzato , in questo caso alla polizia non mancavano né gli uomini né i mezzi necessari per impedire il linciaggio.
Non sembrano esserci dubbi tuttavia né sull’assenza di un intervento efficace da parte delle forze dell’ordine a protezione di Carretta all’interno del tribunale, né sul fatto che l’aggressione all’ex direttore del carcere sulla piazza fosse avvenuta alla presenza di un numero di tutori dell’ordine assai superiore a quello di quei pochi che effettivamente intervennero in suo aiuto. Non solo mancò, inoltre, l’immediata volontà da parte dei poliziotti e carabinieri presenti (in gran parte in borghese) di individuare i responsabili, ma sembra palese anche l’inerzia della polizia, almeno nella fase iniziale delle indagini. È intuitivo, sottolinea Ranzato, che per molti la paura sia stata l’elemento decisivo: la paura non solo di essere aggrediti se avessero ostacolato gli intenti giustizieri degli aggressori di Carretta, ma anche di essere a lui assimilati, in quanto suscettibili di rappresentare quanto lui il passato regime [Donatella Della Porta - Herbert Reiter, Polizia e protesta]

Uno scambio di persona

Per uno scambio di persona e per irrazionale giustizialismo teppistico, la folla uccide Donato Carretta, direttore del carcere romano di Regina Coeli durante l'occupazione tedesca. Lo scambio di identità avviene nel palazzo di Giustizia dove Carretta, che durante l'occupazione ha aiutato la Resistenza deve deporre contro Pietro Caruso. È stato Caruso, questore di Roma fino all'arrivo degli americani, a compilare con Buffarini Guidi la lista dei cinquanta nomi richiesti da Kappler per completare il numero degli italiani da massacrare alle Fosse Ardeatine. Contro la ferocia della folla, Carretta tenta varie fughe, ma infine è scaraventato nel Tevere e ucciso. Il suo cadavere, tirato in secco, è trascinato per i piedi sul selciato fino a Regina Coeli. Carretta è appeso a testa in giù all'inferriata del carcere, così che sua moglie, affacciandosi, possa vederlo. [Rai cultura, La folla uccide Donato Carretta]. IL VIDEO


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