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La sua microbanda nazista uccise 9 immigrati e un'agente. Morirà in carcere





Beate Zschäpe dovrà restare in carcere a vita. La Corte federale di giustizia tedesca ha respinto il ricorso del membro della cellula terroristica neonazista NSU (Nationalsozialistischer Untergrund). Zschäpe ha vissuto con i due amici Uwe Mundlos e Uwe Bönhardt per quasi 14 anni.
Tra il 2000 e il 2007 il gruppo neonazi, attivo per 13 anni, ha ucciso otto uomini di origine turca e un uomo di origine greca, e una poliziotta, lei è stata dichiarata complice degli omicidi, oltre che di due attentati dinamitardi e 15 rapine ad opera dell'Nsu. Nel novembre 2011, Mundlos e Böhnhardt si sono tolti la vita per sfuggire all'arresto, dopo una rapina fallita. Il 4 novembre 2011, dopo aver saputo della morte dei suoi due compagni, Beate Zschäpe dà fuoco all’abitazione prima di darsi alla fuga. Quattro giorni dopo si consegnerà alla polizia. L’amministrazione comunale ha acquistato la casa nel 2012 dai proprietari e l’ha fatta demolire, per evitare che diventasse un luogo di pellegrinaggio dell’estremismo di destra. La donna aveva gestito la logistica e le casse della cellula terroristica. 

Paola Mirenda, da Lipsia, ricostruisce per Radio Bullets, tutti i buchi neri della vicenda della NSU
La polizia non ha spiegato perché nelle sue indagini abbia per anni insistito sulla falsa pista degli omicidi della mafia turca anziché puntare in direzione della destra estrema. Gli agenti sotto copertura nella scena neo-nazi tedesca non hanno spiegato quanto sapessero e quante vittime avrebbero potuto evitare. E l’Ufficio per la protezione della Costituzione (i servizi segreti interni) non ha chiarito come per anni abbia potuto pagare come confidenti estremisti di destra, che hanno usato i soldi statali per comprare armi e organizzare reti semiclandestine.
La ricostruzione, qui sintetizzata, della vicenda della banda e della sua rete di complicità è minuziosa:



Il debutto è nel dicembre del 1998 con una rapina da 30mila marchi in un supermercato in Sassonia. Uwe Böhnhardt era già ricercato per detenzione di esplosivi. Nel 1999 altre due rapine e un attentato in un locale di Norimberga. I primi due omicidi sono a Norimberga. Nel settembre 2000 sparano in faccia a Enver Şimşek, un commerciante di fiori di origine turca, poi fuggono in bicicletta. Nel giugno 2001 Abdurrahim Özüdogru. Nell'estate 2001 altre due le vittime, due fruttivendoli turchi. Due settimane dopo tocca a Süleyman Taşköprü, un 31 enne ad Amburgo. Habil Kılıç, 38 anni, è ucciso ad agosto a Monaco. Di tutti questo omicidi Beate Zschäpe dirà di essere stata messa al corrente a fatto compiuto. Per l’accusa, non è credibile. Per la difesa, non ci sono prove né di partecipazione né di complicità.

La donna gestiva la cassa, aveva contatti con i fornitori di armi, disponeva di varie identità per affittare i covi ma non è mai stata vista in azione. L’unica volta in cui ha preso la parola al processo, il 27 giugno 2018, ha parlato di sé come di una persona succube e plagiata dai due uomini che aveva amato.

Per tre anni continuano le rapine di autofinanziamento per quasi 600mila euro, di cui una parte ritrovati. Il loro obiettivo preferito erano le casse rurali nel sud della Sassonia. Nel 2004 ricomincia la serie degli "omicidi del kebab", dal lavoro delle prime due vittime: il 25 febbraio a Rostock Mehmet Turgut, 26 anni, con tre colpi in testa, il 9 giugno 2005, a Norimberga İsmail Yaşar. La polizia pensa a a faide interne alla comunità turca. Ma il greco Theodoros Boulgarides, assassinato il 15 giugno 2005 a Monaco, lavora in un negozio che duplica chiavi. I delitti a pochi giorni di distanza si ripetono nel 2006: il 4 aprile è ucciso a Dortmund Mehmet Kubaşık, il 6 aprile a Kassel, in un internet café, Halit Yozgat. L'ultimo omicidio è quello della poliziotta Michèle Kiesewetter, il 25 aprile del 2007.

Il modello operativo è ben strutturato: i delitti sono concentrati in brevi archi temporali e ben distanziati tra loro e sono eseguiti tutti nell'area occidentale del paese (a eccezione di quello di Rostock) mentre la rete di sostegno e le attività di finanziamento sono concentrate a Est, tra Turingia e Sassonia.

Intorno alla morte di Yozgat si focalizzano le critiche sulle responsabilità del mancato contrasto governativo ai neonazisti. Al delitto è presente Andreas Temme, funzionario dell’Ufficio per la protezione della Costituzione. Da ragazzino nella sua città era chiamato “il piccolo Adolf”. Non si presenta subito a testimoniare. Si difenderà sostenendo che non aveva visto nulla. Le commissioni di inchiesta costituite dopo la "resa" della donna, nel novembre 2011, hanno provato come l’uomo abbia avuto, nei momenti prima e dopo l’omicidio, contatti telefonici con un attivista, suo informatore. Ma l'inchiesta è archiviata e sarà coperta per 120 anni dal segreto di Stato.

Altri nazisti risulteranno nel libro paga del BfV, come informatori e infiltrati, almeno 25 secondo il Die Zeit. Coperti dal segreto di Stato. Tino “Oskar” Brandt, tra il 1994 e il 2001 è uno dei maggiori informatori della Turingia . Quando i tre si danno alla clandestinità e cercano denaro, Brandt li aiuta “per sei o sette volte” usando anche i soldi guadagnati come informatore. Brandt è in contatto anche con Carsten Schultze, il ragazzo che ha comprato la Česká CZ 83, una semiautomatica ceca, calibro 9x17, usata per i delitti.

Molti informatori sono implicati nella vicenda Nsu. Carsten Szczepanski detto “Piatto” ha militato nell’Npd e ha tentato di fondare una sezione tedesca del KuKluxKlan, incarcerato per tentato omicidio: per sei anni nel libro paga dei servizi segreti. Ora è un testimone protetto.

Ralph Marschner, alias “Primus”, agente sotto copertura, ha dato lavoro a Uwe Mundlos e forse anche a Beate Zschäpe. Ha subito 17 indagini preliminari ma il BfV l’ha sempre protetto; Thomas Richter alias “Corelli”, per 18 anni uno dei più importanti informatori. Il suo nome era nell’agenda di Mundlos, è morto improvvisamente nel 2014 di diabete non diagnosticato, prima di un interrogatorio di polizia.

Gli informatori si muovono ancora in una rete ben consolidata di qualche migliaio di neonazisti. Come Ralf Wohlleben, esponente dell’Npd, condannato a dieci anni per aver procurato l’arma degli omicidi, organizzatore di raduni e concerti dei neonazi in Turingia, oggetto di una forte campagna di supporto, tra t-shirt “Freiheit für Wolle” e i suoi 40 anni festeggiati da centinaia di persone con post “solidarietà” su twitter e facebook.

Beate Zschäpe, Uwe Mundlos e Uwe Böhnhardt non sono tre “esaltati isolati” ma appartengono a una galassia ampia, che la Fondazione Amadeu Antonio quantifica in 22.300 persone, con 5.800 attivisti e 12mila “inclini alla violenza”, disposti a passare in clandestinità o ad aiutare i latitanti. Il nuovo mito è André Eminger, coimputato nel processo Nsu. Fondatore assieme al fratello gemello Maik di gruppi nazisti e sovranisti, difensore della “razza ariana”, partecipa a raduni anche durante il processo, così come alle manifestazioni di Pegida, il movimento anti-islam nato proprio in Sassonia.

Esemplari i suoi tatuaggi: sulla pancia “Die, Jew, Die” (“muori ebreo muori”), sul capezzolo destro, dove spicca il volto di Horst Wessel, sottotenente delle Sa. Per tutto il tempo del processo è rimasto in silenzio, anche quando è stato messo sotto custodia cautelare in attesa della sentenza: in aula gioca con il suo computer, ostenta magliette che ribadiscono la sua appartenenza. Un mite verdetto, due anni e mezzo, lo ha rimesso in libertà. Aveva più volte affittato veicoli e abitazioni per il terzetto, ma anche contribuito a costruire un’immagine di “rispettabilità” del durante la loro latitanza. Lui e la moglie Susann andavano ogni settimana a trovarli con i loro figli, fingendosi parenti. È André l’uomo che Zschäpe chiama il 4 novembre del 2011, dopo aver saputo che i suoi due complici sono morti e presumibilmente dopo aver già dato fuoco alla casa. André la va a prendere, dopo un lungo giro la porta alla stazione, la saluta al treno. Quattro giorni dopo Beate si consegnerà alla polizia. Quando in aula è chiamato a testimoniare un altro estremista di destra, la t-shirt di Eminger parla chiaro: “Brüder schweigen – bis in den Tod”, Fratellanza silenziosa fino alla morte. E' il nome della prima banda armata nazista nell'America degli anni '80, ispirata ai Diari di Turner. Il nome richiama il primo verso dell'inno della Waffen SS. La strategia del silenzio si rivelerà utile per Eminger, i giudici accetteranno le ricostruzioni della difesa che parlano di amicizia e non di complicità, che ammettono l’aiuto logistico ma negano la conoscenza del fine terroristico. La condanna arriverà per sostegno a gruppo terrorista e non per tentato omicidio. Una settimana dopo la fine del processo, anche Ralf Wohlleben verrà rimesso in libertà, avendo scontato già sei anni e mezzo di carcerazione preventiva.  

La pagina inglese di Wikipedia ricostruisce la gioventù della Zschäpe, un'esperienza di famiglia disfunzionale, a partire dal padre rumeno mai visto e sempre negato 

La madre di Beate Zschäpe era una cittadina della Germania dell'Est che ha studiato odontoiatria all'UMF di Bucarest. Secondo sua madre, il padre di Zschäpe era un compagno di studi di odontoiatria rumeno. Zschäpe non lo ha mai incontrato e ha negato di essere sua figlia fino alla sua morte nel 2000. Sua madre ha lavorato in contabilità presso Zeiss fino al 1991, quando è diventata, ma non si è registrata, come disoccupata. Vivendo in un austero quartiere di Jena, il rapporto di Zschäpe con sua madre era nella migliore delle ipotesi a disagio e trascorreva molto tempo affidata alle cure di sua nonna. Sua madre si sposò e divorziò due volte e ogni volta Zschäpe assunse il cognome del nuovo partner di sua madre.

Durante i primi 15 anni della sua vita, si è trasferita sei volte all'interno di Jena e dei suoi dintorni. La pagella del suo secondo anno scolastico (1982/1983) dice: "Beate si sforza di ottenere buoni risultati di apprendimento, ma spesso manca della concentrazione e dell'ordine necessari, quindi non raggiunge la sua piena capacità ... è attivamente e gioiosamente coinvolta nella vita dei pionieri». 
Nel 1991, dopo aver terminato la decima classe (15-16 anni), ha lasciato la sua scuola normale, presso la Johann Wolfgang von Goethe School, nel quartiere Winzerla  di Jena e ha iniziato a lavorare nell'ambito di un programma di creazione di posti di lavoro come assistente di un pittore . Ha poi svolto un apprendistato come giardiniere dal 1992 al 1996, specializzandosi in orticoltura.
Intorno al periodo della riunificazione della Germania nel 1990, la politica intorno a Zschäpe era in subbuglio e, contrariamente alla propaganda ufficiale della Germania dell'Est, il razzismo era già diffuso.
All'età di 14 anni, Zschäpe si unì a una banda giovanile che si chiamava Die Zecken ("Le zecche"). Sebbene il gruppo si considerasse politicamente di sinistra, c'erano anche membri per niente orientati politicamente. Quando Die Zecken aveva pianificato di attaccare una riunione di giovani estremisti di destra e di picchiarne alcuni, Zschäpe si era allontanata.
Altrimenti, è descritta all'epoca come desiderosa di godersi la vita, esprimendosi solo raramente politicamente e come se avesse una simpatia per la rivista Bravo (illegale nella Germania dell'Est).
Il suo coinvolgimento con la destra politica iniziò intorno al 1991. Ha conosciuto Uwe Mundlos, figlio di un professore di informatica all'Università di Scienze Applicate di Jena, arrivato a Winzerla con la sua famiglia poco prima della caduta del muro di Berlino. Con lui stringe una relazione ed entra nell'ambiente neonazista di Jena, entrando in contatto con la rete neonazista nazionale e internazionale. Uwe Böhnhardt, i cui genitori erano un'insegnante e un ingegnere, divenne loro amico intimo.
Un amico dell'epoca descrisse in seguito Zschäpe come primitiva, con la testa vuota, con un comportamento volgare e un modo di esprimersi privo di qualsiasi preoccupazione per le buone maniere. Ha descritto Mundlos come intelligente ma pigro. La condotta criminale (compreso il furto di computer dalla sua scuola) aveva lasciato Böhnhardt senza  diploma.
Un co-imputato nel processo NSU descrive Zschäpe come donna d'azione e non una da subordinare Una lettera che Zschäpe ha scritto mentre era in prigione è lunga 26 pagine, in una scrittura leggibile e chiara senza errori di ortografia. Gli schizzi in esso mostrano una chiara capacità di disegno.


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