Header Ads


Il delitto Buzzi: la storia di Izzo, la smentita di Concutelli

 


Sull'omicidio Buzzi c'è una lunghissima deposizione di Angelo Izzo che rientra nella prima fase della sua collaborazione (gennaio 1984) e in cui riporta, in tutta evidenza, alcune “confidenze dirette” e non successive rielaborazioni o “arricchimenti”. Ma sul nodo essenziale della ricostruzione, il ruolo di mandante del delitto di Cesare Ferri (secondo Izzo, in estrema sintesi Ferri era l'organizzatore e Buzzi l'esecutore e questo spiegherebbe la sua esigenza di “chiudergli la bocca”), c'è la netta confutazione dei due esecutori dell'omicidio. Ma procediamo con ordine. A partire appunto da abbondanti stralci di quel verbale di interrogatorio. In cui, tra l'altro, contesta le confessioni di un altro pentito, Fausto Latini.

Sull'omicidio Buzzi mi sono, anzitutto, rammentato di un particolare relativo a Freda ed Antonelli e cioè che Freda mandava dei vaglia ad Antonelli quando questi era a Trani e Freda si trovava in altro carcere. Desidero ora riferire quanto pervenuto a mia conoscenza circa Ordine Nero. Riferisco quanto mi ha detto in proposito Bonazzi Edgardo, informazioni delle quali in epoca più recente ho trovato conferma, in taluni punti, in quanto dettomi da Signorelli [un anno e mezzo prima Signorelli era stato messo in isolamento perché “minacciato” da Fioravanti, all'epoca strettissimo sodale di Izzo, ndb].

Io, Bonazzi e Quex

Poiché Concutelli, quando lo vidi nel carcere di Volterra, mi aveva detto, parlando di Ordine Nero, che si trattava di una provocazione della polizia, io successivamente, quando Bonazzi mi parlò di una grande amicizia e di stima verso gli imputati di Ordine Nero con i quali era stato in carcere a Bologna e in più. siccome Zani era divenuto nostro referente esterno, mentre noi eravamo detenuti in Trani quando demmo vita alla rivista Quex, io e Bonazzi venimmo a parlare di Ordine Nero. Il Bonazzi mi disse che Ordine Nero era sì una provocazione nei confronti di Ordine Nuovo, ma una provocazione in senso politico e non poliziesco. Ciò nel senso che Ordine Nero avrebbe dovuto trascinare Ordine Nuovo verso la lotta armata, sì da porsi come avanguardia armata rispetto al movimento politico che in quel momento era stato messo fuori legge. (…)

Ordine nero e il Fulas

[A sua volta] Signorelli riconduceva Ordine Nero al gruppo milanese e lo legava ad elementi di Avanguardia Nazionale e del Mar di Fumagalli. Invece per quanto riguarda gli attentati del Fulas a Roma, gli attentati in Sicilia e quelli in Toscana li riconduceva, il Signorelli, a un discorso diverso dall’altro, a un discorso ordinovista, accusando invece quelli che avevano fatto gli altri attentati di seguire una impostazione, reazionaria. Questo contrasto risalente a quegli anni ha avuto sviluppi anche in tempi recenti poiché Zani accusa Signorelli di legami con gli apparati, definendolo anche come uno della P2 (cosa riferitami da vari detenuti, fra cui il Pedretti) e manifestando anche intenzioni aggressive nei confronti del Signorelli.

La strage di Brescia

(...) Io ho conosciuto Buzzi Ermanno nel carcere di Volterra e poi ci siamo anche scritti quando eravamo detenuti in carcere diversi e lettere son state sequestrate a lui quando è morto. Il Buzzi, dopo Volterra andò al carcere di San Gimignano ove stette in cella per diverso tempo con Rossi Mario, Damis Pasquale e il mio coimputato Guido Gianni, col quale, in particolare, aveva una discreta amicizia. Guido Gianni mi ha raccontato che Buzzi gli ha riferito sulla strage di Brescia dicendogli che lui Buzzi aveva a Brescia un gruppetto a cavallo fra la malavita comune ed i fascisti e fece i nomi di Ferrari Nando e Papa Angiolino e soprattutto quello di De Amicis Marco che era il collegamento con Rognoni e Ballan, Buzzi, riguardo alla strage, così mi raccontò Guido Gianni, ammise di avervi partecipato e la strage doveva essere il fatto attraverso il quale il gruppetto Bresciano si sarebbe dovuto inserire in un discorso più ampio. Infatti da Milano si portò a Brescia Ferri Cesare, con funzioni per così dire di supervisore. Ferri, aveva raccontato Buzzi a Guido Gianni, si era creato un alibi mandando uno al posto suo a dare un esame o a far qualche pratica a una scuola, mi pare l'Università.

Le accuse di Latini
La partecipazione del Ferri alla strage di Brescia mi è stata confermata, più tardi, da Latini il quale era il quale era amico fraterno di Ferri: infatti quando Latini si recò in licenza matrimoniale e rientrò poi al carcere di Trani, in cella con me e Concutelli, dopo un “arruffianamento” nei confronti del “comandante” (Concutelli) cui disse che Terracciano Carlo aveva pronti per lui un M12, un giubbotto antiproiettile e due pistole e in più che tutti lo aspettavano, gli disse che aveva visto Ferri Cesare al suo matrimonio. Ricordo che Latini mi mostrò una fotografia del matrimonio indicandomi il Ferri. Poi Latini disse che c’era una cosa molto delicata che solo Concutelli era all’altezza di sbrigare. Egli parlò del fatto che Ferri temeva che in appello Buzzi, del quale nel carcere circolava voce che fosse confidente delle varie direzioni carcerarie, sputtanasse lui Ferri e anche Ballan Marco: Latini diceva che Ferri affermava che bisognava tappare la bocca al Buzzi. Io nei giorni seguenti parlando del fatto con Concutelli gli dissi che mi sembrava strano che lui dovesse impicciarsi di queste cose che riguardavano altri, almeno per quanto fino ad allora mi aveva detto. Concutelli mi fece allora un discorso un po’ misterioso: disse che in passato le posizioni non erano come quelle che si erano venute determinando nel prosieguo del tempo; disse che le cose non stanno sempre come sembrano e poi aggiunse che se Buzzi parlava si apriva una inchiesta e allora “queste cose cominciano e poi non si sa dove vanno a finire”.

Io certe cose a Tuti non gliele ho dette

Io penso che quando a Tuti verranno contestate queste mie dichiarazioni e cioè quanto ho sentito dire, il Tuti andrà in bestia. Io infatti ho avuto occasione di stare per mesi in cella con lui e non gli ho mai detto queste cose e dai suoi discorsi emergeva che egli si era indotto ad ammazzare Buzzi solo perché costui aveva la fama di confidente di cc o di direzioni del carcere senza supporre il vero movente dello omicidio. Riferisco anche questo: quando avvenne l’ omicidio a Novara del Buzzi, e io non ero a Novara, come è noto Concutelli e Tuti se ne assunsero la responsabilità. Già in precedenza su Quex era sortito uno scritto di Bonazzi nel quale si diceva che Buzzi era un confidente e allora il Bonazzi si prese un avviso di reato per l’omicidio e cioè come concorrente in esso. Il Latini, mentre era in carcere, scrisse una lettera al Terracciano che fu sequestrata nella quale in sostanza diceva che certe cose si devono fare e questo gli comportò un avviso di reato per partecipazione all'omicidio Buzzi.

Le storie false di Latini

Orbene quando il Latini uscì dal carcere si presentò poi dal GI di Novara e gli disse che desiderava essere sentito sull’omicidio Buzzi: e qui inventò di sana pianta una storia falsa e cioè disse che tale omicidio era stato deciso dai tribunali carcerari di Asinara Nuoro e altri. Aggiunse, il Latini, poi spiegherà come seppi cose, che, nelle more del processo Quex, me presente, nella camera di sicurezza del tribunale di Bologna, Bonazzi si sarebbe vantato dicendo che all’omicidio avevano partecipato anche lui Bonazzi, Azzi e Invernizzi come complici. Da qui il fatto che il GI di Novara mi chiamò a Novara per sentirmi come testimone. Con riferimento al Bonazzi dissi solo (...) che in varie occasioni Bonazzi, avendo ricevuto avviso di reato, era stato preso in giro sull’omicidio Buzzi, ma a me risultava solo la partecipazione di Concutelli e Tuti (...). Allora il giudice dispose un confronto fra me e Latini. Latini ripetè la versione dei tribunali carcerari come organi che avevano deciso l’omicidio Buzzi e disse che nell’intervallo della prima udienza del processo Quex ci saremmo riuniti, io, Latini, Bonazzi, Tuti, Murelli, Naldi (cioè i vari imputati) nella camera di sicurezza del tribunale e qui Bonazzi aveva raccontato le varie fasi dell’omicidio accollandosi la partecipazione. Io sapevo bene che la storia del Latini era falsa, ma allora non dissi la verità intera (cioè i discorsi del Ferri quali riferiti da Latini a Concutelli) e mi limitai a contestare a Latini dei dati di fatto: così gli dissi che ci eravamo visti nella camera di sicurezza, ma che Bonazzi non aveva fatto quel discorso; che, anzi, lui Latini era stato rimproverato perché manteneva contatti epistolari con Affatigato. Quella riunione era stata consentita (...) per consentire un incontro con i legali e quindi era assurdo che in loro presenza si facessero i discorsi che il Latini diceva.

Il giudice crede a Latini

Il giudice mi imputò per falsa testimonianza in quanto dava credito al Latini dicendomi: ma come faccio a non credere a uno che essendo libero si è presentato per dirmi queste cose? (…) Dopo l’omicidio Buzzi, il Concutelli mi disse che comunque lui era convinto che Buzzi fosse un confidente delle direzioni del carcere e fece a questo proposito riferimento alla circostanza che Buzzi a San Gimignano aveva fatto trovare qualcosa di illegale che era stata mandata a Rossi: si trattava, così ricordo, di esplosivo. Con questo discorso avvenuto in Rebibbia nell'ottobre 1981, il Concutelli tendeva a darmi una giustificazione, oltre il movente da me sopra indicato quando ho parlato dei discorsi del Latini, circa l’omicidio Buzzi. (...) [La seconda parte dell'interrogatorio è dedicato alla situazione toscana, all'Italicus e a Tuti, ndb]

La verità di Concutelli

Nel dicembre 2013, nel resoconto di un'udienza del processo per la strage di Brescia a cui Pierluigi Concutelli non partecipa per problemi di salute, Brescia oggi riprende la sua vecchia testimonianza, di fine anni '80, sul delitto Buzzi:

«Il carcere ci aveva reso così feroci» ha raccontato una volta Tuti ad un giornalista che era andato a trovarlo in carcere, e la ferocia, la freddezza del racconto, erano i particolari che avevano colpito molti quel giorno di fine anni ’80, quando la coppia neofascista fece la sua comparsa nell’aula della Corte d’assise di Brescia chiamata a giudicare per la bomba di piazza della Loggia Cesare Ferri e la cosiddetta “pista milanese”. Pierluigi Concutelli si sedette davanti ai giudici con quella sua aria un po’ spiritata e raccontò, con lo sguardo glaciale del killer, l’omicidio di Ermanno Buzzi, al tempo condannato in primo grado per la Strage del ’74, e da qualche giorno ospite del carcere di massima sicurezza di Novara.
Era la mattina del 13 aprile del 1981 quando Buzzi, sceso «all’aria», venne aggredito da Tuti e Concutelli. Una silenziosa e lenta agonia in un angolo appartato del cortile, uno strangolamento con i lacci delle scarpe raccontato in un’aula silenziosa con dovizia di macabri particolari. Un omicidio ampiamente premeditato, perché – furono parole di Concutelli – da cinque anni attendeva l’occasione per sopprimerlo: “Buzzi era un delatore del capitano Delfino, un provocatore”. Una condanna a morte che Concutelli ribadì anche in una lettera, il 21 aprile 1981, al quotidiano La Repubblica. Una missiva che aveva il sapore della sentenza per quell’uomo la cui attività di “delatore e provocatore” rappresentava una ragione sufficiente per un’azione rapida e spietata. Come rapido e spietato, Pierluigi Concutelli , è sempre stato. Fuori e dentro il carcere.

Nessun commento:

Powered by Blogger.