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13 aprile 1981: Concutelli e Tuti uccidono l' "infame" Buzzi

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Ermanno Buzzi

Il 13 aprile 1981 i due antesignani della “guerriglia nera”, Pierluigi Concutelli e Mario Tuti, uccidono nel cortile del carcere di Novara Ermanno Buzzi, condannato in primo grado all’ergastolo per la strage di Brescia. Lo accusano di essere «un confidente dei carabinieri, “provocatore” e corruttore di minorenni». Otto anni dopo, già condannato all’ergastolo per questo delitto, Concutelli è interrogato al processo bis per la strage di Brescia e motiva così l’esecuzione: «volevamo dare il buon esempio e avevamo la statura politica e morale per farlo».
Le indagini si indirizzano immediatamente verso l’ambiente di Quex, il periodico dei detenuti nazionalrivoluzionari, prodotto da Fabrizio Zani e Jeanne Cogolli. In un articolo Buzzi era indicato tra gli «infami da schiacciare». Così è arrestato a Bologna il “segretario di redazione” Mario Guido Naldi. Un giovane e "ingenuo" attivista già contattato dai servizi segreti dopo la strage alla stazione. Aveva contribuito con i suoi giudizi immotivati e un po’ megalomani a orientare le indagini verso la vecchia guardia ordinovista e avanguardista.
L’istruttoria si divide in due tronconi, anche in seguito a un conflitto di competenza. I reati a mezzo stampa sono trasferiti a Roma sul presupposto che la rivista illegale fosse stampata nella tipografia romana di Terza posizione. La corte d’assise di Roma derubrica l’apologia di banda armata in istigazione a delinquere. La sentenza (febbraio 1989) assolve Fausto Latini e Maurizio Murelli. Tuti, Edgardo Bonazzi, Cogolli, Zani e Naldi hanno 2 anni: per la Corte con l’omicidio Buzzi e l’attentato Muggiani  erano state attuate le indicazioni di “schiacciare gli infami”.
L’inchiesta per associazione sovversiva coinvolge decine di militanti ma nonostante l’accordo tra pm e giudice istruttore bolognese sul carattere eversivo degli scritti, opinione condivisa dal gi romano Macchia, a cui è trasferito il procedimento, si conclude con un nulla di fatto. Per i magistrati inquirenti, invece, «alcuni documenti esprimono con crudezza l’indifferenza verso atti di terrorismo indiscriminati, auspicati come parte di un più vasto programma eversivo, altri dimostrano legami tra settori in apparente contrasto, altri ancora (il carteggio Fioravanti-Mambro-Tuti) la compromissione di militanti rivoluzionari con apparati di stati esteri, finalizzati alla consumazione di gravissimi delitti».
Fabrizio Zani, tornato libero a marzo per motivi di salute, si rende irreperibile insieme alla sua compagna Jeanne Cogolli. Lo avevano arrestato un anno prima sotto casa del sindaco di Roma, Carlo Giulio Argan a bordo di un camioncino carico di armi. Dovendo scegliere un posto un po’ defilato come base - esclusa Roma, ingolfata di latitanti, e Milano, dove è conosciutissimo - Torino, vicino alla frontiera con la Francia, è una scelta naturale e Ansaldi è il primo referente. Intorno a lui si aggregano una decina di rampolli della buona borghesia, con compiti di appoggio e di fiancheggiamento. Gli unici che forzando la mano a Zani compiranno la scelta delle armi sono i leaderini del gruppo, Ansaldi e il suo alter ego, Paolo Stroppiana. Si “pentiranno” entrambi, in un batter di ciglia. 

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