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5 novembre 1973: muore a Pavia Emanuele Zilli operaio missino

 


Il 2 Novembre del 1973 Emanuele Zilli, operaio missino immigrato da Teramo a Pavia, va in fabbrica, come al solito. Alla fine del turno, intorno alle 18.30, i suoi colleghi lo vedono salire sul motorino e andare verso casa. Non ci arriverà mai. Viene ritrovato agonizzante sul prato che costeggia la strada. Lo trasportano d’urgenza in ospedale. Rimane in coma per tre giorni, senza mai riprendere conoscenza. Senza riuscire a rivedere la moglie o le bambine. Muore il 5 Novembre. È un morto scomodo Emanuele Zilli. Perché per più di trent’anni è stato detto che la sua vita era stata stroncata da un pirata della strada. Uno con la 500 che non si era fermato a soccorrerlo. Soltanto nel 1997, Stefano Vaglio Laurin pubblica un libro (“Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura”), in cui parla della morte di Zilli come di un omicidio. Negli ultimi anni i militanti pavesi hanno cominciato a praticare il rito del Presente per celebrarne il ricordo. Nel 2009 alcuni forzanovisti furono processati e assolti: in quel caso, come poi per Ramelli a Milano, il giudice ha ritenuto che il saluto romano non configurasse apologia di fascismo. Qui di seguito pubblichiamo la toccante testimonianza della figlia Patrizia, scritta nel 2005, che restituisce il senso angosciante di un mistero durato 30 anni ...


Oggi ho trentacinque anni, quando mio padre è morto ne avevo tre. Ma cosa sia successo davvero a mio padre lo so solo dal 2000. Come mai? Semplice : per trent'anni mia madre non mi ha detto nulla, nemmeno una parola, su quello che era successo al babbo. Per trent'anni nessuno dei nostri amici ha violato questa consegna del silenzio. Per trent'anni ho sempre saputo una sola verità: mio padre era morto in un incidente, il pirata della strada che lo aveva travolto non era mai stato trovato. Ma adesso che so, provo rabbia come se fosse successo ieri.

Nella primavera 1988 Patrizia compie diciotto anni. Ha simpatie per il Msi, sa che suo padre era iscritto, sa che anche sua madre ha lo stesso orientamento politico. Quindi non immagina nemmeno quello che lei sta per dirle quel pomeriggio. E' successo che in treno Patrizia ha trovato un candidato del partito, un ragazzo simpatico che si prepara alle elezioni. Il giovane è entusiasta, pieno di slancio, intuisce subito che Patrizia è politicamente affine. Al termine della chiacchierata lui le dice: senti, non ho molti mezzi, se ti do qualche volantino con il mio nome da distribuire mi dai una mano?

Patrizia dice si, ed è anche contenta. Le sembra di avere fatto un passo in avanti verso la militanza, sulle orme della persona che più le manca. E poi non le dicono sempre che è identica a suo padre? La stessa foga, la stessa passione, lo stesso modo di muoversi?

Torna a casa felice, appoggia il pacco con i volantini sul tavolo. Ma quando la signora Giuseppina rientra e li vede, accade qualcosa di imprevisto. La madre si avvicina agli occhi del simbolo della fiamma, poi agguanta la risma, la getta per aria, e si mette ad urlare: Cosa fai? Cosa vuoi fare? Subito dopo si calma, si fa seria. Con la voce più bassa e grave che abbia mai avuto, le ripete: Promettimelo qui, giuramelo: non farai mai politica. Prometti! E se non obbedisci devi sapere che te lo impedirò io.

Con tutte le forze.

Patrizia è sconvolta. Non capisce. Con le lacrime agli occhi fa cenno di sì. Dovrà aspettare ancora cinque anni per sapere il perché di quella sfuriata, quando il libro di Guido Giraudo renderà di pubblico dominio l'ipotesi dell'omicidio. E Giuseppina Zilli non è l'unica madre che sceglie questa via. Ancora oggi, parlando con me, lei offre questa motivazione: non potevo dire a Patrizia e a Enza che il loro padre era stato ucciso. Non potevo crescere delle bambine, cosi piccole, nell'odio, dovevo dar loro una possibilità di vivere senza fantasmi. E non potevo permettere che anche loro, con la storia che avevano, venissero coinvolte come Emanuele nella politica attiva.

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