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25 agosto 1987: Mario Tuti guida la rivolta di Porto Azzurro



Sei detenuti, tutti ergastolani, capeggiati dal terrorista nero Mario Tuti, tengono in ostaggio venticinque persone, tra le quali il direttore del carcere Cosimo Giordano, un medico, uno psicologo, un educatore e nove agenti di custodia. Il penitenziario di Porto Azzurro è da ieri a mezzogiorno nell'occhio del ciclone. I rivoltosi, armati di due pistole e di alcune bombe rudimentali, asserragliati nell'infermeria, lanciano ultimatum minacciando di uccidere gli ostaggi. Vogliono un elicottero in cambio dei loro «prigionieri». 
Il braccio di ferro è andato avanti con fasi alterne, con la fortezza spagnola circondata dalle forze dell'ordine. Per l'intera giornata le notizie sono filtrate frammentarie e contraddittorie dal penitenziario, che una volta si chiamava Portolongone. Alle 18.45, alla scadenza del secondo ultimatum, non si avevano ancora informazioni certe su quanto stava accadendo al quarto piano del carcere, nell'infermeria che Tuti e i suoi compagni hanno trasformato in «quartier generale» della loro azione. La rivolta vede protagonisti, oltre al terrorista di destra Mario Tuti, Mario Marroccu, Gaetano Manca, Mario Coppai, Mario Tulu, Ubaldo Rossi, Roberto Masetti e Luigi Tramontano. 
Dopo un paio d'ore due detenuti si dissociano, ma il capobanda prende prigionieri anche i suoi compagni pentiti dell'ultim'ora. La drammatica vicenda, a risolvere la quale sono state fatte affluirea Porto Azzurro le forze speciali dei carabinieri, della polizia, i famosi GIS e i Nocs, pronti a qualsiasi evenienza, ha inizio alle ore 11. Due ore dopo i rivoltosi rilasciano un agente, Luigi Erme, colto da un leggero collasso. Poco dopo esce dal carcere anche il comandante delle guardie, il maresciallo Stanislao Mollu, liberato con il compito di portare all'esterno messaggi del terrorista nero. 
«Ad un certo momento ho sentito che chiedevano aiuto in portineria - racconta appena uscito l'agente Erme, 43 anni, sposato con due figli - mi sono precipitato giù e nella guardiola ho trovato un recluso armato di pistola che teneva a bada due miei colleghi. Sicuramente l'arma l'hanno avuta da fuori perché non è di quelle in dotazione a noi agenti. Poi poco dopo è arrivato armato anche lui di una pistola, spalleggiato da altri detenuti, con in ostaggio il direttore Cosimo Giordano ed altro personale del carcere».


 
Per quanto è dato sapere, sembra che Tuti, alla fine dell'ora d'aria, abbia chiesto di parlare con il direttore del penitenziario. Questo incontro, subito dopo, si è tramutato in dramma, perché Tuti all'improvviso ha tirato fuori la pistola, prendendo in ostaggio il funzionario e il comandante delle guardie Mullo. Una volta avuto in mano il direttore, il sottufficiale degli agenti di custodia, un po' alla volta la lista dei prigionieri si è allungata e verso mezzogiorno il gruppo dalla portineria si è trasferito e barricato nei locali dell'infermeria al quarto piano. 
La prima richiesta fatta da Tuti, che ha vestito subito i panni del capo, è stata quella di avere a disposizione una macchina blindata. Poi si è parlato di un elicottero e di una motovedetta, che i rivoltosi avrebbero preteso in cambio della liberazione degli ostaggi. A condurre le trattative sono il questore di Livorno Rosi e il sostituto procuratore della Repubblica di Livorno Cindoli, mentre Pintera zona intorno al carcere è «off-limits» per tutti. Reparti speciali sono attestati nel campo sportivo, appoggiati da elicotteri. Uno di questi mezzi, ha effettuato anche una ricognizione aerea. L'elicottero, però, si è avvicinato un po' troppo al carcere e da una finestra dell'infermeria, è stato sparato un colpo di pistola che è andato a vuoto. Da fuori si raccolgono commenti e le voci più disparate. «La situazione è gravissima - ha detto la moglie del direttore del carcere sono criminali pronti a tutto. Hanno ammazzato più volte e sono pronti ad uccidere ancora». 
Il braccio di ferro va avanti per tutta la notte, con gli inquirenti attestati negli uffici della direzione trasformata in sala operativa. I contatti con i rivoltosi avvengono per telefono. Inoltre è stato installato anche un filo diretto con Roma, con il ministro di Grazia e Giustizia Vassalli e con il direttore generale per gli Istituti di Prevenzione e Pena Niccolò Amato. La rivolta di Porto Azzurro è giunta inaspettata, dopo lunghi anni di calma, che avevano caratterizzato questo penitenziario dell'Isola d'Elba che l'anno scorso, proprio per iniziativa del direttore Cosimo Giordano, si era trasformato in palestra-laboratorio per il recupero dei detenuti. Due mesi fa però è giunto qui Tuti, probabilmente con in tasca un piano di rivolta e con appoggi sull'isola, grazie ai quali ha avuto modo di ricevere in carcere le pistole e le bombe. Si aspettano per ore notizie, sotto un grande sole, all'imboccatura delle due strade che si inerpicano verso il penitenziario, bloccate dai carabinieri che non fanno passare nessuno. Il primo posto di blocco è subito dopo il porto, ad angolo con la quieta piazza del paese, dove la gente passa, si informa, va verso la sua vacanza di fine agosto. 
La strada ha un'insegna, via Solferino, dall'a1tra parte della strada un cartellone promette «Vini tipici dell'Elba, degustazione gratuita». Le notizie arrivano a pezzi, rilanciate dalla radio, portate dai primi telegiornali. Ci sono cronisti intorno alle automobili dei carabinieri, cercano di ricostruire quanto sta avvenendo più in alto, dove la difficile trattativa si va svolgendo. Nel cielo volteggiano un paio di elicotteri. Bambini giocano, uno inconsapevole ha una pistola ad acqua ed innaffia un coetaneo. Un terzo domanda al secondo: «Hanno sequestrato anche tuo zio?». La gente commenta, c'è un ex ergastolano che forse vive nel paesino, c'è una guardia carceraria in pensione, ha lavorato ventisette anni nel penitenziario, su ha due figli che fanno gli agenti di custodia. In mare una motovedetta militare sta ferma a cento metri da riva. 
Spunta in mezzo alla gente un cannocchiale, puntato come è ovvio verso il grifagno edificio che sovrasta con quattro piani dal colle il paese. Dentro la cittadella del carcere, cui si accede da un ponte sorvegliatissimo, c'è un silenzio impressionante, una tranquillità strana. Gli altri detenuti stanno evidentemente nelle loro celle, non si sente volare una mosca. Ci sono carabinieri, guardie carcerarie, guardie di finanza. Nessun nervosismo apparente ostacola la difficile opera del magistrato e dei suoi collaboratori. Molti conoscono evidentemente le richieste dei rivoltosi. Si sa che hanno legato due guardie alle finestre, per paura probabilmente che vengano lanciati all'interno attrezzi fumogeni. Si sa la ferocia del capo della rivolta e il tenore perentorio del suo ultimato. 
Una linea telefonica sembra unisca il brevissimo tratto di mura che separa l'infermeria-bunker dei rivoltosi dal quartier generale d'emergenza dal quale la legge cerca di superare questo difficile momento. Attraverso quella linea pare che anche la madre di Tuti abbia tentato di persuadere il figlio ad arrendersi, ma il terrorista si sarebbe rifiutato di parlarci. Le ore passano senza che si arrivi a una soluzione. 
Porto Azzurro vive con calma il suo giorno diverso: nel porto, fra le molte barche, una piccola rossa ospita anche l'onorevo1e Occhetto, vice segretario del Partito Comunista Italiano. I giornalisti lo cercano ma lui deve essere andato dall'altra parte dell'isola prima che arrivasse la notizia del sequestro delle guardie. Su Porto Azzurro scende una brutta notte. «È una storia seria, molto seria, io che sono stato tanto la dentro lo so bene», dice un vecchio e si allontana dal crocchio della gente.
FONTE: Il Tempo, 26 agosto 1987

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