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Mario Tuti racconta il suo arresto: mi spararono a freddo



Dopo il mio fallimentare viaggio a Torino decisi di espatriare. Da anni avevo molti contatti con la Francia. Ogni anno andavo per un mese oltralpe, fin da quando ero ragazzo. Ho cominciato a fumare il sigaro a diciotto anni in Francia. Ci ero arrivato con due soldi in tasca, in auto-stop. Ma parlavo il francese correntemente. Arrivai a Cannes. Siccome avevo un bel fisico e una bella resistenza, raggiunsi a nuoto una delle Îles de Lérins. Ma al ritorno cominciai a sentirmi stanco e a faticare. Mi si accostò una barca a vela e mi diede un passaggio. I proprietari erano ex piantatori di gomma in Indocina. Avevano una villa splendida; mi invitarono a pranzo e alla fine del pranzo il padrone si accende un toscano. Gli dico: «Ma questo è un sigaro da vecchi», e avrei voluto aggiungere: da poveri. Lui mi risponde: «Ma i vecchi sanno apprezzare le cose belle del mondo. Se tu vai nelle migliori tabaccherie del mondo, da New York a San Francisco, trovi i toscani...» Comunque, tornando alla mia latitanza, in quel periodo la Costa Azzurra era piena di pieds noirs, coloni francesi costretti ad abbandonare l’Algeria. Ne conobbi qualcuno e scattò una simpatia umana e politica. Così queste persone mi aiutarono e mi protessero quando gli chiesi aiuto. In ogni caso io mi ero appoggiato provvisoriamente a loro, perché contavo di rientrare presto in Italia. Per fare cosa? Per fare casino. Qualche mese prima era stato ucciso Mantakas a Roma, in un’azione di terrorismo di massa, con uso di molte armi da fuoco. Il livello di scontro quindi si era alzato. Così volevo provare ad arrivare a Roma. Ma non avevo rapporti con camerati romani, quindi stavo cercando l’aggancio giusto. Pensavo: la polizia ci spara (vedi Esposti), i compagni ci sparano (vedi Mantakas), allora spariamo pure noi. Così torno in Toscana per provare a mobilitare, intanto, le truppe locali. Ma, essendo pochi, erano tutti super-controllati. Tanto che, dopo aver incontrato Mauro Mennucci, lui tre giorni dopo mi ha già venduto alla polizia.

Mauro Mennucci racconta alla polizia di essere andato in Francia qualche settimana prima a trovare Tuti e descrive, nei dettagli, il residence della Costa Azzurra dove il latitante nero si nasconde, ospitato da una certa Nadine...
Anche lei era legata ai pieds noirs. No, non era una mia fidanzata, era un rapporto direi asessuato. Comunque non avevo saputo dell’arresto di Mennucci, altrimenti sarei stato all’erta. In quei giorni, parliamo del luglio 1975, mi era venuta voglia di andare a Bayreuth, per vedere il festival wagneriano. Vado in un’agenzia di viaggi e chiedo dei biglietti. Mi rispondono sorridendo: «Guardi che bisogna prenotarsi con dieci anni di anticipo...» Dico: «Ma non c’è proprio verso? Magari pagando qualche portiere d’albergo...» Mi dissuadono: «Se lo tolga dalla testa». Così resto in Costa Azzurra.
Il 26 luglio Mennucci rivela alla polizia il nascondiglio di Tuti. Viene deciso di spedire subito in Costa Azzurra una squadra speciale per catturarlo, o forse ucciderlo, per vendicare gli agenti morti a Empoli. 
Gli uomini dell’antiterrorismo, partiti da Roma, aspettano Tuti e appena lo vedono gli sparano. Al collo, ferendolo gravemente:

Quel giorno non eravamo andati al mare, ma al lago. Era pomeriggio, eravamo appena tornati a casa. Stavamo ancora nella macchina di Nadine. Appena lei ha accostato l’auto al marciapiede hanno cominciato a sparare. Dal lato del mio finestrino. Sento dei rumori secchi e i vetri che vanno in frantumi. Poi due zampilli di sangue dal collo. Aprono lo sportello e mi tirano fuori a forza dall’auto. Io ero armato, ma non ho sparato. Mi hanno colpito al collo e al fianco. Forse speravano che quei due colpi bastassero per accopparmi. A quel punto con la gente che stava assistendo alla scena, oltre alla stessa Nadine, evidentemente non se la sono sentita di tirarmi un altro colpo in testa. Dopo qualche secondo comincio a perdere molto sangue e svengo. Rinvengo subito e gli urlo: «Ora finitemi, se no ve la faccio pagare». Ero molto incazzato. No, non per l’agguato, perché mi consideravo in guerra, ma perché m’avevano preso. Poi ho saputo che a guidarli c’era un alto dirigente dei servizi venuto da Roma. Tra l’altro sono stati fortunati, perché se avessero ucciso anche la ragazza, che era cittadina francese, si sarebbero fatti quindici anni di galera, servizi o non servizi.

Finisce così la latitanza di Mario Tuti, che sarà processato per direttissima e condannato all’ergastolo per il duplice omicidio di Empoli.
FONTE: Nicola Rao, Trilogia della Celtica



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