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Criaco (Il Riformista): storia della rivolta di Reggio Calabria del 1970, altro che mafia


La Rivolta di Reggio – 14 luglio 1970 – la più lunga rivolta urbana registrata in Europa, un passaggio quasi sconosciuto nella storia italiana, eppure ebbe un influsso straordinario nella Nazione, i cui effetti si sentono ancora. Ebbe a pretesto la scelta di Catanzaro a capoluogo di Regione, nella fase nascente degli enti regionali. In realtà si capì subito che era una rivolta di popolo: la rivendicazione di una serie infinita di diritti, la volontà di costruirsi un futuro senza emigrare. La libertà. Presto i partiti di sinistra la abbandonarono, lasciando orfani migliaia di manifestanti. Della piazza si impossessò la destra, sotto il nome di un allora sconosciuto sindacalista missino, Ciccio Franco. Da Reggio la rivolta era dilagata nella sua provincia, nella Locride, davvero si respirava un’aria nuova, si credeva in un mondo diverso. A dirlo ora non ci si crede, si va veloce, la maggior parte di chi legge si ferma al secondo rigo presumendo di aver già capito tutto. Si sta in superficie, con la mente, col cuore. Sono tempi di coscienza e conoscenza da pelo d’acqua. Sì, a dirlo adesso tutto sembra uno di quei cunti sdolcinati da braciere d’inverno.
Eppure era un tempo in cui il furto era vergogna, il sopruso arroganza e nelle rughe di Africo t’insegnavano a non frequentare i peggiori, a San Luca pulsava la protesta operaia e Platì era la patria del cooperativismo contadino. E la mafia, che c’era stata, che c’era, si mangiava rancorosa il suo spazio, vedeva restringersi il proprio status. E tutti sognavano di far parte di un mondo nuovo, di potersi liberare in un colpo da un medioevo che opprimeva da un tempo infinito. Era il tempo in cui i poveri scoprirono di aver bocca, idee e di poter ambire ai diritti. Altro che mafia, che il suo appeal lo manteneva al massimo per consolare la solitudine dei pochi che si ostinavano a fare i pastori sparsi nell’Aspromonte. C’è stato un tempo in cui i figli si sono rivoltati contro i padri, i fratelli ai fratelli e poi tutti contro amici e compari, fino ad arrivare a lottare un destino che sin lì era apparso immutabile. Ma quando, dall’emancipazione culturale si è passato ai diritti, lo Stato ha scelto.
E lo Stato è due cose: un’idea e le persone che lo rappresentano. Le persone che rappresentavano allora lo Stato, da Reggio a Platì hanno scelto la parte peggiore, hanno fatto Istituzione e classe dirigente il potere locale che da secoli opprimeva la povera gente, come ci racconta il collega Gioacchino Criaco dalle pagine de Il Riformista, il quotidiano diretto da Piero Sansonetti, in un interessante articolo che potete leggere per intero cliccando qui

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