Header Ads


35 anni fa moriva Carl Schmitt. Il maestro dello "stato d'eccezione"

Trentacinque anni fa, il 7 aprile del 1985, muore Carl Schmitt, un gigante del pensiero politico e giuridico del Novecento. La sua scoperta, merito di Massimo Cacciari, ha avuto un peso notevole nella corrente ultraminoritaria dell'estrema sinistra in cui ho militato. Non sono però all'altezza di scriverne compiutamente e quindi, senza falsi pudori, copio, incollo,  sintetizzo...

Una biografia intellettuale

Dal sito web filosofico.net. Qui il testo integrale
LA VITA IN 15 RIGHE - Tra i pensatori sostenitori del regime nazista uno dei due più importanti fu Carl Schmitt (1888-1985), scienziato della politica e del diritto. Nato da famiglia cattolica in Renania, compiuti gli studi di legge, insegnò dopo la guerra nelle università di Greifswald e Bonn e nel 1928 ottenne la cattedra di Diritto nella scuola di specializzazione in amministrazione commerciale di Berlino, dove strinse amicizia con Jünger. Nel 1933 si iscrisse al Partito nazionalsocialista, fu nominato consigliere di Stato prussiano e ottenne la cattedra di Diritto pubblico a Berlino. 

Dopo il massacro delle SA del 1934, si tenne un po' in disparte dal regime, in quanto il gruppo che faceva capo a Rosenberg non approvava il primato da lui accordato allo Stato rispetto al popolo e al partito. Egli difese, però, le leggi che nel 1935 sopprimevano i diritti civili degli ebrei e accentuò il suo antisemitismo. In seguito giustificherà e glorificherà la guerra e le vittorie di Hitler. Nel 1945 fu arrestato dagli alleati,  internato in un campo e indiziato per crimini di guerra nel processo di Norimberga, dove si difese sostenendo che i suoi scritti erano solo analisi teoriche. Rilasciato, si ritirò a vita privata a Plettemberg, sua città natale. 

IL PRINCIPIO DI OBBEDIENZA (...) In tutto il corso della sua opera, Schmitt si mantiene fedele al principio dell'obbedienza dovuta all'autorità legalmente costituita: il concetto centrale del suo pensiero è sempre quello di Stato, concepito come entità politica sovrana, con la quale si identifica il popolo. [A differenza del formalista Kelsen] Schmitt è favorevole all'utilizzazione di indagini sociologiche e di scienza politica nell'ambito della riflessione giuridica. Il problema essenziale consiste nel garantire la sicurezza dello Stato e la perseverazione dell'ordine costituzionale esistente (...). Gli interrogativi diventano allora: entro quali limiti è lecito sospendere la legge costituzionale per fra fronte a tale pericolo e chi ha il potere di decidere questa sospensione? 
(...)  L'esperienza sovietica mostra che l'instaurazione di una dittatura può modificare l'ordine esistente e, quindi, essere rivoluzionaria; Schmitt distingue, invece, fra misure temporanee e leggi permanenti e considera lecita una dittatura soltanto in quanto misura temporanea ed eccezionale, volta a ristabilire l'ordine e la sicurezza e, quindi, a difendere la costituzione in vigore.  (...)  Le norme non possono decidere quando esiste questa situazione né sono in grado di affrontarla, prevedendo in anticipo le misure da prendere di fronte a condizioni eccezionali (...). 
LO STATO D'ECCEZIONE [Per Schmitt]la sovranità risiede in chi possiede l'autorità e il potere di decidere lo stato di eccezione . Il sistema politico non può fondersi soltanto su una norma giuridica fondamentale o su procedure tecniche di governo; è necessaria , invece, un'autorità che decida e garantisca la legalità. Queste decisioni non possono scaturire dalla discussione pubblica nel consesso parlamentare [Schmtt fu influenzato dall'instabilità di Wimar in questo giudizio, ndb]  Senza un'autorità sovrana in grado di decidere che cos'è giusto in un caso particolare, esiste soltanto una lotta di gruppi, che combattono ognuno in nome della giustizia e dell'ordine.
Fermamente convinto dell'inefficacia di fattori morali nella politica, Schmitt inclina sempre più verso una forma di realismo politico, ispirato anche al pensiero di Hobbes. Sullo sfondo c'è una concezione pessimistica della natura umana (...). 
LA COPPIA AMICO-NEMICO In uno scritto del 1927, intitolato Il concetto politico, egli scorge nella distinzione amico-nemico la distinzione specifica: il politico rappresenta l'antagonismo più estremo. Il nemico non è colui con il quale si è in concorrenza sul piano economico o verso il quale si prova avversione e odio personale: nemico è solo quello pubblico, cosicché la distinzione amico-nemico indica solo " l'estremo grado di intensità di un'associazione o dissociazione ". Nemico politico è l'altro, lo straniero, con il quale possono insorgere conflitti, ma questo non vuol dire che la sfera del politico coincida con la guerra (...) Lo Stato è l'entità politica decisiva, perché solo ad esso appartiene lo jus belli : solo esso può determinare il nemico, promuovere la guerra e richiedere ai suoi membri il sacrificio estremo. (...) Quando il contrasto interno amico-nemico si trasforma in un conflitto armato fra gruppi, allora lo Stato non è più l'entità politica decisiva e ne segue la guerra civile, nella quale ogni gruppo fa valere una propria distinzione amico-nemico. Un mondo da cui fosse esclusa la possibilità della guerra esterna o della guerra civile, sarebbe privo della distinzione amico-nemico e, quindi, della dimensione del "politico".
L'INVIOLABILITA' DELLA COSTITUZIONE [Sulla base di questi presupposti, per Schmitt] la costituzione è inviolabile : neppure una maggioranza legale ha l'autorità per trasformarla in un nuovo tipo di ordinamento politico. Occorre dunque una forza neutrale al di sopra della molteplicità degli interessi antagonistici, la quale rappresenti la totalità del popolo tedesco e sia custode e garante della costituzione. (...) Una costituzione non deve mai offrire i mezzi legali per la propria distruzione (...).
IL DECISIONISMO - Per Schmitt, il punto di forza del decisionismo risiede nell’essere il momento di congiuntura tra l’elemento giuridico e quello politico, tra la volontà che pone ordine al caos e la ragione giuridica che conferisce una forma a tale ordine. Quest’ultimo è il prodotto di un’energia che mette ordine e che poi si cristallizza in una forma. L’esempio classico del decisionismo che Schmitt adduce è quello di Thomas Hobbes (...) La nozione di sovranità è cardinale per il decisionismo, giacché nulla più di essa mette in luce il carattere originario del decisionismo, l’idea che la legge scaturisca dalla decisione. Nel suo già citato scritto intitolato Teologia politica, Schmitt dà una definizione di sovranità destinata a godere di grande fortuna: “sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. (...) Schmitt è convinto che l’essenza del politico – in netta polemica col positivismo giuridico (...) – stia nella possibilità di distinguere tra chi è amico e chi è nemico. Lo Stato organizza gli amici e li attrezza in maniera adeguata per affrontare la minaccia proveniente dai nemici (...). La decisione del sovrano avviene sempre in uno stato di eccezione: e Schmitt rileva come il normativismo alla Kelsen funzioni soltanto là dove c’è già una normalità dei rapporti e il conflitto è stato risolto (...). Per Schmitt, la costituzione non è un mero insieme di leggi costituzionali, che necessitano di un ordine sovrano per diventare attive. Anche sul piano dell’arena internazionale, regnano le decisioni, le quali sono decisioni di guerra, giacché si decide sempre su chi è amico e chi è nemico.
INIMICUS E HOSTIS - Il nemico in questione, spiega Schmitt, non è mai il “nemico personale” (inimicus), ma sempre il “nemico pubblico” (hostis): mentre il primo, secondo l’insegnamento dei Vangeli, dev’essere amato, il secondo deve essere combattuto. Schmitt chiarisce a più riprese come il sovrano non sia altro che una secolarizzazione del Dio cristiano (...) Nel 1933 il Partito nazionalsocialista giunse al potere e la vecchia costituzione fu eliminata; Schmitt accettò il nuovo regime come legittimo e celebrò la figura di Hitler in quanto Führer, capo e guida della nazione, responsabile di tutte le decisioni. Le sue indagini si concentrarono allora soprattutto su questioni di diritto e di politica internazionale. In opposizione alle pretese universalistiche delle democrazie occidentali e del bolscevismo, egli riprese da Hitler la nozione di spazio vitale, che consentiva di giustificare l'espansionismo militaristico della Germania. A questi temi di diritto internazionale dedicò, in particolare, l'opera Terra e mare (1942) e, nel dopoguerra, Il nomos della terra internazionale dello Jus publicum europaeum (1950).

IL NOMOS DELLA TERRA Nell'età moderna il diritto pubblico europeo, agli occhi di Schmitt, è ormai sulla via del tramonto, in quanto ha perso il suo centro di riferimento, costituito dalla terra in opposizione al mare. L'Inghilterra, conquistando le terre del nuovo mondo, si è affermata come potenza marittima e imperiale: essa è il Leviatano, che si oppone alla potenza terrestre (Behemoth) rappresentata dagli Stati continentali, fondati sull'identità collettiva della nazione e sulla difesa della patria e dell'integrità territoriale. Nell'affermazione di questo impero marittimo mondiale si nasconde, secondo Schmitt, il germe della rovina, perché  introduce una forma di moralismo universalistico, politicamente pericoloso, appellandosi al concetto discriminatorio di guerra giusta. 

TEORIA DEL PARTIGIANO - La guerra moderna, dice Schmitt, in Teoria del partigiano (1963), è una guerra partigiana, cioè ha la sua radice nelle ideologie e non trova più limiti nello Stato, anzi si radica all'interno dello Stato e della società. Il partigiano, infatti, non difende la terra da un'occupazione, ma conduce una lotta in nome di una propria verità ideologica in tal modo, egli sostituisce al nemico pubblico un nuovo nemico privato e regredisce, pertanto, alla barbarie.  (...) In tal modo anche il pensiero di Schmitt si conclude con una critica alla modernità, in sintonia con pensatori ai quali si sentiva vicino, come, ad esempio, Jünger e Heidegger.

Nessun commento:

Powered by Blogger.