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Speciale Diabolik - 8. La fiaccolata e il ricordo di Yuri Alviti: un eterno Peter Pan

Circa mille persone ieri sera, a partire dalle 22, hanno dato vita ad una fiaccolata in memoria di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, il capo ultrà della Lazio assassinato mercoledì sera nel parco degli Acquedotti. Il corteo, guidato dal direttivo degli Irriducibili, si è diretto in assoluto silenzio dalla chiesa di San Policarpo fino al luogo del delitto, situato a poche centinaia di metri. In testa alcuni parenti della vittima. Prima della partenza, con megafono una persona ha ammonito i presenti: "Non facciamo pagliacciate,  niente foto, via i cellulari, le fiaccole le accediamo solo alla fine".

Ho un ricordo indelebile, Fabrizio era e rimarrà per sempre il mio amico del cuore. Lui era un eterno Peter Pan. Negli ultimi tempi avevamo un’amicizia ancora più stretta. Parlavamo di tutto tranne che delle cose in cui era coinvolto. Parlavamo del nostro futuro, di quante ne avevamo passate insieme. Ci dicevamo che era ora di cambiare modo di vivere, di stare più sereni’.
E’ scosso fino al punto di commuoversi al telefono con l’Adnkronos Yuri Alviti, ex componente del direttivo degli Irriducibili, l'unico con idee di sinistra, mentre ricorda i 35 anni di vita e di stadio condivisi con il suo amico Fabrizio Piscitelli, insieme al quale era stato condannato per la tentata scalata alla Lazio da parte di Giorgio Chinaglia a 3 anni e 2 mesi. 
’Tra di noi ogni telefonata era uno scherzo, un prendersi in giro continuo - ricorda Alviti - io sono di Trastevere lui era del Quadraro, ci siamo conosciuti in curva, da ragazzini. Ogni domenica scendevamo un gradone dopo l’altro per avvicinarci alla balconata. Prima di fondare gli Irriducibili con Fabrizio e altri 25 ragazzi ci posizionavamo in basso a destra’ della curva guardando il campo. Era l’epoca nella quale a guidare il tifo biancoceleste erano gli ’Eagles Supporters’, poi soppiantati dagli Irriducibili, gruppo fondato nel 1987. 
Prima di allora, ’ogni tanto portavamo lo striscione ’ultras’ - ricorda ancora Alviti - ma più che altro inizialmente eravamo un gruppo di cani sciolti, 25 ragazzi che giravano l’Italia e seguivano la Lazio sempre e ovunque. Ci vedevamo anche fuori dallo stadio, in settimana: Fabrizio e i suoi amici ci venivano a trovare a Trastevere’. 
Poi quei ragazzi sono cresciuti, hanno preso in mano le redini della curva Nord e per anni hanno guidato il tifo biancoceleste. ’Adesso, da grandi, ci dicevamo sempre che era arrivato il momento di vivere sereni, Ci dicevamo anche: ’Perché noi amici stretti non andiamo a vivere tutti vicini?’ A lui dava fastidio che molte cose che giravano intorno alla sua vita fossero negative, ma con me era sempre solare’. 
Cosa sognava? ’Di aprirsi un’attività. Ultimamente gli avevo scritto ’A Fabrì, possibile che io e te siamo gli unici a Roma che non si sono ancora aperti una un’attività? Apriamoci un pub insieme’. Poi si commuove, Alviti. ’Quando mi chiamava al telefono sai come mi chiamava?: ’Amo’. Fabrizio era il mio amico del cuore, adesso non ce l’ho più. Con chi parlo? - si sfoga - i giornali oggi l’hanno sfondato da morto, hanno scritto un sacco di cose non vere. A lui gli hanno sparato alle spalle perché non hanno avuto il coraggio di guardarlo in faccia. Mi mancherà da morire. Ora, da adulti, eravamo più amici che mai. Voglio ricordarlo per quello che era e sarà sempre per me, un grande amico. Un eterno Peter Pan’. 


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