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Ricordando Riccardo Mancini nel primo anniversario della morte: dal Fungo a Mafia Capitale, una vita nella destra

Moriva il 14 giugno di un anno fa, a Roma, d'infarto, Riccardo Mancini, ex amministratore delegato dell'Eur spa, uno dei protagonisti di tutti gli scandali che hanno attraversato la destra romana negli ultimi anni, dalla Parentopoli di Alemanno alle tangenti Finmeccanica per finire con Mafia Capitale. Riccardo Mancini proviene dai ranghi della destra radicale, dal gruppo di avanguardisti che ruotava intorno alla leadership carismatica di Peppe Dimitri, ed è stato riabilitato da una condanna per armi riportata alla fine degli anni Ottanta nel processo per la ricostruzione di Avanguardia Nazionale. Pubblichiamo qui due stralci della sua storia, un articolo del Corriere all'epoca dell'arresto per tangenti Finmeccanica, un altro di la Repubblica su Mafia capitale.

CORRIERE DELLA SERA (...) All’insediamento di Gianni Alemanno in Campidoglio nel maggio del 2008, quando gli ex An sfilavano in Comune paragonando quell’evento alla presa del «Palazzo d’Inverno» di San Pietroburgo, l’imprenditore era l’uomo forte al fianco del nuovo primo cittadino. «Segnati questo nome: Mancini. Intorno ad Alemanno non si muove niente, senza di lui», ci disse all’epoca un collega, più bravo e più esperto. Il perché si è capito mano a mano.

Mancini, ingegnere, laurea honoris causa alla pro Deo, è sempre stato un «fedelissimo» del sindaco. Amici fin da ragazzi, quando frequentavano entrambi gli ambienti della destra radicale romana. Mancini era in Avanguardia Nazionale, ed era conosciuto per essere uno dei cosiddetti «fascisti del fungo», un gruppetto che si radunava sotto alla struttura dell’Eur. Il loro leader era Peppe Dimitri, poi tra i fondatori di Terza Posizione. Quando Dimitri morì in un incidente stradale nel 2006, ad organizzare il tutto, come racconta Ugo Maria Tassinari nel libro Fascisteria, fu proprio Mancini. Vicino a lui, Gabriele Adinolfi (oggi «ideologo» di CasaPound) e Francesco Bianco, l’ex Nar poi assunto in Atac. LEGGI TUTTO



la REPUBBLICA ROMA. C'è un segreto che ossessiona Massimo Carminati. Che è ancora tale e fa intuire quanto possa ancora camminare l'inchiesta sul Mondo di Mezzo. Ne è custode Riccardo Mancini (ora in carcere), che è stato, insieme, tasca di Alemanno e dello stesso Carminati. E la cui integrità è stata dunque sin qui affidata al suo "silenzio", alla sua capacità di "tenesse er cecio ar culo". È "una cosa che non deve assolutamente uscire", dice Carminati nel gennaio 2013, nei giorni in cui Mancini viene travolto dall'inchiesta sulla tangente per la fornitura di filobus della Breda. Perché porta dritto al cuore del Sistema di corruzione politica che tiene insieme l'amministrazione Alemanno, la società Eur spa (di cui Mancini è ad e che distribuisce appalti a Buzzi) e un misterioso "secondo livello". Che porta a un ignoto deputato di cui tutti, nel cerchio stretto di Carminati, sembrano conoscere l'identità, ma il cui nome non viene mai pronunciato o quantomeno intercettato dalle cimici del Ros dei carabinieri. la faccenda è così seria che Carminati si muove fulmineo non appena - è il settembre del 2012 - Riccardo Mancini viene perquisito dal pm Paolo Ielo che indaga sulla tangente da 700mila euro che la Breda-Menarini (gruppo Finmeccanica) ha versato per la fornitura di 45 filobus al Comune di Roma. "Er ciccione" può essere l'anello debole della catena. Dunque, va imbarcato. Ridotto a scimmietta che non sa, non vede, non parla. Soprattutto, gli va messo accanto un avvocato che metta il naso nelle carte dell'inchiesta Breda e concordi con Carminati come difendersi, cosa dire e, soprattutto, cosa tacere. LEGGI TUTTO

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