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Il corteo nero e le lunghe ombre/ Con i miei occhi (seconda parte)

Il corteo nero e le lunghe ombre/ Con i miei occhi (seconda parte)


Il corteo nero e le lunghe ombre, con i miei occhi. Questa è la seconda delle quattro puntate di una interessante inchiesta, condotta dal collega Alessandro Ambrosini, direttore del web magazine Notte Criminale, collaboratori di importanti testate on line nazionali, pubblicata da Vicenza Today che sapientemente ricostruisce alcuni dei giorni più inquietanti vissuti dalla sua Vicenza negli anni 90. Dopo più di 25 anni emergono nuovi dettagli ed oscure coincidenze.
La prima puntata potete leggerla cliccando qui



Come il vento di una tempesta. Che muove il mare e lo infrange sugli scogli, senza fare danni. Questo è stato il 14 maggio 1994 nella tiepida Vicenza.
Chi pensava a disordini, scontri con i centri sociali o devastazioni si sbagliava. Da Viale Roma a piazza San Lorenzo sventolarono celtiche e tricolori. Con slogan duri nei confronti di giornalisti e magistratura per aver dimenticato in fretta gli attentati subiti quasi due anni prima. L’impatto visivo era potente, preoccupante, elettrico. Chi marciò quel giorno voleva rivendicare il diritto di avere giustizia, di essere ascoltato, di esistere rispetto a un mondo che continuava a relegare “nelle fogne” degli anni ’70 chi militava nella destra radicale. Che fossero skinhead o militanti del Fronte della Gioventù. Quel giorno, quel micro mondo di ragazzi e ragazze si prese la scena.
Fu un percorso breve ma lento, ritmato dal rumore degli anfibi e dalle scarpe da ginnastica sull’asfalto, dai “boia chi molla” che riecheggiavano tra i palazzi. Non so quanto durò, so però che mi sembrò non finissero mai quei metri. La voce iniziava a diventare roca mentre si perdeva nel megafono che tenevo stretto. Intorno a noi curiosi, un paio di fotografi, qualche giornalista e agenti della Digos in borghese che controllavano che non succedessero disordini.
All’inizio e alla fine del corteo le luci blu dei mezzi di polizia e carabinieri, a mettere in sicurezza la città bomboniera. Una cronaca scarna per i giornalisti che seguirono la manifestazione e così fu sui giornali il giorno dopo, tanto da meritare solo la cronaca vicentina, un piccolo riquadro sull’Unità e qualche tv locale. In sezione era tutto filato liscio, quasi nessuno del partito aveva dimostrato grande entusiasmo ma nemmeno sdegno. I più anziani, i reduci di Salò, ci strinsero l’avambraccio con gli occhi lucidi. E per noi, quasi tutti diciottenni, sembrò di aver conquistato il mondo.
Nessuno avrebbe pensato che due giorni dopo, in “quel mondo”, si sarebbe scatenato un inferno mediatico.
Arrivò come una tempesta e travolse tutto e tutti. I primi a pagare furono il Questore Argenio e il Prefetto De Feis che vennero trasferiti con effetto immediato. La grande stampa aveva iniziato a battere la “grancassa dell’informazione” e continuò per un mese. Impensabile oggi. Dalla presa di posizione di Vincenzo Parisi, allora capo della polizia, al Ministro degli Interni Maroni, a tutto il panorama politico fu un condannare le immagini che stavano rimbalzando in tutto il mondo. Vicenza venne “invasa” da troupe e inviati italiani e stranieri.
Dalla Cnn a una tv svedese, dal Washington Post a El Pais, dal Corriere della Sera a Famiglia Cristiana. Non mancava nessuno. Vicenza e provincia erano un grande set. Uno dei bersagli preferiti fu il sottoscritto in quanto segretario giovanile di un partito di Governo che proprio in quei giorni doveva incassare la fiducia da Camera e Senato. Il primo governo con un partito, l’Msi/An, che aveva delle radici profonde nel fascismo. Fiuggi doveva ancora arrivare. Non passarono molte ore che due telegrammi arrivarono direttamente da Gianfranco Fini. Il diktat fu chiaro: espellere il segretario e chi partecipò alla manifestazione-scandalo.
Dalla migliore sezione veneta alla vergogna di partito in qualche giro di lancetta. La settimana successiva al corteo, la Vicenza democratica, scese in piazza. Dalle istituzioni con a capo il sindaco Variati alla sinistra cittadina, dai partigiani ai centri sociali. I caschi della celere riempivano ogni angolo del centro storico, furgoni e macchine di polizia, carabinieri e guardia di finanza erano dislocate davanti ad ogni sede di partito. Anche il più piccolo. Alle 15.30 cinque persone coperte in volto entrarono nella nostra sede di Contrà della Fascina.
A tenere aperta la sezione quel giorno c’erano un paio di ragazzi e i reduci.“
A colpi di manici di piccone distrussero tutto ciò che trovarono e ferirono alla testa un militante, Fabio Cappelletti, rompendogli anche un braccio. Due ore dopo, dal palco in piazza dei Signori, il sindaco festeggiava la democrazia ritrovata mentre in ospedale mettevano dei punti al militante del Fronte della Gioventù. Quando arrivai a Piazza San Lorenzo, ignaro di ciò che era successo, vidi tutti i “miei ragazzi” circondati dalla celere.
Guardai viso per viso mentre mi chiamavano tra le divise e i caschi. Non c’erano più i ragazzi impacciati che entrarono quasi due anni prima in quella sede polverosa e piena di storia. C’erano uomini. La partita era vinta.



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