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5 maggio 1982: tutti i dubbi sul "suicidio"di Giorgio Vale

Gli agenti dell’antiterrorismo si mettono sulle tracce dei più noti avanguardisti del circondario per vedere l’effetto che fa. A fine aprile, attraverso una misteriosa «dritta», arrivano a Sortino. Cominciano intercettazioni telefoniche e ambientali, partono i pedinamenti. La polizia scopre che Sortino si muove su tre auto, tutte con targhe false, e che spesso, insieme a un’altra persona, entra in un appartamento del Tuscolano, al numero 43 di via Decio Mure. La sera del 4 maggio tutta la zona intorno a quell’abitazione viene messa in «sicurezza». Sono decine gli uomini della Digos e dell’Ucigos, compreso un nucleo operativo dei Nocs, che circondano la casa sospetta. La mattina del 5 maggio un giovane entra nell’appartamento sotto osservazione. Ne esce dopo un quarto d’ora accompagnato da Sortino, che, evidentemente, ha passato la notte là dentro. Parte il blitz. Anche se, a distanza di tanti anni, non tutto è stato chiarito. 
Pare che la polizia abbia bloccato i due e si sia fatta consegnare le chiavi dell’appartamento, certa (ma non sappiamo ancora in base a quali elementi e a che tipo di informazioni) che lì dentro si nascondesse proprio Vale. In ogni caso i reparti speciali del Viminale entrano in casa e intimano a Vale di arrendersi. Lui, che stava dormendo su un divano, avrebbe cominciato a sparare. Il volume di fuoco prodotto dalla polizia è impressionante. Vengono sparati oltre cento colpi. Alla fine il giovane terrorista nero viene trovato morto, con un colpo alla tempia, steso sul divano, mentre ha ancora nella mano una pistola Beretta 92S, calibro 9 lungo (matricola U 146592), rapinata dai Nar alla pattuglia dei carabinieri di Siena il 13 novembre 1980, ai tempi di Valerio Fioravanti. Un anno e mezzo prima, ma sembra passato un secolo. Fin qui le poche certezze di questa vicenda. Il resto è buio fitto. E le domande senza risposta sono ancora tante, a distanza di più di trent’anni. Chi ha «venduto» Vale e Sortino alla polizia? E come è possibile che, con una serie impressionante di colpi esplosi dagli uomini dell’Ucigos, «Drake» sia morto per un solo colpo sparato alla tempia, verosimilmente da pochi centimetri? La versione definitiva e ufficiale parla di suicidio. Il giovane, vistosi circondato, avrebbe deciso di togliersi la vita per evitare di farsi trent’anni di carcere. Ma, ripeto, i dubbi restano tutti. Negli ambienti dei Nar si giura su un’altra versione: la polizia, con le chiavi prese a Sortino, sarebbe entrata, in silenzio, nella casa e avrebbe sparato a Vale in testa, praticamente nel sonno, simulando poi il suicidio. (...)
 Anche la sequenza delle notizie diffuse dalla polizia alla stampa alimenta i dubbi sulla sua reale dinamica. Ricorriamo ancora all’Ansa. Il primo lancio dell’agenzia di stampa è delle 11.21 del 5 maggio: Un terrorista neofascista è stato arrestato questa mattina nel corso di un’operazione della Digos. La cattura è avvenuta dopo una sparatoria in via Decio Mura [sic] al Quadraro, nella periferia sud orientale di Roma. Il terrorista non ancora identificato è rimasto ferito ed è stato condotto all’ospedale San Giovanni. Secondo la prima impressione degli agenti che lo hanno catturato, sarebbe il neofascista Giorgio Vale. Nel corso dell’operazione sono stati compiuti anche alcuni fermi. 
Quattro minuti dopo, alle 11.25, una seconda notizia dell’Ansa sostiene che Vale «è stato ferito alla testa nel corso della sparatoria avvenuta in un appartamento di via Decio Mura [ancora, N.d.A.]». 
Nel terzo lancio, delle 12.13, si conferma questa versione: Vale sarebbe stato colpito dagli agenti che «hanno risposto al fuoco colpendolo alla testa». Cinque minuti dopo, alle 12.17, un quarto lancio, in cui si precisa: I medici dell’ospedale San Giovanni hanno detto che le condizioni di Giorgio Vale sono gravissime. Un proiettile lo ha colpito alla tempia destra ed è uscito dalla sinistra. I medici hanno chiamato un prete per fargli impartire l’estrema unzione. Dunque Vale è stato colpito da un proiettile alla tempia. Un po’ strano che, tra tutti i centoquaranta colpi sparati dagli agenti, lo abbia centrato solo uno, per di più proprio alla tempia. Ma la polizia continua a sostenere che è andata così. Alle 13.58 l’Ansa annuncia: «Il terrorista Giorgio Vale è morto poco dopo le 13». Ma la versione ufficiale è ancora quella dello scontro a fuoco. Fino alle 21.14 del giorno dopo: Giorgio Vale si è suicidato. Questo il risultato dell’autopsia che capovolge la ricostruzione degli eventi che hanno portato alla cattura ed al ferimento del terrorista nero. L’esame necroscopico è stato compiuto nel pomeriggio nell’Istituto di medicina legale, alla presenza dei medici legali e dei periti. 
Giorgio Vale, vistosi ormai perso, dopo avere sparato alcuni colpi contro la porta d’ingresso, si è accostato la pistola alla tempia e si è sparato un proiettile di Beretta bifilare calibro 9 lungo che impugnava. Il proiettile non è stato trovato. Entrato all’altezza del parietale destro è fuoriuscito da quello sinistro. La prova del suicidio è costituita – è stato accertato – in assenza del proiettile, dall’alone alla tempia lasciato dal colpo d’arma da fuoco sparato da distanza ravvicinata, oltre che dalla posizione del corpo riverso sul divano, dove Vale è stato trovato.
Poco dopo, altro lancio: Si è appreso dagli investigatori che Giorgio Vale si è ucciso dopo aver sparato contro gli agenti di polizia dodici colpi con la Beretta bifilare calibro 9 sottratta tempo fa ad un carabiniere e nel cui caricatore aveva inserito quindici cartucce. Quando gli erano rimasti solo tre colpi, ha smesso di sparare in direzione degli agenti e si è sparato un colpo alla tempia. Ieri, subito dopo l’irruzione della polizia nel covo di via Decio Mure, si era supposto che Vale fosse stato colpito da uno dei proiettili di mitra con i quali gli agenti avevano risposto alle sue pistolettate. 
È evidente che Vale sia stato ucciso con un colpo a bruciapelo alla tempia. Ora, i periti e la polizia sostengono che sia stato lui a spararsi, mentre i reduci dei Nar affermano che è stato «suicidato» dagli agenti, per chiudergli la bocca e avere un «colpevole» comodo per la strage di Bologna. Sentiamo l’anonimo dirigente del Sisde che aveva condotto l’inchiesta su di lui e che se lo era visto a tu per tu due mesi prima sul binario della metro di Furio Camillo: L’Ucigos arriva in via Decio Mure attraverso una soffiata, ma non so di chi. Noi e loro lavoravamo in parallelo, ma autonomamente. Noi da due mesi avevamo mollato la presa, dopo la storia di Furio Camillo e la «bruciatura» della nostra pista. I genitori di Vale non parlavano praticamente più in casa, quindi le cimici non servivano a niente. Terrorizzati all’idea di essere ascoltati, arrivarono perfino a staccare il telefono di casa. Invece l’Ucigos va avanti e arriva a Vale. Dopo la sparatoria ne parlai con loro. Mi dissero che c’era stato un conflitto a fuoco molto breve ma intenso e che Vale si era davvero suicidato. Aggiunsero: «Non avremmo avuto problemi a dire che gli avevamo sparato noi». Del resto, inizialmente, erano effettivamente convinti di averlo colpito con le loro armi. Anche perché Vale era uno dei componenti del commando che aveva massacrato il capitano Straullu e l’agente Di Roma, quindi non erano certo ben disposti con lui, ma mi assicurarono che si era sparato. Le posso giurare, conoscendo praticamente tutti gli uomini che parteciparono all’operazione, che nessuno di loro avrebbe sparato a bruciapelo a una persona nel sonno. 
Al giornalista Piero Corsini, lo storico capo dell’antiterrorismo romano Umberto Improta, all’epoca capo dell’Ucigos, la racconterà così: Quando arrivai con i Nocs era già successo tutto. Anziché aprire agli agenti, Vale aveva reagito sparando. La Digos aveva risposto al fuoco, ma si erano resi conto che non sapevano più come uscirne, perciò mi avevano chiamato. Dato che Vale, dall’interno, non rispondeva più, decisi di sfondare la porta, che era ancora chiusa. Anche se mezza scardinata per i colpi che erano stati sparati contro. Entrammo e lo trovammo che era già agonizzante. La porta era chiusa e l’ho sfondata io! Dopo il fatto, ho interrogato tutti gli uomini che si trovavano lì. La posizione stessa in cui fu trovato (Vale), oltre ai fori di entrata e di uscita del proiettile, esclude che abbia potuto essere colpito. E poi noi eravamo convinti che almeno una di queste due strade, Vale o Palladino, ci avrebbero portato alla verità sulla strage di Bologna, per questo lo volevamo vivo.

Fonte: Nicola Rao, Il piombo e la celtica
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