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27 aprile 1982/1: la morte di Danilo Abbruciati, il boss ucciso mentre faceva il sicario

Accade a volte che la morte racconti moltissimo, di una vita. Danilo Abbruciati, figura di punta di quel magma che era genericamente la malavita romana prima e della Banda della Magliana poi, muore a 38 anni. Lui romano de’ Roma viene ucciso a Milano, il 27 aprile 1982, mentre si trova sul sellino posteriore di una motocicletta, ucciso da una guardia giurata, con un colpo in testa, dopo aver sparato e ferito ad un gluteo il vice presidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone. Non un attentato politico ma un atto di intimidazione su commissione nel torbido gioco dei poteri forti. Nato nella capitale il 4 ottobre 1944, molti precedenti penali per associazione a delinquere, estorsione, furto, detenzione di esplosivi, addosso al suo cadavere viene trovata una patente di guida internazionale e una carta d’identità, entrambe rilasciate in Nigeria. 

In questura ricordano subito che Danilo Abbruciati, in passato, aveva fatto parte della banda di Francis Turatello ed era stato inquisito, assieme ad esponenti della malavita milanese, per il tentativo di sequestro del petroliere ed ex presidente del Milan, Albino Buticchi, ma che, dopo tre anni di detenzione preventiva, era stato liberato. 

Una strana libertà - La prima stranezza sta nel fatto che appena poco più di un mese prima, il 15 marzo, Abbruciati era stato arrestato a Roma perché ritenuto implicato nella gestione del deposito di armi, a disposizione di malavita e neofascisti, scoperto nel dicembre del 1981 in uno scantinato del ministero della Sanità all’Eur. Era ricercato anche per un traffico di eroina e cocaina scoperto nella zona di Monte Sacro, sempre a Roma, dalla guardia di finanza. 
Allora perché Abbruciati era non solo in libertà, ma anche in grado di muoversi senza intralci tanto da partecipare ad un attentato a Milano? Ma chi è davvero Danilo Abbruciati? La prima volta viene arrestato a Roma nel novembre del 1975 perché ritenuto coinvolto nell’omicidio del biscazziere Ettore Tabarrani. Pochi mesi di galera prima di essere prosciolto in istruttoria. L’anno dopo viene nuovamente arrestato per ordine del sostituto procuratore Domenico Sica, che lo considera uno dei capi dell’Anonima sequestri romana responsabile di cinque sequestri di persona. Della banda fanno parte gli esponenti del clan dei marsigliesi Robert Bergamelli e Jaques Berenguer e altri noti criminali tra cui Maffeo Bellicini. Tre anni di carcere preventivo, ma nel luglio 1979 il tribunale di Roma lo assolve. 

Quando esce di galera - racconterà la sua amante, Fabiola Moretti, che in seguito sarà anche la donna di altri componenti della Banda della Magliana - Abbruciati si avvicina ai testaccini, cioè alla malavita che si muove nel quartiere romano del Testaccio. I suoi amici sono in particolare Enrico De Pedis, detto “Renatino” e Raffaele Pernasetti, detto “Er Palletta”, a fare il cuoco sempre in un ristorante del Testaccio. Figlio del pugile Otello Abbruciati, campione italiano dei pesi piuma prima e durante il fascismo, ma a sua volta pugile di scarso livello, Danilo Abbruciati, detto “Er Camaleonte” trascorre l’infanzia nel quartiere borghese di Prati, a Roma, per poi trasferirsi in quello decisamente più popolare di Primavalle. Nel 1967 si sposa con Claudia e dal matrimonio nasce nel 1970 una figlia. Nella banda dei testaccini Abbruciati si occupa personalmente del mercato della droga nel quartiere di Trastevere, la più importante zona di spaccio della città. E’ qui che conosce Fabiola Moretti che sarà a lungo la sua compagna. La sua figura, nell’ambiente della criminalità romana della fine anni Settanta inizio Ottanta, è indubbiamente di spessore.

Un boss che continua a fare il killer - Stringe rapporti con personaggi del calibro di Domenico Balducci, usuraio a Campo dei fiori e tramite Ernesto Diotallevi entra in contatto con il boss mafioso Pippo Calò e poi con l’uomo d’affari sardo Flavio Carboni (il quale però ha sempre negato di averlo conosciuto) ed investe parte dei proventi del mercato della droga in operazioni immobiliari in Sardegna. L’apporto di Abbruciati alla Banda della Magliana è determinante. E’ grazie ai suoi buoni rapporti, non solo con Pippo Calò ma anche con Stefano Bontade, che assieme a De Pedis apre un prezioso canale di rifornimento di stupefacenti proveniente da Cosa Nostra. Accusato di essere tra i killer di Antonino Leccese (3 febbraio 1981), cognato di Nicolino Selis e, otto mesi dopo, di Domenico Balduccci (nel primo caso non fece parte del comando, nel secondo era in carcere), “Er Camaleonte” è stato comunque un killer spietato. Tra le sue vittime un ex pugile, Roberto Belardinelli (detto Bebbo), ucciso a pistolettate durante una rissa in un locale notturno. Ma soprattutto un grosso pregiudicato come Massimo Barbieri contro il quale scatenò una sua guerra personale in cui lo aiutò una parte della Banda della Magliana. L’errore di Barbieri fu quello di invitare ad un festino a luci rosse la donna dello stesso Abbruciati, Fabiola Moretti. “Er camaleonte” si infuriò e organizzò un agguato, ma - quasi fosse una premonizione per quanto accadrà poco dopo a Milano - la sua pistola si inceppò e la probabile eliminazione di Barbieri si trasformò in un pestaggio con il calcio della pistola. Pochi giorni dopo Barbieri cercò di vendicarsi, sparando (altra premonizione) alla testa di Abbruciati che si salverà e farà rimuovere il proiettile solo a vendetta definitiva avvenuta, una vendetta divenuta urgente anche perché Barbieri, nel frattempo, ha rapito e seviziato Fabiola Moretti. Attirato con la complicità di un amico, Angelo Angelotti, ad un droga party in una casa di Ladispoli, Barbieri viene narcotizzato e legato per poi essere torturato per ore da Abbruciati e De Pedis. Il corpo di Barbieri sarà trovato semi carbonizzato in una discarica sulla via Ostiense il 20 gennaio 1982. 

Un piacere gli costa la vita - Furono comunque i suoi rapporti con i poteri forti a decretare la sua fine. “Er Camaleonte”, infatti, era in ottimi rapporti sia con esponenti del neofascismo che dei servizi segreti. E fu un favore personale da fare ad Ernesto Diotallevi, altro faccendiere suo amico, a spingerlo a Milano a fare il lavoro di sicario. La morte colse Danilo Abbruciati, “Nembo Kid” in “Romanzo criminale”, mentre fuggiva a bordo di una moto, troppo lenta per un proiettile calibro 357 magnum.

Fonte: Misteri d'Italia


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