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30 marzo 1980: il fallito attacco dei Nar al distretto militare di Padova

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Nei primi mesi del 1980 la banda Fioravanti, il gruppo di fuoco che si è aggregato intorno alla carismatica leadership militare di Valerio Fioravanti dopo il disastro del dicembre 1979 (l'arresto in rapida sequenza dei leader del Fuan, Dario Pedretti, di Terza posizione, Peppe Dimitri, dell'area post-ordinovista Sergio Calore, è impegnata nel progetto di evasione di Pierluigi Concutelli. Allo scopo servono anche armi lunghe. Ma procurarsele non è facile. E la banda si rivela composta da pasticcioni. La storia ce la racconta Nicola Rao nel "Piombo e la Celtica": 


Per recuperare i Fal ci vuole allora un piano diverso. Ancora Fioravanti: 
Mi ricordavo che Franco Giomo di Rovigo – che noi avevamo conosciuto al Fuan di via Siena ed era stato arrestato insieme a Cristiano – ci aveva raccontato di aver fatto il militare al distretto di Padova. Ce lo aveva descritto come un posto piccolo, carino, tranquillo. Così mi torna in mente questo particolare e partiamo tutti per Padova. Andiamo prima da Giomo a Rovigo. Lo incontro e gli dico: «Caro Franco, mi dispiace, ma oggi la rivoluzione passa dalle tue parti... Mi devi dare tutte le informazioni che hai sul distretto di Padova». Lui ci racconta tutto. Spiega che ci sono due militari di guardia, più un sergente e altre due persone dentro. Ci parla di un’armeria dentro il distretto. Dice che ci dovrebbero essere due mitragliatrici Mg, dodici Fal e molti caricatori. Mi sembra un’ottima cosa. Tra l’altro quella era zona in cui si muoveva Cavallini, che aveva una sua rete logistica in Veneto. Ma siccome già non mi fidavo pienamente di Mangiameli, decido di coinvolgerlo. Eravamo io, Cavallini, Mangiameli, Livio Lai, venuto da Trieste, e un altro paio di persone. Il distretto è in pieno centro, accanto alla basilica di Sant’Antonio. Noi lasciamo Mangiameli al Prato della Valle, a duecento metri dal distretto, con la macchina, ovviamente rubata con tanto di targa taroccata. Gli diciamo: «Noi andiamo a piedi, tra un quarto d’ora ti muovi, arrivi là davanti, metti la freccia, accosti, così noi, appena ti vediamo arrivare, facciamo la rapina, poi entriamo in macchina e scappiamo». Ma la rapina non riusciamo a farla. Mangiameli infatti non è mai arrivato. Dopo un’ora e mezza di inutile attesa, rinunciamo e andiamo a cercarlo. Lo trova Cavallini alla stazione ferroviaria. Aveva parcheggiato la macchina là davanti e stava per prendere un treno e tornare a casa. Prova a giustificarsi dicendo che si è perso e non ha ritrovato la strada per il distretto. Recuperiamo la macchina davanti alla stazione e lo mandiamo via in malo modo. Torniamo davanti al distretto e ci riproviamo. Ma quando Livio Lai alla fine suona a questo benedetto campanello del distretto, nessuno gli apre il portone. O perché la faccia di Livio li ha spaventati o perché era troppo tardi. Decidiamo di tornarci qualche giorno dopo, stavolta senza Mangiameli, ma, visto che a noi non aprono la porta, penso che sarebbe meglio coinvolgere una donna, come già avevamo fatto per rapinare l’Omnia Sport. Così penso di chiamare Francesca Mambro. Lei mi dice subito di sì e ci raggiunge in treno. La vado a prendere il giorno dopo alla stazione di Mestre. Alla fine lei suona il campanello, le aprono, facciamo la rapina, ma anche stavolta non andrà bene per una serie di inconvenienti. Ma da quel momento Francesca entrerà a far parte integrante del nostro gruppo. 
I Nar, armati e mascherati, riescono a entrare nel distretto e a portarsi via i Fal e le Mg e, prima di andarsene, completano anche il piano di Fioravanti. Come accaduto per Arnesano non bisogna far sapere che l’azione è della destra, per non destare sospetti in vista della liberazione di Concutelli. Così si dovrà scrivere su un muro con uno spray una frase che sposti l’attenzione sulle Br. È il 30 marzo 1980, due giorni prima i carabinieri hanno ucciso a Genova quattro militanti delle Br, e Fioravanti suggerisce a Lai di scrivere con la vernice rossa: onore ai compagni caduti in via fracchia. Ma la forza dell’abitudine prevarrà sulla strategia. Invece di scrivere compagni, Lai comincia a scrivere cam..., visto che chissà quante volte ha scritto sul muro la parola camerati. Se ne accorge, la cancella e riscrive compagni. Ma ormai la cazzata è fatta. Sotto la parola compagni è nitida la scritta cam... E non è finita. Le armi vengono caricate su un furgone guidato dall’unico che conosce la zona: Cavallini. Ma «Gigi» sbaglia strada, viene bloccato da una processione religiosa e quando sente in lontananza le sirene della polizia, viene preso dal panico e scappa, abbandonando furgone e armi. 

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