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14 marzo 1934: nasce il professore Paolo Signorelli

(G.p)Il 14 marzo 1934 nasce a Roma il professore della destra radicale romana, lunghi anni di detenzione negli anni di piombo, condanne all'ergastolo a raffica per 3 omicidi (Leandri, Occorsio, Amato) alle fine tutte annullate dopo lunghe battaglie giudiziarie e un'infinita carcerazione preventiva( oltre 9 anni di carcere).
Per ricordare la figura di Paolo Signorelli pubblichiamo un interessante articolo del collega Pietrangelo Buttafuoco intitolato "La sua foto è alle mie spalle" pubblicato da Giustizia Giusta, il mensile radicale di cui il professor fu direttore.

La sua foto è alle mie spalle
di Pietrangelo Buttafuoco


La sua foto è alle mie spalle. Ritagliata dal suo giornale. Con il saluto: Vale! Tutti quelli che passano davanti alla scrivania osservano il foglio che oltre al suo volto porta le parole. E domani inizia sempre una “nuova stagione”. A domani, dunque, dice Paolo Signorelli da quella foto. A fargli compagnia, nel mio pantheon privato, ci sono solo Carmelo Bene, Erwin Rommel sul cingolato, la lettera di Totò e Peppino alla Malafemmina e il manifesto di Canale Mussolini. L’unica testimonianza scritta è quella sotto la foto di Paolo e tutti quelli che si fermano davanti alla scrivania s’interrogano sul suo sublime ceffo che rivela un mondo, una storia e un destino scavato nello stile.
Ecco, il passo di Paolo. L’ultima volta che era venuto in Mondadori aveva catturato lo sguardo di tutti in virtù del suo incedere. Fabrizio Paladini, capo della redazione romana di Panorama, s’era aperto in un sorriso d’affetto ricordando il giorno dei suoi esami di maturità. Fabrizio era uno studente di sinistra. Molto impegnato, molto in vista.
Commissario d’esami, dall’altro lato del tavolo, c’era appunto Paolo Signorelli, il professore “fascio”. Molto in vista, molto combattuto. Pare che un boato d’insulti accompagnasse il suo ingresso in commissione d’esami. E Paolo, invece, così mi ha raccontato Fabrizio, col suo incedere incurante se la rideva perché sapeva come contagiarli tutti quei ragazzi, infettandoli di intelligenza e sorrisi. O di tenerezza, come faceva con le studentesse in lacrime, tenendole per mano mentre le ascoltava intorno al procedere di tesi, antitesi e sintesi.
Facevamo una camminata nei paraggi di via Sicilia, presso la Mondadori, a volte ci vedevamo da Marco Mazzoni, all’osteria del Sostegno, vicino piazza Capranica, e sempre con quel piacere dell’agorà, della piazza, della propedeutica a spasso. Lui, sempre agile nel suo incedere.
Il resto, invece, tutto quel che stava intorno, appunto, sempre sciammannato.
Con Paolo che sta facendo adesso il suo cammino verso il Grande Uno, verso il Divino, tra i suoi cari Dèi, se n’è andato l’ultimo che poteva comandare il pezzo
di cuore sano di tanti, tra noi, cresciuti fuori dallo Spirito del Tempo. Questo tempo, questa stagione di democrazia, questo mondo ridotto ad un unico mondo tutto uguale che scatena violenza inaudita sui popoli, non ci riguarda. Lui era della stessa dolcissima risma dei Beppe Niccolai e degli Antonio Carli. Lui li ha di certo raggiunti.
Con il suo incedere che è come un entrare in scena nel mio ricordo, un saper porsi nel fascinaccio dell’uomo digiuno di ogni borghesia, Paolo li ha certamente presi a braccetto Beppe e Antonio e se li sta adesso godendo con tutta la malinconia: quella di avere fatto in luogo di non avere fatto. Avere fatto un mondo, una storia e un destino.
La sua foto è alle mie spalle. E ci sono le sue parole.

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