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In morte di Pietro Carini libraio e raffinato intellettuale salernitano

Pietro Carini, fondatore della libreria delle edizioni di Ar a Salerno e del blog readingclass.com, occhio per occhio libro per libro, dopo aver combattuto strenuamente una brutta malattia, è andato oltre.
La redazione del blog ricorda il raffinato intellettuale Pietro Carini, con una sua intervista pubblicata sul suo blog ad Ugo Maria Tassinari, giornalista e saggista, massimo studioso di nuove e vecchie destre.
Intervista su temi a noi cari, come la storia della destra radicale e l'estremismo religioso.
Riposa, accanto ai tuoi libri, in pace, Pietro.


Se ricordo bene, ci siamo incontrati verso la metà degli anni ’80, credo fossero le tue prime incursioni nel mondo della destra radicale, doveva essere uscito da poco il tuo articolo “I signori della guerra”, forse sul giornale di napoli, articolo dal quale si evinceva la tua curiosità culturale e umana verso questo mondo. La curiosità è poi sopravvissuta alla conoscenza antropologica?

Era il febbraio dell’89 ed ero appena all’inizio di quello che è poi diventata un’ossessione. Ci sono voluti venticinque anni perché la noia subentrasse. Per la mia volatilità intellettuale da “Gemelli” una cifra impressionante. Mi ha aiutato a “tenere duro” una sorta di “ingarellamento” sull’evidente falsa coscienza di certo antifascismo che, cessate le ragioni di “pedagogia rivoluzionaria” e di “autotutela fisica” tipica degli anni di piombo, ha fatto dell’ossessione della caccia al nero un’ideologia di sostituzione del fallimento e dell’impotenza. Essere messo alla berlina con le accuse di corrivo e connivente è stato un buon motivo per persistere…

Dopo centinaia di pagine e anni di frequentazioni amicali con le quali hai raccontato storie umane e politiche che altrimenti non sarebbero mai arrivate ad un pubblico vasto, nemmeno a quello della stessa destra. e questo micromondo, secondo una tua impressione te ha un futuro politico?

La destra radicale che ho cominciato a studiare io, proprio alla vigilia della fine della guerra civile europea, già allora aveva carattere residuale e di testimonianza. Quindici anni dopo la prima edizione di Fascisteria devo riconoscerne la spaventosa debolezza nell’incapacità di organizzare la quantità importante e valida in un dispositivo di lettura che aiutasse il discernimento del lettore tra vecchio e nuovo … Così come tocca riflettere sulla potente analogia tra Franco Freda e Toni Negri, al di là del comune punto di partenza geografico, nella originale combinazione di straordinaria potenza visionaria e assoluta impotenza politica. L’intuizione che mette capo alla fondazione del Fronte nazionale è geniale e potentissima ma, in tutta evidenza, non è nelle sue corde il piano dell’operatività politica. Oggi, 25 anni dopo, è nel senso comune la centralità delle questioni allora sollevate. E’ un peccato imperdonabile la preveggenza …

Puoi dirmi una sola differenza che all’inizio ti salta subito all’occhio tra la comunità dei compagni e quella dei fasci, intendo proprio dal punto di vista umano, dello stare assieme.

Parlo ovviamente delle comunità che ho “vissuto” io. Quindi degli anni di piombo. Ma ne parlo oggi, e quindi con la consapevolezza e gli strumenti cognitivi acquisiti in quasi 30 anni di ricerca matta e disperatissima. Una precisazione necessaria. Mi pare di poter dire che la differenza principale è sui diversi dispositivi della formazione della leadership nel gruppo (a sinistra è molto più fluida e meno legata ad aspetti carismatici) e al peso dei leader nel vissuto quotidiano. Mi rifaccio al mio vissuto: perché in altri gruppi, in esperienze settarie come certi gruppi maoisti, i dispositivi di controllo erano altrettanto forti e introiettati dai militanti … Un altro aspetto che mi impressione, tuttora, è la capacità di odio profondo che attraversa e lacera l’ambiente con un tot in più di “qualità” rispetto a quella che pure ha attraversato le vicende dell’estrema sinistra.

Quale fu, invece, il primo pregiudizio a crollare? E l’ultimo.
Il primo pregiudizio era crollato una decina di anni prima. Proprio in questi giorni, nel 1979. Ero già stato, da militante dell’area dell’autonomia vicino a Scalzone, dopo Acca Larentia, tra quelli che avevano criticato radicalmente la strage. Ma è sulla morte di Giaquinto che ho fatto le prime litigate feroci con i compagni: per me non bisognava festeggiare il fascista in meno ma indignarsi per il giovane ribelle ucciso dalla polizia. L’ultimo pregiudizio permane e afferisce la vostra visione complottista della storia che oggi ha preso piede nella vasta prateria del neopopulismo grillino …

Ti sei interessato, anche al mondo estremista americano, sia a quello religioso, con il tuo ultimo libro, sia a quello del’identitarismo bianco, una decina di anni fa, due mondi molto diversi, quello europeo e quello americano, no?
Potrei liquidarti con una battuta. So’ americani e potrebbe bastare. Ma forse è il caso di dire qualcosa in più. Che non esiste e non può esistere un fascismo politico americano perché gli elementi costitutivi dell’immaginario dei “patriots” a stelle e strisce sono del tutto incompatibili mentre è del tutto evidente che sul piano del fascismo immaginario, da una parte, e dell’urfascismus, dall’altra, la fascisteria americana rappresenta un archetipo interessante. Perché ha anticipato, almeno di dieci anni, temi e tendenze europee. I diari di Turner è del 1978, la Fratellanza silenziosa (passata alla storia come the Order proprio per l’evidente peso del libro di Pierce nella sua vicenda) dei primi anni ’80. E anche tutta la vicenda dei lupi solitari degli anni ’90, da Randy Weaver a Eric Rudolph, è emblematica. Tim Mc Veigh, l’autore della strage di Oklahoma City, è un tipico “eroe americano”. Non ha nulla di fascista sul piano politico e molto sul piano umano. Così come l’esperienza delle Milizie e del survivalismo, soprattutto nella versione più radicale, i Freemen, sono esemplari perché alludono a un modello di comunità che si organizza nella separazione dallo Stato.

Di cosa si dovrebbe interessare il libro definitivo sull’estremismo di destra?
Delle permanenze e delle discontinuità tra secolo breve e terzo millennio.


Che opinione hai dell’ambiente di destra napoletano degli anni 70?
Mi hanno fatto perdere un sacco di tempo ma mi hanno costretto a coltivare alcuni aspetti della mia formazione militante che all’inizio ritenevo insignificanti. A torto…

Quali le differenze con l’ambiente romano?

Ti sembrerà paradossale ma conosco poco l’ambiente napoletano e quindi mi astengo dal rispondere. Per la semplice ragione che all’inizio della navigazione nell’arcipelago nero, tra le poche regole di ingaggio, mi sono dato di tenere separato il mio vissuto militante. E quindi, riconoscendo i rischi del coinvolgimento emotivo nella ricerca, mi sono astenuto dall’occuparmene. All’epoca l’unico rapporto che avevamo era menarsi. Allora con i fascisti non si parlava proprio. L’unico con cui avevamo qualche frequentazione era un giovane ordinovista puteolano, l’unico del mio liceo, che non aveva rapporti né con gli attivisti del Fronte né con la squadra di Lotta di Popolo con cui spesso ci afferravamo. E per questo gli riconoscevamo uno statuto di specie protetta … Poi è nata l’amicizia con qualcuno di loro, a cominciare da Pietro Golia, a partire dal mio scoop in difesa di Walter Spedicato, e anche, mi pare di poter dire, con qualche salernitano. Ma questa è un’altra storia

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