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Letti da noi 13/ Cosa significa oggi essere di destra?

Il collega Antonio Rapisarda, dalle colonne de Il Tempo, storico quotidiano romano, con un interessante articolo, che pubblichiamo per intero, recensisce il nuovo libro di Marcello De Angelis, cosa significa oggi essere di destra? Alla ricerca di un popolo disperso e di una nazione negato edito da Luigi Pellegrini editore.
Un libro di cui consigliamo una attenta ed approfondita lettura, con il quale l'autore prova a a tracciare la direzione per gli orfani del Movimento Sociale Italiano, perseguendo un nobile obiettivo quello di trasformare la palude in bosco.





Sarà pure politicamente «destrutta», come denunciò Pietrangelo Buttafuoco nel pieno cortocircuito del berlusconismo e della classe dirigente degli ex An; ma siccome la storia non è una somma aritmetica di “ieri come oggi” ma il combinato disposto di azioni-reazioni e di richiami archetipici, è un fatto che ciò che è uscito dalla porta, la destra «come sinonimo di onestà» retaggio del Dopoguerra e dell'etica degli “esuli in patria”, stia fatalmente rientrando dalla finestra: quella richiesta diffusa di identità, sovranità e prossimità che nel mondo – dagli Usa al Giappone passando per l'Ungheria – è affare dei leader, dei partiti, degli intellettuali “di destra”.
 E in Italia? La domanda se l'è posta uno che l'universo destro lo conosce perché vissuto come una seconda pelle fin da quando portava i calzoni corti. Marcello de Angelis – già direttore di Area e del Secolo d'Italia, ex parlamentare di An e Pdl, musicista e leader dei 270bis - in Cosa significa essere di destra oggi? (Luigi Pellegrini editore, pp. 228 €14) porta a compimento una delicata operazione di restauro: ricercare la “destra” come parola perduta, in un pantano lessicale in cui tutti i termini della politica hanno perso riconoscibilità, eppur presente; e con questa riconnettere un “popolo”, quello che nel 2006 riempii come mai piazza San Giovanni per la manifestazione contro il governo Prodi; connetterlo con una “Nazione”, entità negata per decenni dalla narrazione marxista o depontenziata dal pragmatico occidentalista democristiano, dove il “noi” è argine e risposta «alla inconcludente solitudine dell'individuo individualista e dell'individuo collettivo ultimo». In ragione di tutto questo de Angelis risponde “sì”: significa qualcosa essere di destra oggi. Perché esiste un sentimento, «un disperato bisogno di normalità», che solo un «sindacato degli italiani», un «partito della Nazione» può incarnare. Per fare questo è necessario, però, riannodare i fili di un discorso che l'avvento di Silvio Berlusconi, secondo l'autore, ha “montanelliamente” mistificato. Nel volume si legge infatti come la famosa “discesa in campo” del Cavaliere abbia coperto lo spazio del centrodestra perché l'unico disponibile per la “non-sinistra”, o meglio per quella sinistra dell'innovazione, craxiana, in perenne guerra con la sinistra comunista e conservatrice («orrendamente di destra» come conferma de Angelis). E oggi? Conclusa quella stagione dei «destri per caso» (l'allegra compagnia di ex Psi, ex Lotta continua con cui il Cav ha costruito il suo milieu) e allegerita dall'equivoco, la destra rientra nell'unico canale dove assume un senso: quello della dottrina non dell'utopia. Dell'ordine naturale non del progresso fideistico. Per questo motivo, conclude l'autore, la destra oggi è “populista”: perché chiama i cittadini alla rivolta contro i ceti dirigenti accusati di essere “antinazionali”, contro le élite in quanto “apolidi”, contro gli organismi sovranazionali perché negando la Nazione negano il “noi”.

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